La Buona Scuola, Renzi e Berlinguer

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  di Andrea Ranieri (Direzione PD), L’Huffington Post  28.5.2015.

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Ho passato tanto tempo della mia vita politica – prima da responsabile della formazione e ricerca della CGIL, poi da responsabile scuola dei Democratici di sinistra – a difendere e a promuovere le idee che stavano alla base della Riforma di Berlinguer, e a spiegare anche ai più riottosi che l’autonomia scolastica, lungi dall’essere l'”aziendalizzazione” della scuola, era un grande passo avanti per costruire la scuola di tutti e di ciascuno, quella del “non uno di meno”, che era lo slogan che caratterizzò per lungo tempo le iniziative della sinistra sulla scuola, riecheggiando il titolo di un bel film di Zhang Yimou.

Una scuola che sapesse partire dalle specificità dei contesti territoriali e umani in cui era inserita, che mettesse al primo posto l’apprendimento dei discenti rispetto alla burocrazia e alla rigidità dei programmi e delle discipline, che sapesse fare emergere le diverse capacità di ciascuno per essere la scuola di tutti. E ho lavorato perché quelle idee, e le buone pratiche che le scuole misero in atto, resistessero alle contro riforme della Moratti e della Gelmini, informassero le politiche dei governi di Amato, di Prodi e di Letta, trovassero il sostegno dei nostri amministratori regionali e locali.

Quelle idee oggi le ritrovo più nelle manifestazioni, nelle assemblee, nei documenti dei sindacati, delle associazioni degli insegnanti e degli studenti che si oppongono al disegno di legge del governo che nel disegno di legge e nelle parole di Renzi e della Giannini. E mentre non mi stupisco a leggere gli apprezzamenti che vengono da Letizia Moratti e dalla Gelmini, mi stupisco un po’ dell’invito ad andare comunque avanti che Luigi Berlinguer rivolge al Presidente del Consiglio.

Nelle piazze di questi giorni ho visto sfilare tante scuole dell’autonomia, insegnanti, personale tecnico e amministrativo, genitori, studenti, a volte anche qualche dirigente scolastico, che difendevano il loro lavoro, e la loro possibilità di continuare a cambiare la scuola. Hanno faticato in questi anni di tagli e di sordità della politica. E hanno compiuto alcune di esse dei veri e propri miracoli. Hanno imparato a inserire i disabili meglio che in qualsiasi altro Paese del mondo, a tenere insieme bambini e ragazzi di tante lingue e colori, a lavorare per questo coi linguaggi che sono di tutti. La pittura, la scultura, la musica, la danza. Hanno dovute molte di queste cose impararle da soli. Facendo ricerca sul campo. Provando e riprovando ad essere davvero la scuola di tutti. La parola che più gli piace è cooperazione, perché solo insieme si può provare a vincere queste sfide, soprattutto quando gran parte di quello che ti sta intorno – la politica, il lavoro, i media, a volte la stessa famiglia-sembra aver perso ogni dimensione educativa. E in tante situazioni hanno superato nella pratica educativa l’individualismo del docente che entra in classe e chiude la porta, padrone delle sue ore e della sua materia.

Ce l’hanno col disegno di legge perché non affronta nessuno dei nodi e dei problemi che hanno davanti, perché chi l’ha scritto non sembra essersi mai confrontato con la “buona scuola reale”, quella che ha fatto buona scuola anche coi muri che ti cadevano addosso, e con classi di più di 30 ragazzi. Si sarebbero aspettati che si affrontasse finalmente il problema delle risorse pubbliche necessarie per attivare i Progetti dell’Offerta Formativa; la formazione dei docenti per renderli partecipi della cultura della scuola dell’autonomia; il problema di un’Università che sa solo trasferire il sapere disciplinare e non ti insegna ad insegnare, e che si valorizzasse a questo fine la ricerca che si fa a scuola; che si ragionasse sul rapporto fra scuola e territorio, ridefinendo i compiti dei comuni e delle Regioni; che si riprendesse in mano il problema del curricolo verticale per costruire ponti fra i diversi ordini di scuola; che si affrontasse il problema della dispersione scolastica e delle diseguaglianze nel livelli di apprendimento fra i diversi ordini di scuola e le diverse aree geografiche del Paese; che si costruisse finalmente un vero sistema nazionale del diritto allo studio, con le risorse adeguate, e un vero sistema di long life learning, che non è solo educazione degli adulti, perché come Berlinguer sa benissimo la long life learning comincia dalla scuola dell’infanzia.

