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Due lettere per crederci ancora
Da tempo (diciamo da quasi due mesi) sto cercando di confezionare un editoriale dal titolo “Opporsi alla legge 107”, senza però riuscirci. Non che manchino argomenti, testimonianze, citazioni. Tutt’altro. Quello che manca è la convinzione che possa servire ancora a qualcosa.
A che serve, infatti, raccogliere ulteriori argomentazioni a dimostrazione dei guasti che quella legge arreca e arrecherà alla scuola, a fronte della spocchiosa arroganza con cui il governo e i vari responsabili del settore scuola hanno trattato finora ogni forma di non condivisione, anche interna?
A che serve se ormai, dati per certi i danni della legge, ci si deve già logorare per evitare quelli delle deleghe?
A che serve se dalle colonne del Corriere e nel suo sfavillante blog Roger Abravanel continua a lamentare l’insufficienza di provvedimenti che avrebbe voluto ben più drastici nel condurre la scuola italiana sulle gloriose strade della meritocrazia, della canalizzazione precoce e del rapporto con le imprese?
A che serve se anche il fronte dell’opposizione culturale e professionale a questa legge non riesce a liberarsi dai lacciuoli di un fare politica sempre meno praticabile in un paese in cui tutto – dalla scuola, alla guerra, ai diritti delle persone – si traduce ormai purtroppo in pietose pagliacciate a uso di talk show sempre più inguardabili?
A che serve se ormai buona parte della scuola si è rassegnata al suo eterno destino: lavorare comunque, ogni giorno, indipendentemente e contro una politica che da almeno due decenni emana leggi e provvedimenti a dir poco ostativi e defatiganti quando non scellerati?
In attesa di ricominciare a credere che serva ancora a qualcosa, se non altro per parlare dei referendum abrogativi di alcuni articoli della L. 107, vorrei affrontare la questione da un punto di vista apparentemente collaterale.
Nei giorni scorsi sono arrivate al Cidi Torino, che le ha girate alla posta del Direttore diinsegnare, due lettere, che appaiono (e sono) assai diverse, ma pongono un problema comune: se e come “reagire” al bonus dei 500 euro.
Sulla rivista abbiamo già parlato a lungo dell’argomento e la nostra posizione è nota: lo consideriamo un provvedimento sbagliato e dannoso, in sostanza offensivo e non solo inutile ma controproducente per realizzare quella formazione in servizio permanente (più efficace che obbligatoria) di cui la scuola ha da sempre assai bisogno e che il Ministero da decenni si guarda bene dal promuovere e organizzare. Tutto questo, anche al di là di tentativi ed esperienze ragguardevoli che però non sono mai diventate “sistema”, rende ancora più evidente la scelta di immolare la scuola non tanto a un Piano Nazionale di Ricerca e Formazione Permanente, quanto alla edificazione (a tratti assai poco edificante) del Sistema Nazionale di Valutazione, con gli ambigui risultati che sono sotto gli occhi di tutti!
Ebbene, date queste premesse, non possiamo che condividere forma e sostanza della prima di queste due lettere:
Vi scrivo per chiedervi se sapete se si è poi giunti a una decisione collettiva comune, in ambito nazionale, per una simbolica restituzione del bonus da 500 euro (che trovo una misura populista e demagogica, individuale e anticollegiale).
Finora mi sono rifiutata sia di raccogliere scontrini che di comprare tablet (!), ma sto pensando di usarli – se non si arrivasse a una restituzione nazionale simbolica – per fare corsi con i centri e le associazioni più meritevoli, a mio avviso, in modo da sostenere le loro iniziative.
Grazie!
Chiara Panzieri
La collega esprime la stanchezza e la rabbia di chi ha a lungo creduto che qualcuno avesse davvero a cuore la dignità del suo lavoro e che si preoccupasse di sostenerlo con modalità adeguate.
