Il pugno duro della Cassazione: “Chi lede dignità dell´insegnante paghi i danni”, genitori condannati

rando-gurrieri_logo1Cassazione Sezioni Civili, Studio Rando Gurrieri, 15.4.2018

– “Sarà compito del giudice procedere alla liquidazione del danno sul piano equitativo, valutando tutte le circostanze emerse nel corso del giudizio, che hanno inevitabilmente cagionato un grave e duraturo sentimento,
sul piano sia emotivo che relazionale, di disistima, di vergogna e di sofferenza nel soggetto leso”.
La parte conclusiva è quello che in gergo giuridico è chiamato il dispositivo, di una recentissima pronuncia della Corte suprema di Cassazione depositata il 12 aprile 2018, con cui i giudici supremi di legittimità hanno affermato il principio alla cui stregua “se il genitore critica i metodi educativi ed offende la reputazione dell´insegnante è ritenuto a risarcirlo“.
La Corte suprema di Cassazione interviene dunque, con una pronuncia, tecnicamente un´ordinanza, che rappresenta un unicum e che in questo momento storico suona come una sorta di rivincita degli insegnanti rispetto alle famiglie dei loro alunni, a sanzionare, in maniera durissima, la denigrazione degli insegnanti da parte dei genitori.
L´ordinanza, la numero 9059 del 2018 depositata, come si è detto il 12 aprile, pone la parola fine ad una vicenda kafkiana iniziata moltissimi anni fa e che ha avuto quale protagonista, o per meglio dire martire, una insegnante, contro la quale si erano scagliati prima i genitori di un alunno, e poi tanti altri.
L´insegnante era stata definita da tutti costoro, senza mezzi termini, un “mostro”. Affermazioni del tutto prive di fondamento, dal contenuto fortemente calunnioso, che però come spesso accade in queste situazioni, erano corse di bocca in bocca ed avevano determinato un fortissimo discredito nei confronti dell´insegnante, una pubblica disistima del tutto ingiustificata, perché causata da fatti totalmente inconsistenti. Non solo: la docente era stata pure sottoposta a visita psichiatrica e poi ad un procedimento penale per maltrattamenti e lesioni ma, essendo inconsistenti i rilievi mossi nei suoi confronti, era riuscita ad uscire indenne da entrambe le prove. Un calvario.
La vicenda, riferisce nelle premesse l´ordinanza dei supremi giudici di legittimità, aveva anche avuto una risonanza incredibile. Di essa si erano occupati i quotidiani locali che, individuando probabilmente in questa querelle tra genitori e docenti un argomento di grande interesse, avevano dedicato ad esso addirittura le prime pagine, riportando tutti i documenti e gli accadimenti, uno per uno. Della serie “Sbatti il mostro in prima pagina”. E l´insegnante era per tutti per l´appunto un mostro.
A partire dai fax indirizzati alla docente dopo che perfino le riunioni degli organi collegiali si erano trasformati in un ring, con l´insegnante presa d´assalto dai genitori. Fax firmati dal piccolo alunno dell´insegnante, ma in realtà dal di lui padre, con cui l´alunno accusava la maestra di avergli dato del pazzo, di dire parolacce e di essere bugiarda.
Con l´ordinanza ora in commento i supremi giudici di legittimità hanno cassato l´impugnata sentenza della Corte d´Appello che, analogamente a quella di primo grado, aveva incredibilmente respinto la domanda di risarcimento danni avanzata dall´insegnante a causa della lesione della propria reputazione provocata dallo stillicidio che abbiamo riassunto.
Tanto il Tribunale che la Corte d´appello, infatti, avevano ritenuto non provata la lesione alla reputazione dell´insegnante. Ma la Cassazione ha completamente rovesciato tale assunto. Il principio che i supremi giudici di legittimità hanno enunciato acquista una importanza particolare non solo in relazione al singolo accadimento, soprattutto perché gli “Ermellini” hanno voluto precisare che i fatti andassero contestualizzati tenuto conto dell´attuale momento storico.
I magistrati della terza sezione civile della Suprema Corte di Cassazione hanno precisato che non spetta al giudice valutare «sul piano etico e sociale, il comportamento dei consociati in una determinata epoca storica», ma hanno al tempo stesso ritenuto opportuno porre l´accento nel momento in cui hanno dovuto decidere in ordine al quantum del risarcimento, sul “preoccupante clima di intolleranza e di violenza, non solo verbale, nel quale vivono oggi coloro a cui è demandato il processo educativo e formativo delle giovani e giovanissime generazioni”.