E hanno prodotto molti di loro – c’è su questo un bellissimo documento del CIDI di Torino – idee e proposte su come costruire percorsi di sviluppo professionale e di differenziazione delle funzioni basate sulla cultura dell’insegnante che l’autonomia la pratica, che sa che crescere vuol dire competere con se stessi e cooperare con gli altri, idee certamente più avanzate e funzionali alla cultura della scuola dell’autonomia, del premio erogato dal Preside. Che era un po’ quello che avremmo provato a fare, Berlinguer se lo ricorderà, dopo il grave errore del concorsone, che aveva il grave difetto di essere centralista, nazionale, sostanzialmente indifferente alla svolta dell’autonomia.

Nessuna di queste cose è seriamente affrontata nel disegno di legge. Alcune sono affidate a decreti delegati, in piena discrezionalità del governo, scritti magari dagli stessi che hanno steso il disegno di legge con le vere e proprie assurdità che il Parlamento, sotto la pressione della grande mobilitazione della scuola, ha dovuto correggere, riducendo i danni, ma non cambiando l’impostazione di fondo che ne sta alla base. Nel disegno di legge hanno trovato l’idea davvero straordinaria che il compimento dell’autonomia è dare più poteri al dirigente scolastico, “decisionista”, com’è decisionista il nostro Premier, finalmente in possesso, più meno in esclusiva, del potere di premiare, sorvegliare, punire. Davvero poco, e davvero male, per il fatto in sé ma anche perché occulta e mistifica i problemi reali che le scuole hanno davanti tutti i giorni.

Berlinguer dà grande importanza al fatto che finalmente c’è l’arte e la musica. E siccome conosco il grande impegno che ha profuso in questi anni per la musica nelle scuole, capisco la sua soddisfazione su questo punto. Ma anche su questo mi pare che siamo lontani da una riflessione sul salto culturale necessario. Perché la scuola sia “umana” non basta aggiungere materie. Occorre che la musica sia uno strumento per valorizzare e mettere alla prova le diverse intelligenze, come avviene già nella scuola di base, diventi uno dei mezzi per affrontare la stessa dispersione e marginalizzazione dei più deboli, come è avvenuto su scala di masse in Venezuela con quello straordinario progetto educativo portato avanti dal Maestro Abreu, e promosso in Italia da Claudio Abbado. Altro che qualche ora in più, ma è in dubbio che ci sia per lo meno nelle superiori, che dovrebbe servire a fare dell’Italia, parola del Presidente, una “super potenza culturale”.

Ora il Senato riprenderà la discussione. Ma la discussione è nel frattempo esplosa in tutto il Paese. Occorre che il dibattito parlamentare ne assuma i contenuti, nei tempi e nei modi dovuti, e che si approvino invece rapidamente le misure sul precariato – siamo già fuori tempo massimo – magari confrontandosi in maniera un po’ più seria coi sindacati, a cui tra l’altro andrebbe data risposta alla loro richiesta più pressante: aprire finalmente le trattative contrattuali, più adatte della legge a definire gli stipendi, gli orari, lo stesso sviluppo professionale del personale della scuola.

La Buona Scuola, Renzi e Berlinguer ultima modifica: 2015-05-28T17:05:59+02:00 da
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