Che cosa fare (ancora) per la scuola

di Giovanni Salmeri, duerighe.com, 17.4.2017

– La scuola, come ogni istituzione, è al massimo buona quanto lo sono coloro che vi lavorano. Questo è ahimè un campo minato, con molte responsabilità di vario tipo: è una grande responsabilità quella della formazione degli insegnanti, è una grande responsabilità quella della politica che si ostina a considerarlo un lavoro di serie B e a sottopagarlo (chissà poi perché un insegnante di scuola primaria, che svolge un compito più delicato e difficile di un insegnante di liceo, dev’essere pagato ancora di meno). Ma è una grande responsabilità anche quella delle norme che fanno sperperare la cosa più preziosa che le persone abbiano: il loro tempo. Che senso ha selezionare persone motivate e capaci per poi impedire loro di lavorare serenamente?

In effetti, le lamentale che sento dai miei amici insegnanti di scuola sono varie, ma una è costante: che il loro tempo viene divorato in cose inutili, che non hanno alcuno scopo sensato. Dovrei informarmi meglio, parlare per sentito dire e con documentazione solo aneddotica non è mai l’ideale: ma in questo caso mi sento scusato perché anch’io, che insegno all’Università, ho il tempo divorato da cose inutili. Documenti inutili da scrivere, riunioni inutili a cui partecipare, tempo prezioso sprecato a decifrare norme continuamente cangianti: più o meno queste le tre cose che si contendono la palma di peggiore iattura della mia vita. Mi immagino dunque che anche nella scuola sia così, anzi peggio. Forse qualcuno pensa (anche se non ha mai avuto il coraggio di dirlo) che nel tempo che trascorrono fuori delle aule gli insegnanti stiano in ozio o si divertano? Anche se fosse così, la soluzione non sarebbe riempire il loro tempo di cose inutili. È vero che il grande Keynes riteneva che per uno Stato fosse meglio pagare le persone per scavare e poi riempire buche, piuttosto che lasciarle inoperose: ma si riferiva a persone disoccupate, non a persone che avrebbero di meglio da fare e che in ogni caso sono pagate. Che dunque mentre si continua a parlare di «semplificazione» solo e proprio il sistema dell’istruzione debba essere il bersaglio di una feroce moltiplicazione burocratica, della quale nessuno è stato in grado di dimostrare il benché minimo vantaggio, è uno dei paradossi più dolorosi del nostro tempo.

Il problema in realtà è più profondo di quello, pur così evidente, dello sperpero di tempo. La moltiplicazione burocratica trasmette e realizza anche un’idea molto semplice e molto sbagliata: che l’educazione non è anzitutto un rapporto umano, fatto di adattamento, incontro, creatività, ma piuttosto un’attività organizzativa che va pianificata, prevista, descritta, e soprattutto rendicontata e controllata. Trasmette anche l’idea che ciò che un bravo insegnante sempre desidera fare, cioè prepararsi meglio, studiare, aggiornarsi, in fondo è inutile, perché alla scuola interessa poco della cultura, interessa solo che le procedure previste siano seguite (e poi che i conti in cassa tornino). Insomma, nella proliferazione burocratica interessa poco sia che cosa si insegna, sia coloro ai quali si insegna. Viene anzi il sospetto che proprio questa sia l’origine di una normativa che altrimenti dovrebbe essere giudicata solo demente: non è follia, è piuttosto la mancanza di sensibilità, o di fiducia, in quella cosa inafferrabile ma decisiva che sono i rapporti umani. Credo che difficilmente possa esserci qualcosa di più avvilente per chi, magari ben sapendo le difficoltà che lo avrebbe atteso, ha scelto un lavoro, che il rendersi poi conto che ciò che gli sta a cuore in realtà è oggettivamente secondario. Poco tempo fa lessi la testimonianza di un’insegnante che dalla Finlandia (che non è l’Eldorado pedagogico di cui anni fa si favoleggiava, ma pur sempre una nazione che dà grande importanza all’insegnamento) si era trasferita negli Stati Uniti. Al termine della sua amara descrizione concludeva: in Finlandia non avrei mai scambiato la mia professione con un’altra, qui credo che cercherò di farlo al più presto. Il motivo? Nella sua nuova situazione percepiva che non le veniva data nessuna fiducia, capiva perfettamente che era solo la rotellina di un ingranaggio burocratico.

Ecco un’altra riforma facile a costo zero: cancellare con un tratto di penna tutto ciò che nella scuola è perdita di tempo. L’unico vero lavoro di un insegnante è quello appunto di insegnare: che vuol dire anche appassionare, motivare, far crescere. Ma solo persone messe in condizione di appassionarsi e motivarsi possono farlo.

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Che cosa fare (ancora) per la scuola ultima modifica: 2017-04-17T15:31:22+02:00 da
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