Aperta d’estate, così padri e madri hanno “rubato” il tempo dei bambini

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di Carlo Bellieni, il Sussidiario, 18.6.2017

– Anche quest’anno il ministro dell’Istruzione ha proposto una sua versione delle scuole aperte d’estate. Una iniziativa contraria al buono sviluppo dei bambini.

Certo, la versione di “scuole aperte d’estate” creata dall’attuale ministro è meno preoccupante di quella dell’anno passato e di altra ministra, in quanto almeno qui non si intende creare un doposcuola estivo ma aprire i locali alle associazioni per attività di vario tipo, a quanto si capisce non di tipo “apprenditivo”.
E’ una versione meno preoccupante, ma lascia una bella discussione: perché la scuola aperta d’estate non è un problema per gli insegnanti, come si vorrebbe far credere, ma è un problema culturale.

In primo luogo apre la discussione su cosa serve ai bambini; già, perché noi diamo per scontato un sistema che tiene al chiuso e seduti i piccoli nell’età dell’irrequietezza e delle scoperte, come se le scoperte fossero tutte “di cervello” e non “di mani” “di occhio”, “di fatica fisica”, “di contatto con gli altri”. La scuola si basa sull’apprendimento mentre la fisiologia infantile si basa sul coinvolgimento, e le due cose cozzano fra loro; così come cozza con lo sviluppo della vista tenere il bambino al chiuso (il cristallino dell’occhio ne risente) o seduto costantemente (se si siede in una cattiva posizione e gli fa male la schiena non è colpa sua). Per non parlare di quanto sia antifisiologico buttare giù dal letto bambini e ragazzi in pieno sonno Rem alle sei o alle sette di mattino! Insomma, andare a scuola forse è quanto di meglio si ha per “informare” (sul teorema di Pitagora), ma per “formare” ci potrebbero essere maniere meno antifisiologiche, e far continuare questo sistema anche nei pochi mesi di vacanza e relax mentale e fisico non è il massimo. Siamo sicuri che ai bambini e ai ragazzi serve davvero “imparare”, e invece “coinvolgersi” o “andare a caccia di scoperte” sia un’opzione da perditempo?

Il secondo problema culturale è il rapporto scuola-famiglia, che già impostato così mette paura perché tratta le due entità come fossero di egual importanza, mentre la scuola dovrebbe essere considerata per quel che è: un utile strumento. E si capisce che il punto sarebbe non di dare più scuola d’estate, fossero anche le aule alle associazioni, ma più agio e libertà ai padri e alle madri per gestire da sé, in gruppi con altri, in associazioni non calate dall’alto il vissuto loro e dei figli. Ma i tempi del lavoro e del mercato sono inesorabili e costringono i genitori all’assenza, grave patologia del nostro tempo che scontiamo con figli iperattivi e disattenti e legati telefonini e pc. Assurdo è stato negli anni veder eroso il tempo di vacanza dei bambini non nel loro interesse, ma in quello dei grandi: dei padri che non devono restare a casa a “fargli fare qualcosa” e dei lavoratori sindacalizzati che invidiavano le lunghe vacanze dei docenti.

Terzo problema però è quello che purtroppo ci fa dire “il re è nudo”: dove è la famiglia? Cosa ne è oggigiorno? Si discute di plurime forme di famiglia, senza vedere che in una forma o in un’altra la famiglia si è dissolta nell’acido degli obblighi di mercato e non ne esce. Non è più in grado di progettare, di fare più di uno-due figli e quelli che ha li piazza davanti alla tv, li lascia a se stessi e — eccoci! — non aspetta altro che apra la scuola per toglierseli di torno (o nella migliore ipotesi per farli vigilare da qualcuno). E questo indipendentemente da quello che voi intendiate per famiglia.

Scuola d’estate? Ci sembra troppo, ma forse se lo merita un’Italia dove le famiglie smettono di fare le famiglie.

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Aperta d’estate, così padri e madri hanno “rubato” il tempo dei bambini ultima modifica: 2017-06-18T06:59:04+02:00 da
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