La polemica nazionalpopolare e il colpaccio dell’Invalsi

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Astolfo sulla luna, 2.9.2016

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– Qualche giorno fa un autorevole quotidiano ha pubblicato un articolo della presidente Invalsi [1] che finalmente fuga i dubbi circa l’introduzione del quizzone alla fine del percorso di studi medi nel nostro paese: l’Invalsi ha fatto centro, estenderà dal 2017 il suo velo standardizzante anche sul rito ormai esausto degli esami di Stato.

La dr. Ajello ci rivela che “il ministro Stefania Giannini ha richiesto all’Istituto di procedere nell’approntamento di una simile prova”; dopo aver ricordato la polemica innescata sul divario Nord-Sud nei voti con lode, suggerendo in breve alcune cause di tale fenomeno, l’autrice dell’articolo dice che “le prove saranno svolte da ciascuno studente al computer e la correzione sarà automatica” anche per limitare il cheating, peraltro più diffuso al Sud. Invita da un lato la politica a fissare i tempi di svolgimento delle prove Invalsi, e chiede dall’altro “l’accettazione della prova del quinto anno da parte di docenti e studenti come strumento comparativo”. A sostegno di tale richiesta ai diretti interessati, suggerisce il parallelismo con le “molte famiglie che attualmente pagano corsi ed esami di inglese per consentire ai propri figli di avere una certificazione internazionalmente riconosciuta”. Dopo aver pagato dazio – con il richiamo al concetto di stakeholder – al linguaggio economicista oramai invalso anche presso l’Invalsi, conclude, partendo dall’asserita diffusa ignoranza dei docenti nella costruzione delle prove standardizzate che preclude loro “la possibilità poi di usare i risultati delle prove dei loro alunni”, con un crescendo da operetta prima chiedendo per gli aspiranti docenti “la possibilità di acquisire competenze relative alla costruzione di prove standardizzate e alle loro caratteristiche” e poi auspicando per gli studenti che il “superamento delle prove costituisca il riconoscimento dell’acquisizione di un diritto di cittadinanza”.

Prima di dedicarci al paziente ma gustoso lavoro di smantellamento delle affermazioni contenute nell’articolo, darò conto della polemica nazionalpopolare che anche la dr. Ajello rileva, pur incorrendo in una prima evidente contraddizione: se è vero infatti che l’esame di maturità (come si ostina a chiamarlo ancora la suddetta) ha da tempo perso di credibilità, non si capisce come mai le famiglie meridionali possano ancora soddisfare le proprie aspettative riguardo ai figli più bravi puntando per essi alla lode. Non osiamo pensare che “il maggior credito che nel Meridione le famiglie attribuiscono al riconoscimento formale della scolarità raggiunta” indicato dall’autrice dell’articolo come concausa del divario geografico nelle lodi, possa anch’esso far parte delle aspettative di cui sopra, perché sarebbe come considerare alla stregua di cretini genitori che – in quanto estranei ai “disagi socio-economici e talvolta famigliari” così diffusi nel nostro Mezzogiorno – spesso sono professionisti o dirigenti: infatti, salvo che forse nella pubblica amministrazione, l’equivalenza massimo voto uguale maggiori possibilità di carriera non può essere verosimile per persone più colte ed aggiornate della media. Com’è noto infatti, grazie anche alle numerose indagini in proposito, il fattore più importante per una brillante carriera nel nostro paese è senza dubbio la raccomandazione.

Per chiarire invece i termini della polemica agostana, è bene partire da una breve riflessione del direttore della Fondazione Agnelli[2] sulle Due Italie separate dalla scuola, già provocatoria nel titolo. Gavosto, in riferimento alle proteste degli insegnanti del Sud contro i trasferimenti nelle province settentrionali, parte anch’esso da un divario, quello “nella qualità degli apprendimenti scolastici” precisando subito che non può dipendere da una eventuale “cattiva qualità dei docenti meridionali”, per passare poi ad un secondo divario, nelle tendenze numeriche della popolazione scolastica nel lungo periodo, che sono in lieve crescita al Nord e in costante calo al Sud. Un fattore contingente è invece la “complessa procedura messa in piedi dal ministero dell’Istruzione per fare fronte a un abnorme numero di richieste di trasferimento” che può essere rettificata in caso di errore mentre nulla può “in alcune materie, come quelle scientifiche, dove le cattedre si creano più vicino ai candidati, mentre in altre occorre attraversare il Paese per trovarne una disponibile”.

A ruota si esprime una rivista del settore[3] che riguardo al Sud sottolinea “la grande polarizzazione culturale, prima ancora che economica e sociale. Da una parte un élite che cerca tutti i privilegi … Dall’altra il popolo che viene paternalisticamente lasciato al suo livello” inducendo il disprezzo della “cultura divulgativa” e l’esaltazione della “conoscenza disinteressata”. L’autore conclude chiedendosi “Quanto resisterà il mito del Sud isola felice dei “progressisti” e del Nord generatore di arcigno produttivismo e di macelleria sociale?” Tralasciando un corposo studio di un’altra rivista del settore[4] che sostanzialmente conferma quanto affermato da Andrea Gavosto, concludiamo con il pensiero della ministra dell’istruzione in carica[5] all’indomani dell’annuncio di stanziamenti governativi per l’apertura pomeridiana delle scuole: la Giannini specifica che “ogni scuola che si candida dovrà obbligatoriamente fare 120 ore di potenziamento di italiano e matematica e sport”;  alla domanda sull’esame Invalsi in quinta superiore fornisce però questa confondente risposta: “L’importante è non confondere i due piani”.