Contrariamente pertanto a quanto ritenuto dal giudice di primo e di secondo grado, per i supremi giudici di legittimità, non era possibile porre in dubbio che l´insegnante avesse ricevuto un danno e conseguenzialmente hanno ritenuto che tale danno dovesse essere risarcito e liquidato tenendo conto del “grave e duraturo sentimento sul piano emotivo e relazionale, di disistima, di vergogna e di sofferenza del soggetto leso”.
Una ordinanza, pertanto, che suona come la conclusione di una vicenda giudiziaria ma soprattutto l´affermazione, una volta per tutte, di un principio di carattere assoluto. Chi denigra in maniera ingiustificata un insegnante, che, va ricordato, nell´esercizio delle proprie funzioni è considerato dalla legge pubblico ufficiale, ne paga le conseguenze. Conseguenze che, prima di tutto, impongono a chi causa un danno, di risarcirlo nella misura della sua stessa entità, o qualora tale misura non sia facilmente individuabile, secondo equità. Due sentenze cancellate dai giudici di legittimità per affermare un principio che, proprio per questo va considerato di somma importanza.
L´ordinanza dei supremi giudici di legittimità non è sintetica, abbastanza complessa. Di seguito, ritenendo di far cosa gradita ai nostri lettori, nel riportiamo degli ampi stralci:
I Fatti di causa riassunti dalla Cassazione:
1. Nel settembre del 1998 SR convenne dinanzi al Tribunale di Pisa Y chiedendone la condanna al risarcimento dei danni da lei patiti a seguito della condotta gravemente diffamatoria ripetutamente tenuta dal convenuto nei suoi confronti.
1.1. Espose l´attrice:
che, nella sua qualità di insegnante di scuola elementare, era stata ingiustificatamente e violentemente contestata da alcuni genitori, e in particolare dal convenuto, nel corso dell´anno scolastico 1993-94; che, tra l´altro, era stata descritta da quest´ultimo come “un mostro” al cospetto degli altri genitori nel corso di una riunione indetta nel settembre del 1993;
che il Y aveva poi inviato numerose lettere alla direttrice didattica dell´Istituto, attribuendo all´attrice comportamenti particolarmente gravi nei confronti dei bambini, tanto che, in conseguenza delle sue reiterate affermazioni diffamatorie, ella era stata addirittura sottoposta a valutazione psichiatrica medico-legale;
che, sempre a seguito, tra l´altro, della condotta del Y, era stata sottoposta a procedimento penale per i reati di cui agli artt. 572 e 582 c.p. dal Procuratore della Repubblica di Pisa – reati da cui sarebbe stata poi assolta per insussistenza del fatto;
che, nel corso di tale procedimento, era stata sottoposta alla misura interdittiva della sospensione dal pubblico servizio;
che, sempre a causa di tali vicende, cui era stato dato ampio risalto anche da parte della stampa locale, era stata trasferita d´ufficio in un´altra sede.
Si costituì il convenuto contestando la fondatezza della domanda attrice e concludendo per il rigetto della stessa.
Il Tribunale di Pisa, con sentenza n. 366/2006, rigettò la domanda,  ritenendo carente la prova del comportamento illecito, lesivo della reputazione dell´attrice, attribuito al convenuto.
Ritenne, in particolare, il primo giudice che, “non avendo l´attrice intimato i testi ammessi, gli unici indizi erano desumibili dagli atti del procedimento penale instaurato nei confronti della stessa insegnante”, opinando poi che, da tali atti, non fossero emersi indizi gravi precisi e concordanti relativamente al comportamento del Marmelli, e in particolare:
che non potessero ritenere “sufficienti” gli indizi volti a dimostrare che quest´ultimo, nella fase organizzativa della riunione indetta presso l´istituto scolastico, avesse pronunciato frasi offensive nei confronti dell´insegnante, definendola “mostro” e comunque “soggetto poco raccomandabile”;
che i fatti lamentati in ordine all´applicazione della misura interdittiva della sospensione dal pubblico servizio e del trasferimento d´ufficio “dovevano collocarsi tra il giugno del 1994 e l´aprile del 1997, e quindi “ad una notevole distanza dalla riunione in questione” (che risaliva al settembre del 1993);
che le due lettere inviate dal Marmelli alla direttrice didattica “risalivano a ottobre 1994 e a febbraio 1995”, la prima “esaurendosi nellanarrazione di un avvenimento e nella richiesta di un chiarimento in contraddittorio con la maestra (senza alcuna frase offensiva)”, la seconda “limitandosi all´esposizione di alcuni episodi, ma senza alcuna valutazione negativa sull´insegnante”.
