Antefatti passati e misfatti recenti in tema di valutazione

Insegnare_logo1di Caterina Gammaldiinsegnare  2.12.2017

Antefatto
Il testo che segue nasce e si sviluppa negli ultimi mesi a seguito di numerose richieste di gruppi di colleghi, scuole sui temi della valutazione alla luce delle scelte legislative che seguono la L 107/15 e che hanno portato all’emanazione del Dlgs 62/17 e dei DM 741 e 742 e alla pubblicazione della nota n. 1855 del 10 ottobre scorso avente per oggetto “Indicazioni in merito a valutazione, certificazione delle competenze ed Esame di Stato nelle scuole del primo ciclo di istruzione”.
La lettura degli atti – una modalità a cui non rinuncio – mi ha spinto a ricostruire in modo puntiglioso quanto è avvenuto nella scuola su un tema divisivo per sua natura, a partire dall’emanazione della L 53/03: un delirio di comportamenti professionali alimentati dall’editoria, da sedicenti esperti  in assenza di un pensiero riflessivo e condiviso che potesse rilanciare il dibattito e la ricerca in materia valutativa.
Ha prevalso la vulgata, segno di tempi che preferiscono semplificare in nome e per conto di richieste alla scuola che provengono dalla politica, dalla società, da chi pensa di introdurre strumenti che possano semplificare il lavoro degli insegnanti e la comunicazione con i genitori e gli studenti.
Coerentemente con una visione dell’insegnamento – apprendimento trasmissivo, che si nutre del rapporto spiegazione – interrogazione – voto, l’intervento  sul primo ciclo è stato ed è devastante. Hanno prevalso le classifiche, il merito, la rendicontazione sociale. L’obiettivo era ed è quello di smantellare gli ultimi quarant’anni di scuola [1] colpevoli del “detto e non detto” (come ebbe a dire nello stesso anno l’allora ministro dell’economia Giulio Tremonti).
E siamo ancora lì, nonostante il tentativo di mediare di cui si legge in numerosi articoli e prese di posizione (appelli per eliminare il voto, richiami alla valutazione formativa  e descrittiva…), dopo il fallimento delle interlocuzioni con la politica per ritornare a crescere culturalmente e professionalmente nella scuola di tutti.  Nessuno sembra accorgersi che nel frattempo,  con buona pace della coerenza e del contesto, si propongono ai collegi docenti strumenti di osservazione, valutazione che farebbero inorridire chi ha costruito il sapere della scuola su una idea della valutazione non separata dalla dimensione progettuale.
Vediamo (ancora una volta) più in dettaglio.

Il decreto legislativo 62/17
Ripropongo la lettura di Art. 1 comma 1, un testo che propone una prima riflessione intorno ai concetti di  processo formativorisultati di apprendimento – con un puntuale richiamo ai verbi utilizzati nel corpo del testo  “ha [il corsivo è mio] finalità formativa e educativa”,  “documenta lo sviluppo dell’identità personale”, “promuove l’ autovalutazione di ciascuno in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze” – che sono presentati in perfetta “sintonia” con l’attribuzione dei voti, che mi appaiono invece non compatibili con quanto ho imparato da insegnante nei lunghi anni di ricerca e studio sulla valutazione con esperti quali Visalberghi e Vertecchi, con cui ho avuto l’onore di lavorare.
Se  l’osservazione dei processi si colloca all’interno delle dinamiche di insegnamento/ apprendimento, con strumenti e modalità inevitabilmente descrittivi e qualitativi, in rapporto al curricolo, i voti non sono compatibili. Se  si tratta di risultati di apprendimento (faccio riferimento alla definizione presente nei documenti europei) non posso non evidenziare che i voti non sono compatibili.   Conoscenze, abilità, atteggiamenti, competenze indicano che cosa uno studente sa, comprende ed é capace di fare alla fine di un percorso di apprendimento. Progressività e progettualità, rapporto fra progettazione dei percorsi curricolari e la valutazione… siamo ancora all’anno zero!  Si confondono, senza  alcun commento, osservare, verificare, misurare… Concetti ripresi nei documenti normativi successivi su cui raccomando esercizi di lettura selettiva.

