Bocciature, fino a 56 milioni di risparmio ogni 10% in meno. Ecco i calcoli del Governo nel 2007: 644 classi, 1400 docenti e 425 ATA

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di Vincenzo Brancatisano, Orizzonte Scuola, 15.2.2017

– Seicento docenti universitari si dicono sconcertati per l’ignoranza di tanti studenti dimostrata da errori di lessico e grammaticali di ogni tipo.

Da tempo – si legge in una lettera del Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità, promotore dell’iniziativa – i docenti universitari denunciano le carenze linguistiche dei loro studenti  con errori appena tollerabili in terza elementare. Nel tentativo di porvi rimedio, alcune facoltà hanno persino attivato corsi di recupero di lingua italiana”. Stando ai docenti, il tema della correttezza ortografica e grammaticale è stato a lungo svalutato sul piano didattico e peraltro “non si vede una volontà politica adeguata alla gravità del problema”.

Secondo gli accademici, servirebbe una “scuola davvero esigente nel controllo degli apprendimenti, oltre che più efficace nella didattica, altrimenti né l’impegno degli insegnanti, né l’acquisizione di nuove metodologie saranno sufficienti”.  La presa di posizione contro una presunta ignoranza degli studenti universitari non è nuova. Ma come stanno le cose? Il problema è complesso e sul banco degli imputati ci potrebbe finire qualunque cosa, anche la più banale: dalla crisi della scuola, all’avvento delle tecnologie, all’invadenza della televisione, al lassismo diffuso. Ma ci si soffermi su tre dati ancora più banali: la scuola di massa, il diritto al successo formativo e infine l’esigenza di risparmio delle risorse finanziarie.

Vediamo. Tanti anni orsono, buona parte di chi oggi è costretto ad andare a scuola sarebbe andata a lavorare. Allora, mettiamoci d’accordo. Se si fa in modo che tutti possano partecipare a una competizione sportiva non ci si può poi meravigliare se moltissimi atleti non sappiano neppure allacciarsi le scarpette.

La benemerita scuola di massa ha avuto e ha tanti pregi, molti di più rispetto ai tanti difetti, ma non si può essere ipocriti fino al punto di non considerare che l’asticella della didattica e quella del rigore si siano dovute di conseguenza abbassare.

Per tutti. Già negli anni 70 lo stesso compianto Tullio De Mauro, che pure tanti anni dopo si sarebbe scandalizzato per l’italico prorompente analfabetismo, caldeggiava, come ha ricordato dallo stesso Gruppo di Firenze, “un ribaltamento in senso democratico dell’insegnamento della pedagogia linguistica tradizionale”, che “fin nell’insegnamento ‘innocente’ dell’ortografia obbedisce ad un disegno che è un disegno politico, obbedisce cioè al disegno di verificare il grado di conformazione dei ragazzi che passano nelle scuole ai modi linguistici delle classi dominanti”. E ancora: “Cose innocenti come le scempie e le doppie, scrivere o non scrivere provincie con la ‘i’ sono portatori di un virus molto pericoloso.

È il virus che uccide spesso irrimediabilmente la capacità di parlare liberamente ma spinge a cercare di essere graditi ai rappresentanti delle classi dominanti, essere omogenei in tutto”. Più tardi arriveranno, nell’ordine, l’abolizione degli esami di riparazione, l’allegato divieto di pubblicare l’esito negativo conseguito dallo studente in questa o quella materia, coperto dal velo pietoso rappresentato dall’asterisco, la conseguente sottrazione dell’allievo alle proprie responsabilità di fronte alla cittadinanza che pure gli paga i costosi studi, il ribaltamento dell’onere della prova: il docente dovrà dimostrare, documenti di ogni tipo alla mano, di non avere colpa nell’insuccesso dell’allievo.

Da qui i corsi di recupero, spesso inutili in sè, ma utilissimi per dimostrare al Tar che s’é fatto il possibile. E perché tante rogne se con un 6 politico fai tutti contenti? Tutti? Tutti. Anche il legislatore. Così, se uno si va a leggere la scheda tecnica di accompagnamento al Disegno della Legge Finanziaria del 2007 – regnante Prodi – scoprirebbe come l’orientamento politico degli ultimi anni non sia propriamente ispirato alla difesa del rigore che oggi si reclama.

A pag. 141 del documento in questione con molta diplomazia si scrive che all’interno delle prospettate iniziative volte all’incremento dell’efficienza del sistema scolastico, in previsione dell’innalzamento dell’obbligo di istruzione per almeno dieci anni, saranno attivati idonei interventi finalizzati al contrasto degli insuccessi scolastici.

Detti interventi, vi si legge, “dovranno prevedere, in particolare, attività d’accoglienza, rimotivazione e riorientamento, nonché l’individualizzazione della didattica in modo da tener conto delle diverse forme di intelligenza e dei diversi stili d’apprendimento, allo scopo utilizzando parte delle risorse destinate alle aree a rischio e parte di quelle relative ai progetti contro la dispersione finanziati anche con risorse del Fondo Sociale Europeo”.

Tradotto, vuol dire: si bocci di meno e per carità di bilancio. In effetti, lo studente che avrà frequentato 5 anni, invece dei 6 o dei 7 frequentati da chi viene bocciato, richiederà l’esistenza di un numero inferiore di classi. A fugare ogni dubbio basta leggere il seguito: “La conseguente riduzione della permanenza media degli alunni all’interno del sistema determinerà – vi si legge appunto – una riduzione della spesa per oneri di personale”.

E per far comprendere che la matematica non è un’opinione, i tecnici di Palazzo Chigi avevano pure programmato il numero di “asini” da promuovere, con tanto di calcoli e proiezioni. “Al fine della stima del risparmio”, si legge ancora più specificamente nella scheda tecnica, “è stata considerata una riduzione del 10 per cento del numero di ripetenti dei primi due anni di corso della scuola secondaria di secondo grado, ammontanti oggi complessivamente a 185.002 studenti”.

Si ricava così, si legge ancora, “una diminuzione di 18.500 unità per la popolazione studentesca che, considerando l’attuale rapporto alunni/classi, corrisponde a 805 classi; supponendo quindi di poter diminuire il numero complessivo di classi in ragione dell’80 per cento del possibile risparmio, si stimano 644 classi in meno, corrispondenti a 1.455 docenti e 425Ata, per una minore spesa di euro 56 milioni a decorrere dall’anno 2008, ed euro 18,6 milioni per l’anno 2007”. Nel frattempo la scuola è stata sepolta da progetti di ogni tipo.

Dalla sessualità all’immigrazione (di emigrazione prima o poi si dovrà pur parlare), dall’educazione stradale alla musica delle Ande, dalla prevenzione dei tumori della pelle al conflitto di genere, al bullismo.

Alla sicurezza sul lavoro. Perché, sempre nel frattempo, gli studenti sono stati equiparati, sempre per legge, ai lavoratori, non si sa mai che un giorno lo trovino. Ma, nelle more, trascorreranno tanti anni all’università. Perché nel frattempo sono arrivati gli ordini sovranazionali in base ai quali se non tutti almeno quasi tutti dovranno essere un giorno in possesso di una laurea, pur breve. E lì, stando al grido di dolore dei nostri professori universitari, i nodi non possono che fermarsi al pettine.

Con un quesito inquietante: perché i professori universitari, che tanto si lamentano del lassismo della scuola, non bloccano i presunti asini, invece di regalar loro tanti bei voti e persino una laurea che magari li rimanderà a scuola, ma dietro una cattedra?

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