Che “meritava un approfondimento”, invece, “la valutazione del fax trasmesso dal Y per conto del figlio G.”: osserverà, in proposito, il giudice di prime cure che, “pur essendo pacifico che lo stesso potesse essere idoneo alla lesione alla reputazione dell´attrice e non rispettoso dei limiti di continenza”, tale comportamento “era purtuttavia inidoneo a giustificare il risarcimento del danno morale in quanto penalmente irrilevante ai sensi dell´art. 599 comma 2 c.p.c..
Che, inoltre, “la trasmissione di detto fax risaliva al marzo 1995, epoca in cui la situazione di tensione di conflitto all´interno della scuola tra la maestra e un gruppo di alunni e di corrispondenti genitori costituiva a Volterra un fatto notorio ed era perciò inidoneo ad aggiungere elementi diversi ed ulteriori rispetto a quelli già emersi in quella realtà locale”.
2. La decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Firenze, con sentenza n. 1729de1 21 ottobre 2014.
2.1. Il giudice territoriale ha, in limine litis, ritenuto legittima la declaratoria, pronunciata in prime cure, di decadenza della R. dalla prova testimoniale ammessa “per non essere stati poi citati ritualmente i testi per l´udienza del 20 ottobre 2004”, trattandosi “di vizio processuale rilevabile d´ufficio alla stregua del combinato disposto dell´art. 104 disp. att. c.p.c. e dell´art. 208 c.p.c. come modificato dall´art. 26 1. 353/1990”.
Nel merito, la Corte ha ritenuto, in pressoché assoluta consonanza (salvo quanto di qui a breve si dirà) con quanto già opinato dal Tribunale:
che, dagli atti del procedimento penale, emergesse non un “contesto” offensivo della reputazione dell´insegnante, quanto piuttosto “l´esistenza di due fronti contrapposti tra i genitori”, a favore o contrari ai metodi educativi dell´insegnante, oltre ad atteggiamento fortemente critico non solo del Y, ma anche di altri genitori;
che, quanto alle missive inviate dall´odierno resistente, pur esprimendo dissenso e disappunto per i metodi adottati dall´insegnante, esse non trascendessero comunque nella diffamazione;
che il contenuto del fax scritto dal figlio del Y ma evidentemente riconducibile a quest´ultimo (scritto con il quale il bambino accuserà la maestra di avergli dato del pazzo, di averlo umiliato di fronte agli altri bambini, di essere bugiarda e di dire le parolacce), poteva dirsi idoneo a ledere la reputazione dell´insegnante, tenuto conto delle modalità di trasmissione del comunicato e dei superati limiti di continenza, avendo il giudice di primo grado errato nell´escludere il diritto al risarcimento del danno in applicazione della scriminante di cui all´art. 599 c.p., volta che l´esistenza di detta scriminante non era idonea ad escludere la configurabilità della fattispecie di cui all´art. 2043 c.c., ma che, ciò nonostante, non dovesse pur tuttavia pervenirsi ad un giudizio di inammissibilità delle censure mosse in parte qua alla sentenza di primo grado;
che il giudizio di inammissibilità dell´appello era la conseguenza della “omessa impugnazione della duplice ratio decidendi” adottata dal Tribunale”: a detta della Corte territoriale, la R. non avrebbe contestato l´argomentazione, autonomamente fondante la decisione di rigetto da parte del Tribunale, secondo cui la trasmissione del fax sarebbe stata irrilevante perché avvenuta quando la vicenda aveva raggiunto già il massimo clamore nella realtà locale di Volterra.
3. Avverso tale decisione propone ricorso in Cassazione, sulla base di tre motivi, la professoressa SR
3.1. Resiste con controricorso Y.
Le ragioni dell´accoglimento del ricorso.
Le conseguenze, gravissime, della condotta tenuta (anche) dell´odierno resistente — l´essere stata l´insegnante sottoposta a visita psichiatrica; l´essere stata imputata di gravi reati; l´essere stata sospesa dal servizio; l´essere stata trasferita ad altra sede – le cui accuse si sono poi dissolte in una pronuncia del giudice penale di insussistenza dei fatti contestati non sono scriminate né sminuite, come erroneamente mostra di ritenere il giudice d´appello, nella scia del convincimento del tribunale, né dalla circostanza che anche altri, insieme al Y, avrebbero contribuito alla verificazione degli eventi (tale affermazione ponendosi in evidente e irredimibile contrasto con il dettato dell´art. 41 del codice penale, in tema di con-causalità dell´evento), né dalla accertata diacronia delle condotte – il cui dipanarsi nel tempo costituisce non una scriminante ma, di converso, un aggravante della condotta stessa – né tantomeno “dall´ormai conclamata dimensione collettiva epubblica” dei fatti, ovvero dalla “autonoma risonanza” che la vicenda avrebbe assunto con lo scorrere del tempo.