Un passo indietro. Il ritorno ai voti nel primo ciclo
Era il 2008. Dopo i disastri della L 53/03 (si rileggano nell’articolato, nei decreti attuativi, e nei Piani di studio personalizzati i passaggi sulla valutazione, unità di apprendimento, portfolio e personalizzazione compresi) così Tremonti, l’allora ministro dell’Economia rispondeva a un giornalista sul tema della valutazione.
Torniamo comunque alle elementari e alle medie e cioè ai due segmenti essenziali della formazione scolastica. Qui non troviamo più i numeri, perché al loro posto sono stati inventati i giudizi. Tra numeri e giudizi c’è una differenza profonda. Ogni valutazione deve mettere capo a una classifica. Questa è la logica della valutazione. Se non c’è una classifica, non c’è neanche una reale valutazione … non mi sembra affatto un’esagerazione tornare a dare i voti come una volta: 10, 9, 8 e così via. Perché la verità è semplice: dare un giudizio senza una classifica significa non dare affatto un giudizio reale. Il voto non esprime un arbitrio, ma al contrario obbliga l’insegnante e l’alunno ad assumersi precise responsabilità, a produrre una sintesi dei diversi materiali che stanno alla base della valutazione di un allievo. Dove non c’è un voto, non viene fornita una reale informazione sul reale andamento scolastico dello studente né a quest’ultimo, né alla sua famiglia. La logica del giudizio senza vincoli numerici è troppo spesso una logica dell’irresponsabilità, dell’ambiguità, del “detto e non detto”, dell’interpretazione casuale. I numeri possono tra l’altro riflettere una “media”: invece, con gli aggettivi e gli avverbi di cui sono riempiti i cosiddetti giudizi, si fa solo confusione”. 
E a proposito di questo intervento, è interessante notare come, dopo tanto tergiversare ed emendare, si sia attualmente giunti (con il DM 741/17) ad affiancare ai voti un giudizio, così come per altro auspicato allora dallo stesso Tremonti: “Il giudizio può accompagnare il voto, renderlo chiaro, esplicitarlo, in una parola motivarlo, ma non può sostituirlo. Nella loro strutturale imprecisione, i giudizi da soli sono normale causa di confusione. Per come sono strutturati e ‘bizantinati’, troppi giudizi sembrano fatti apposta per mandare fuori di testa i genitori o per stendere i ragazzi sul lettino dello psicanalista o per portarli tutti insieme da un avvocato che ti predispone il ricorso – quasi sempre vincente – davanti al Tar. Tutto questo mina gravemente un fondamento tradizionale della nostra società, che è quello del rapporto necessario di autorità e insieme di fiducia che ci deve essere tra l’allievo, la famiglia e l’insegnante. Si figuri poi quando gli insegnanti sono quattro per ogni classe!”.
E’ bene ricordare che questo è il pensiero pedagogico che da dieci anni governa la scuola italiana.
Altrettanto esplicita era la lettera aperta della Gelmini sopra citata, atta a segnalare il perché del ritorno ai voti nel primo ciclo, una scelta ideologica che purtroppo non produsse proteste estese, né da oparte della scuola, né della pedagogia accademica (semplificava, si disse, il lavoro degli insegnanti e la comunicazione con le famiglie e con la scuola che segue). In realtà si tornava alla scuola degli anni ’50, a dividere con classifiche chi merita la scuola e chi no. Il problema era ed è la scuola superiore. Un’idea di valutazione degli apprendimenti in cui ha prevalso la selezione di classe. In fretta la scuola liquidò la propria storia e il contributo degli esperti. Avanzavano nuovi bisogni e nuove idee di società a cui dare risposte.

Passano 9 anni e arriva la 107/15
A fronte di una richiesta di certificazione delle competenze (2010), dell’emanazione di un nuovo documento pedagogico di riferimento per le scuole (le Indicazioni nazionali, 2012 ), in cui un intero paragrafo è legato alla valutazione rimangono aperti tutti i terreni di scontro, le ambiguità sul fronte della personalizzazione e dell’individualizzazione, le criticità emerse dalle rilevazioni nazionali (INVALSI), con una sola certezza: occorre addestrare gli studenti e in qualche caso “imbrogliare” (fenomeno del cheating) per rientrare nei parametri, confondendo ruolo e funzione della scuola e ruolo dell’INVALSI, allora istituto nazionale incaricato di monitorare il sistema, non ente certificatore come nelle norme appena approvate. Rimane aperta e confusa la tesi relativa all’importanza della  valutazione dei contesti educativi, il rapporto con la scuola dell’ente nazionale incaricato di certificare.