Se si guarda il succedersi degli interventi brevemente elencati, verrebbe da pensare che la polemica sia stata creata ad arte per preparare lo scoop di fine agosto, in un momento di estrema fibrillazione della scuola italiana, che mai come in questo inizio anno scolastico ha vissuto un movimento così esteso del corpo docente. In effetti la mini-rassegna stampa che abbiamo raccolto focalizza l’attenzione da un lato sulla distribuzione territoriale dei “risultati di apprendimento” e dall’altro sull’ineluttabilità degli spostamenti interregionali, tralasciando nel primo caso di discutere la pretesa oggettività dei test, nel secondo di cercare le cause della totale assenza di una politica di gestione territoriale dei docenti. Probabilmente gira aria di stanchezza e frustrazione rispetto a questioni che solo l’anno scorso avrebbero infuocato pagine e pagine di riviste del settore: ecco allora che un articolo proveniente dai teorici della scuola-azienda serve a “tastare il terreno” delle teste pensanti del sistema scuola, finché, verificata la blanda reazione – magari complice il ferragosto – viene assestato il colpo.

Ma torniamo alle rivelazioni della dr. Ajello. Primo punto: le modalità di svolgimento delle prove, apparentemente neutre e adatte a garantirne la massima oggettività, impegneranno il ministero e tutte le sue articolazioni periferiche in uno notevole sforzo di allestimento con i conseguenti importanti costi. È evidente che si tratta di un importantissimo tassello del Sistema Nazionale di Valutazione, che appena avviato già dimostra quali effetti di appiattimento può produrre nel panorama scolastico italiano[6]. Tale profusione di mezzi arriverà al banale risultato di allontanare dall’insegnamento quei pochi docenti che si sono rivelati non adatti al mestiere? Resta da dimostrare, ma noi purtroppo sappiamo già la risposta.

Secondo punto: un conto è accettare di gareggiare sui quiz, cosa di per sé non particolarmente difficile, un altro sapere che il premio di questo gioco dalle regole piuttosto confuse ha a che fare direttamente col proprio futuro lavorativo (per gli studenti) o col proprio stipendio attuale (per gli insegnanti). Altro aspetto, perché monetizzare questo “strumento comparativo” paragonandolo al business delle certificazioni linguistiche? Ci aspetteremmo da un presidente di un istituto di valutazione della scuola una concezione della cultura meno mercantilista.

Terzo punto: costruire prove standardizzate è una procedura inutilmente dispendiosa salvo alcuni passaggi “3. Definizione obiettivi specifici 5. Scelta della tipologia item 6. Elaborazione quesiti 7. Determinazione punteggi grezzi”[7]; sono veramente così ignoranti di queste cose gli insegnanti, tanto da costringere i solerti funzionari Invalsi a “spiegare, ab ovo, come funzionano le prove, come si costruiscono, l’ambito della loro validità”? Forse una quota degli insegnanti entrati nella scuola superiore negli anni ’80, quella che non si è mai aggiornata, non ha mai avuto a che fare con questi miracolosi test; quelli che sono arrivati dopo probabilmente non li usano per scelta, per quanto discutibile agli occhi dell’Invalsi, del tutto consapevole.

Quarto ed ultimo punto: siamo d’accordo che tutto ciò che è misurabile è poi valutabile, ma – per scomodare Einstein – non tutto ciò che vale è misurabile. Non le sembra esagerato, cara presidente, affermare che il “superamento delle prove costituisca il riconoscimento dell’acquisizione di un diritto di cittadinanza”? Non le pare – limitandosi a valutare l’abilità di mettere delle x – di travisare le definizioni comunitarie di competenza che puntano alle capacità di essere autonomi e responsabili? Non le sembra infine di svilire il principio di cittadinanza, che contiene sì il diritto all’istruzione, ma che – proprio attraverso l’universalità di quest’ultimo – allarga i suoi limiti fino a varcare i confini degli Stati?

 

2 set. 16                                                                                             Astolfo sulla Luna

[1] Il Sole 24 Ore  del 26.8.2016;

[2] La Stampa, 9/8/16;

[3] Il Sussidiario, riassunto di Ficara in Tecnica della scuola  11.8.2016;

[4] Tuttoscuola 10/8/16;

[5] Intervista sul Corriere della Sera, 13 agosto 2016;

[6] Vedi “Finalmente il merito a scuola..o no?” del 12 maggio scorso;

[7] Vedi ad es. http://elearning-let.unicas.it/lsrf/arduini/docimologia/Lezione6.pdf

 

 

La polemica nazionalpopolare e il colpaccio dell’Invalsi ultima modifica: 2016-09-02T17:36:13+02:00 da
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