5.6.2. Non vengono, difatti, per altro verso disattese, in sentenza, le conclusioni raggiunte dal giudice penale, né viene sottoposta a revisione critica la decisione con la quale la signora R. verrà assolta da tutti gli addebiti per insussistenza dei fatti (così che nessuna rivalutazione sarebbe più consentita in parte qua, essendo calato, sul punto, il giudicato interno).
6. Ciò che risulta del tutto omessa, nel decisurn del giudice di appello, è pertanto la valutazione necessariamente diacronica e complessivamente e sintetica dei fatti di causa, secondo un percorso ricostruttivo condotta- causalità-evento-danno che non avrebbe potuto che concludersi nella certa affermazione della responsabilità risarcitoria dell´odierno resistente per aver violato la reputazione, l´onore, la stessa dignità dell´insegnante, così ledendo valori e principi di rango sia costituzionale che sovranazionale.
6.1. Quanto, in particolare, all´ulteriore affermazione secondo cui la trasmissione del fax del marzo 1995 — evidentemente non riconducibile all´autonoma iniziativa di un bambino, come ritenuto dalla stessa Corte territoriale, e pur contenente, a detta di entrambi i giudici di merito, affermazioni lesive della reputazione dell´insegnante – non potesse ritenersi “idonea ad aggiungere elementi diversi ed ulteriori rispetto a quelli già emersi in quella realtà locale” (onde la sua irrilevanza ai fini dell´affermazione della sussistenza della illiceità e della offensività della condotta del Y), essa, alla luce dei principi suesposti, deve ritenersi viziata da insanabile contraddittorietà logica, tale da relegarne la portata dimostrativa nella non redimibile dimensione dell´inesistenza.
6.2. Non risulta, pertanto, conforme a diritto il convincimento espresso dalla Corte territoriale nella parte in cui essa mostra di ritenere “sorretta da una duplice ratio decidendi” l´affermazione del primo giudice, poiché tale affermazione, oltre a non costituire in alcun modo una reale ratiodecidendi destinata a sorreggere il complessivo decisum (essendo di converso limitata all´analisi di un singolo fatto storico, secondo il già evidenziato procedimento di scomposizione degli elementi indiziari non conforme a diritto), deve ritenersi tamquam non esset (onde la evidente non necessità di una specifica impugnazione), alla luce di quanto sinora esposto.
7. Non è certo compito della giurisdizione sindacare, sul piano etico e sociale, il comportamento dei consociati in una determinata epoca storica, poiché il processo civile (e in particolare quello avente ad oggetto vicende di responsabilità civile) è funzionale ad offrire precise risposte, rigorosamente circoscritte al piano del diritto, a singole vicende che riguardano singole persone che chiedono tutela al giudice.
Ma, specularmente, il giudice civile, nella valutazione e liquidazione del quantum debeatur, non può e non deve ignorare, — quasi che la dimensione della giurisdizione si collochi entro un asettico territorio di pensiero tanto avulso dal reale, quanto insensibile ai mutamenti sociali e culturali in cui essa viene esercitata (in argomento, tra le altre, Cass. 21619/2007, che discorre di “dimensione storica” dei criteri di causalità; Cass. 5146/2018, che ricostruisce espressamente il risarcimento da perdita di chance in termini di scelta “di politica del diritto”) – il preoccupante clima di intolleranza e di violenza, non soltanto verbale, nel quale vivono oggi coloro cui è demandato il processo educativo e formativo delle giovani e giovanissime generazioni.
8. Alla stregua del così compiuto accertamento dell´an debeatur, da ritenersi provato alla luce di quanto sinora esposto, sarà compito del giudice del rinvio procedere alla liquidazione del danno sul piano equitativo, valutando tutte le circostanze emerse nel corso del giudizio, che hanno inevitabilmente cagionato un grave e duraturo sentimento, sul piano sia emotivo che relazionale, di disistima, di vergogna e disofferenza nel soggetto leso.
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Il pugno duro della Cassazione: “Chi lede dignità dell´insegnante paghi i danni”, genitori condannati ultima modifica: 2018-04-15T22:16:49+02:00 da
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