Il delirio
Utilizzo questo termine per dar conto di quel che rimbalza dalle scuole, allertate da solerti dirigenti in vena di modificare il PTOF nella parte della valutazione. Ennesimi adempimenti burocratici di criteri e modalità improvvisati, mentre nell’attività didattica si decide se mettere  3 o 4, se allineare processi e esiti.  Così si esprimono i colleghi intervistati:  “L’espressione di un  voto coincide di fatto con la valutazione (e fin dalla prima classe della scuola primaria)”. L’esigenza di rivedere il PTOF  (la legge dice eventualmente entro la fine di ottobre) ha impresso  una accelerazione alla ricerca di nuovi criteri e modalità (il più delle volte pilotati da gruppi su FB finalizzati alla omologazione ).
Gli insegnanti osservano atteggiamenti, prestazioni, andamenti, processi con strumenti diversi (giudizi, parole, rubriche, numeri …). Si confondono osservazione dei processi e esiti nell’affannosa  ricerca di una corrispondenza fra gli uni e gli altri attraverso un voto che li rappresenti entrambi. La scuola certifica competenze  per livelli ma … tendenzialmente trasforma la descrizione del livello  in voti. Si fa media fra aspetti non comparabili attribuendo la responsabilità delle scelte al registro elettronico (con annotazioni limitate al voto). Si diffondono acriticamente  i “compiti di realtà” per certificare  le competenze; dopo anni di ambiguità intorno ai concetti  di personalizzazione e di individualizzazione si sceglie la personalizzazione (è nel testo normativo)  in linea con quanto proposto nella legge 53/03 e nei decreti attuativi; L’INVALSI per legge diventa l’ente certificatore e la preoccupazione per la valutazione di sistema non fa cadere anzi alimenta  l’addestramento (risoluzione di test), complici anche le preoccupazioni della valutazione dei dirigenti scolastici in corso.  Molti problemi interni alla valutazione sono mal collegati, come detto, al fenomeno del cheating (il cosiddetto “imbroglio”),  con ricadute sulla progettazione del curricolo   E molto altro ancora …
Possiamo finalmente dire che Giulio Tremonti e Mariastella Gelmini sono a tutto tondo i pedagogisti e i docimologi di riferimento della scuola italiana, con buona pace dei reiterati inviti alla valutazione formativa e alla certificazione delle competenze da parte delle circolari ministeriali, che hanno ormai più il sapore dela presa in giro che della indicazione educativa!

Gli esami conclusivi del primo ciclo
Le tipologie prescelte per le prove scritte, le indicazioni sulla gestione del colloquio richiamano l’attenzione su un punto. Quelle prove corrispondono a una letto – scrittura insegnata o solo valutata? Che ne è della letto – scrittura nel curricolo, che ne è dei nuclei espressivi ed espositivi fondanti di italiano, matematica, lingue straniere? Non vorrei che i nostri ragazzi alla fine della terza media si trovassero di fronte a prove che vedono per la prima volta e a colloqui che, se non sapientemente orientati, ripropongono le interrogazioni nelle discipline. Il tutto in fretta e alla rinfusa fin da quest’anno.

Osservazioni conclusive
Molto ancora ci sarebbe da dire per esempio su alcune innovazioni che non tengono per nulla conto della realtà della nostra scuola (“Computer Based Testing”, valutazione del comportamento, dei DSA certificati). L’Italia è lunga e mi appare miope una politica scolastica che non sa leggere quel che scrive. Mi limito ad osservare che la valutazione è tema  complesso, che richiede studio e ricerca (v. art. 6 DPR 275/99); divisivo (divide la comunità professionale, insegnanti e studenti, gli studenti fra loro, scuola e genitori, fra un ciclo e l’altro); costitutivo del profilo professionale  (art. 27 CCNL) verso  competenze disciplinari, psicopedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali e di ricerca, documentazione e valutazionetra loro correlate ed interagenti, che si sviluppano col maturare dell’esperienza didattica, l’attività di studio e di sistematizzazione della pratica didattica…
Vale ancora mantenere la complessità della riflessione su questa funzione? Spero di sì.  Per questo non rinuncio a rivendicare rispetto per la scuola e i suoi insegnanti, lesi nella libertà di insegnamento e nella collegialità.


Note

1. Cfr. M. Gelmini, “Quarant’anni da smantellare” in Corriere della sera, 23.08. 2008.
2. Cfr. C. Passera, “In soffitta la scuola figlia del ’68. Parla Giulio Tremonti”, sottotitolo “Due idee per abrogare il ’68 e chi ‘mangia’ sulla scuola”,  “la Padania”, 12 agosto 2008, ora in www.fattisentire.org.

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Antefatti passati e misfatti recenti in tema di valutazione ultima modifica: 2017-12-03T07:08:07+01:00 da
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