A lei va tutta la solidarietà di insegnare e il dispiacere che non si sia voluto e potuto fare qualcosa per restituire collettivamente il non richiesto “maldato”. Sull’ipotesi conclusiva non possiamo che essere d’accordo, iniziative di insegnare incluse, anche se continuiamo a esprimere il rammarico che la crescita professionale dei docenti sia affidata in primis a un “mercato” per altro finto e manipolato come quasi tutti i “liberi” mercati in cui sguazza la nostra esistenza. Da molto tempo, ma ormai senza più remore, regole e pudori!
Ma poi è arrivata una seconda mail, a commento di una iniziativa che il Cidi Torino ha organizzato (gratuitamente) in collaborazione con una libreria democratica della città.
Eccola.
Vi ringrazio per questo! L’arricchimento e l’aggiornamento di un insegnante non è solo dato dai cosiddetti “corsi” … si tratta anche di rimanere sulla stessa lunghezza d’onda delle novità editoriali, delle iniziative culturali proposte dagli enti della propria città… ho particolarmente apprezzato, quindi, l’idea di Scaffale aperto.
Manuela Vallarino
Questa seconda mail è assai interessante perché suggerisce tre osservazioni.
La prima. Conferma la buona volontà, la passione, il desiderio di migliorare anche individualmente per far bene scuola che accomunano molti docenti. E in questo è in sintonia con le motivazioni della mail precedente: non a caso, verrebbe da dire con un po’ di partigianeria, che entrambe le colleghe vedono nel Cidi un interlocutore credibile e in sintonia con la propria professionalità.
La seconda. La mail è un implicito avallo del bonus dei 500 euro poiché esprime condivisione per le opportunità offerte di crescita culturale in contesti vari, e gratitudine al Cidi che le trasforma in “formazione”.
La terza. La collega sancisce la confusione fra aggiornamento individuale, crescita culturale e formazione in servizio, che a nostro parere è il vulnus peggiore inferto dal bonus al sistema istruzione. Anzi, con quella battuta polemica sui “corsi” (che richiama alla memoria quella terribile del Renzi candidato segretario del PD: “I corsi di formazione servono solo a chi li tiene!”), la collega sembra quasi esprimere la soddisfazione per essere affrancata dal doversi formare come obbligo di servizio, e di potersi sceglier liberamente (e per di più rimborsata) i personali percorsi di crescita individuale.
È proprio in quell’individuale (contrapposto al “collegiale” della prima mail) che sta tutto il nostro dissenso, la preoccupazione che la via personale alla crescita professionale non porti a un reale miglioramento dei processi di insegnamento/apprendimento, che vanno ormai progettati e realizzati in équipe collaborativa. Ma è pur vero che troppi “corsi”, in questi lunghi anni, non solo non sono serviti ma spesso hanno reso invisa la loro stessa esistenza.
Questa rivista non ha nulla contro la crescita e l’aggiornamento individuali: abbiamo una rubrica intitolata lo “Scaffale” (come l’iniziativa del Cidi Torino) e presto la rinforzeremo anche con incontri pubblici; abbiamo promosso e continueremo a promuovere la lettura di buoni libri sulla e soprattutto per la scuola… Ma pensiamo che a questa componente della crescita professionale dei docenti si dovrebbe pensare dopo e con minor investimento di risorse rispetto alla necessità prioritaria di rispondere alla comune esigenza che quelle due lettere esprimono: la promozione e la diffusione di condizioni che rendano più facile e confortante il far bene scuola!
Infine, sulla “Buona scuola”. Queste due mail esprimono anche un diverso atteggiamento “politico” rispetto al come vivere e lavorare ai tempi della L. 107. La prima sottolinea la rabbia e la sofferenza di chi ha la sensazione che ci sia ormai ben poco da fare, ovvero le valutazioni da cui siamo partiti. La seconda sembra riconducibile alla posizione di chi, ora che è Legge dello Stato, cerca di ricavarne il meglio possibile, senza tradire i propri principi. Sono due stati d’animo (e reazioni) diversi, che convivono anche nella nostra associazione (meno nella redazione della rivista, più schierata sulla prima istanza) e di cui ci è sembrato onesto e utile, attraverso quelle due belle lettere, dar conto in questo editoriale. Nel prossimo, invece, parleremo di chi e come ancora si oppone alla L. 107, sperando di fermarla.
A entrambe le colleghe (e a chi si è riconosciuto nelle due lettere) l’invito a continuare a seguirci: la battaglia quotidiana per una crescita professionale, sia collaborativa che individuale, su queste pagine continua…
Il piano di stabilizzazioni, quelle che governo e media si ostinano a chiamare “assunzioni”, previsto dalla legge 107/2015 ci consente di fare una prima riflessione sugli insegnanti di nuova generazione neo immessi in ruolo. [1]
A voler considerare l’età anagrafica, il numero di anni di permanenza nelle GAE, il numero di concorsi superati, i corsi di specializzazione, master, percorsi formativi abilitanti frequentati, siamo di fronte a una generazione che oscilla fra i 40 e i 50 anni, con esperienza lavorativa maturata nella scuola o altrove in condizione di estrema precarietà. E oggi “garantiti” dall’immissione in ruolo, con contratti “a tutela crescente”.
Se concentriamo l’attenzione sulla fase C, ovvero sull’organico a disposizione delle scuole per il potenziamento, abbiamo chiara la situazione: si tratta di nuove forme di precarietà, spesso senza alcun atto formale scritto – peraltro previsto – che li impegni effettivamente nell’istituzione scolastica a cui sono stati assegnati, spesso utilizzati in attività di “supporto” a una o più classi o impiegati in “supplenze”. [2]
Eppure era previsto che le scuole, all’atto della richiesta, formulassero una ipotesi progettuale sulla base delle problematiche effettivamente individuate in relazione al contesto. Sono molti i dirigenti a lamentare l’arrivo di docenti che non corrispondono alle richieste a suo tempo formulate, in molti casi in numero inferiore al fabbisogno previsto e alle esigenze prospettate.
Si potrebbe obiettare che, una volta arrivati, sarebbe comunque stato necessario formulare un progetto di utilizzo delle competenze. Non sempre è così; quando si verifica, esso è sottoscritto tardivamente e non sempre tenendo conto delle competenze culturali e professionali del docente neo arrivato. [3]
A questa generazione di insegnanti si chiede ora di redigere il proprio bilancio di competenze (l’operazione è stata spostata da novembre a gennaio poi a … non si sa quando), in avvio del periodo di formazione previsto dalle legge che, come al solito, interverrà ad anno scolastico avviato. Più o meno contestualmente sono previste le attività peer to peeer che il neo assunto svolge in collaborazione con il proprio tutor, attività di cui dovrà fornire documentazione da osservatore e da osservato, in attesa della fatidica relazione finale e del parere favorevole del DS.
È evidente: siamo di fronte a un pasticcio. Le “assunzioni”, ovvero le stabilizzazioni, hanno l’unico pregio di garantire, in presenza di una elevata disoccupazione intellettuale, un lavoro finché non prenderà avvio la girandola prevista dagli ambiti territoriali che andranno a sconvolgere quel minimo di tranquillità raggiunta in questa fase.
Tranquillità che nella nuova condizione lavorativa fa i conti con l’ansia legittima di chi si misura con le difficoltà dei bambini, dei ragazzi, degli adolescenti, in assenza del necessario rapporto fra progettazione curricolare e valutazione degli apprendimenti, di spazi e tempi riconosciuti di riflessione e di collaborazione con gli insegnanti di classe, in presenza di un uso disinvolto della valutazione numerica, divenuto l’elemento che addormenta l’agire professionale schiacciandolo sul rapporto lezione – interrogazione – voto.
Non è così dappertutto! Certo! Ma… in realtà sappiamo che, nel profondo Nord e nel profondo Sud, si cercano, in questa fase dell’anno, supplenti: registrare, a tutte le latitudini, le preoccupazioni di chi, abilitato, non vede una prospettiva di futuro (si legga quel che circola sulla mobilità per i garantiti e sul nuovo concorso a cattedra per chi non è ancora stato stabilizzato); sentire i racconti di supplenti che partono alle 4 del mattino dalla costa ionica calabrese per raggiungere Lecce come supplenti, oppure di quelli che le scuole lombarde e piemontesi ricercano in questa fase dell’anno, non aiuta a valutare positivamente quel che, a seguito della legge 107/ 2015, si è messo in moto.
Se non sbaglio si era detto a più riprese che finalmente sarebbero diminuite le supplenze, anzi che non ce ne sarebbero state più. Mah!
Come insegnante di vecchia generazione, ormai in pensione, vorrei poter sollecitare le scuole, gli insegnanti in servizio, i dirigenti scolastici a compiere una riflessione seria su quel che realmente è accaduto o si prospetta, dimenticando per un momento gli atti imposti dalla legge (la pubblicazione del PTOF e del PdM), l’elezione dei Comitati di valutazione degli insegnanti per assegnare “i premi al merito” (che in queste circostanze appaiono davvero come la beffa che tenta di coprire il danno), per provare a ricostruire il senso di una professione smarrita, pur tanto importante per la crescita del nostro Paese.
Note
1. Il piano straordinario ha previsto 4 fasi: le prime due, Zero e A, secondo le regole esistenti, ovvero fino alla copertura dei posti liberi in organico di diritto in ciascuna provincia; la fase B ha previsto la copertura dei posti disponibili non assegnati; la fase C l’assegnazione di posti sull’organico aggiuntivo secondo le ipotesi formulate dalle istituzioni scolastiche per il potenziamento.
2. Nella fase C sono stati assegnati a ciascuna istituzione scolastica da 3 a 10 insegnanti in rapporto alle scelte formulate nel Piano dell’offerta formativa (con riferimento al 2015/2016). Per i riferimenti normativi si veda art. 1 comma 7 e il comma 85.
3. La tabella qui allegata è parte integrante della legge 107/15. Non compare – perché non previsto – il potenziamento nella scuola dell’infanzia. Le 23.000 assunzioni in questo ambito sono differite all’istituzione del sistema integrato 0-6, di cui appaiono tutte le difficoltà (pubblico – privato, anticipi, sezioni primavera, profili professionali nei nidi e nella scuola dell’infanzia, scuole comunali ecc.) di cui sulla rivista si è ampiamente dibattuto.
Allegato
Da legge 13 luglio 2015, n. 107, “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”, GU Serie Generale n. 162 del 15-7-2015.
Entrata in vigore del provvedimento: 16/07/2015.
POSTI DI POTENZIAMENTO
Regione | Primaria | Secondaria di I° |
Secondaria di II° (**) |
Totale | Sostegno |
---|---|---|---|---|---|
Abruzzo | 449 | 176 | 607 | 1.232 | 182 |
Basilicata | 264 | 109 | 394 | 767 | 50 |
Calabria | 664 | 268 | 967 | 1.899 | 193 |
Campania | 1.815 | 810 | 2.689 | 5.314 | 691 |
Emilia-Romagna | 1.307 | 487 | 1.581 | 3.375 | 433 |
Friuli-Venezia Giulia* | 421 | 164 | 529 | 1.114 | 91 |
Lazio | 1.653 | 647 | 2.112 | 4.412 | 788 |
Liguria | 478 | 193 | 649 | 1.320 | 164 |
Lombardia | 2.852 | 1.065 | 3.091 | 7.800 | 1.023 |
Marche | 517 | 198 | 698 | 1.413 | 189 |
Molise | 188 | 76 | 271 | 535 | 34 |
Piemonte | 1.250 | 488 | 1.506 | 3.244 | 416 |
Puglia | 1.236 | 513 | 1.820 | 3.569 | 468 |
Sardegna | 530 | 215 | 769 | 1.514 | 162 |
Sicilia | 1.595 | 668 | 2.131 | 4.394 | 649 |
Toscana | 1.078 | 427 | 1.432 | 2.937 | 354 |
Umbria | 363 | 139 | 460 | 962 | 94 |
Veneto | 1.473 | 563 | 1.767 | 3.803 | 465 |
TOTALE | 18.133 | 7.206 | 23.473 | 48.812 | 6.446 |
(*) Inclusi i posti per la lingua slovena. (**) Inclusi gli insegnanti tecnico-pratici.