In pole position la formazione del personale della scuola

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Notizie della scuola,  8.1.2016

– Si può dire che il Miur ha scelto un bel giorno (quello dopo la befana) per riportare l’attenzione del mondo della scuola sulla formazione, uno dei temi più importanti per migliorare il nostro sistema d’istruzione.

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La nota in oggetto ci fornisce indicazioni ed orientamenti utili proprio per inserire nel piano triennale anche i percorsi formativi per il personale della scuola.

Sembra quindi che si voglia fare sul serio: puntare cioè sullo sviluppo professionale dando segnali di garanzie, testimoniando responsabilità, mettendo in evidenza l’importanza di interagire tra azioni istituzionali (centro nazionale, snodo regionale e rete territoriale, istituzioni scolastiche autonome) ed iniziative specifiche di ogni singolo insegnante, volte ad enfatizzare le responsabilità e gli aspetti vocazionali di ciascuno.

Ritorno all’obbligatorietà
Il ritorno all’obbligatorietà della formazione è una misura da tutti e a lungo invocata, praticamente all’indomani del contratto 1999-2001 quando concordi, mondo della scuola e forze sociali, decisero, invece, che la formazione non rappresentava più un obbligo di servizio, ma un diritto personale (art. 28 del c.c.n.l. 26.05.1999).
Si volevano mettere alla prova idee di una democrazia adulta, accorgendosi subito dopo che i tempi non erano ancora maturi: mancava, nella stessa comunità scolastica, la consapevolezza che la formazione continua costituisse la base per qualsiasi professione ad alto profilo; mancava, a livello nazionale, la capacità di garantirne (di fatto) le condizioni mettendo a disposizione offerte formative tali da permettere a ciascuno di esercitare il proprio diritto alla formazione; mancava, a livello territoriale, una governance in grado di governare i processi.
La consapevolezza di aver fatto un passo falso si percepì subito, ma per correggerlo abbiamo dovuto aspettare la legge 107/2015.
A dire il vero, i primi timidi tentativi li ritroviamo nella legge Carrozza (8 novembre 2013, n. 128) che oltre a destinare 10 milioni di euro alla formazione del personale docente, con l’articolo 16 individuava anche alcune aree tematiche per le quali la formazione sarebbe stata obbligatoria, cioè:

  • per i docenti di quelle scuole che ottengono risultati non soddisfacenti nelle prove Invalsi;
  • per quelle scuole che presentano, più in generale, situazioni di criticità e si trovano in zone ad alto rischio educativo;
  • per i professori impegnati nei percorsi di alternanza scuola-lavoro;
  • per coloro che sono chiamati ad aggiornarsi sulle nuove tecnologie e sulla digitalizzazione.

Sarà solo la legge 107/2015, al comma 124, che “ri-sancisce” il principio che la formazione in servizio dei docenti di ruolo debba essere “obbligatoria, permanente e strutturale”.

Un principio “strumentato”
La legge non si limita alla dichiarazione di principio, ma lo accompagna con la messa a disposizione di 40 milioni di euro annui (comma 125), a decorrere dall’anno 2016, per attività a cura delle istituzioni, e 381 milioni di euro (dpcm 23 settembre 2015) da assegnare direttamente ai docenti (500 euro ogni anno), per sostenere la loro formazione continua e per valorizzare le loro competenze professionali.
Si ribadisce in tal modo che uno degli obiettivi primari, di ogni politica innovativa di governo, è quello di sostenere tutti gli operatori della scuola nei rispettivi processi di sviluppo, al fine di potenziare una professionalità di alto profilo, orientata ad anticipare le domande, piuttosto che a conformarsi sull’esistente. Va sottolineata anche la controtendenza rispetto ad un passato che ha sottostimato le identità, le disposizioni vocazionali, le competenze sommerse di ciascun soggetto, per privilegiare, a volte, modelli professionali uniformi. Il bonus per ogni docente ne è la conferma.

Il MIUR non si fa da parte
Ora non si trascura neanche il ruolo che dovrà assumere il Ministero. Nella nota si annuncia un piano nazionale di formazione che dovrà costituire la sede formale degli impegni di sistema (attraverso DM) per il triennio 2016-2018; si sottolinea la necessità di potenziare alcune figure strategiche (come quelle necessarie per l’inclusione e per il PNSD); si dice che si metteranno a disposizione azioni nazionali per “docenti in grado di accompagnare i colleghi nei processi di ricerca didattica, formazione sul campo, innovazione in aula”, ed azioni nazionali mirate a coinvolgere un ampio numero di docenti sulle seguenti aree:

  • competenze digitali per l’innovazione didattica e metodologica
  • competenze linguistiche (si presuppone “lingue straniere”)
  • alternanza scuola-lavoro
  • competenze di base
  • valutazione

La formazione nel piano triennale
Si ricorda, inoltre, alle istituzioni scolastiche alcuni aspetti importanti che le scuole devono tener presente nel piano triennale:

  • la responsabilità della crescita della comunità professionale. Qualsiasi programma di formazione in servizio va elaborato all’interno del collegio nelle sue diverse articolazioni;
  • la coerenza. Qualsiasi tipo di iniziativa formativa deve scaturire dai bisogni dei docenti, dalle esigenze dell’istituto, dal RAV, dalle proposte innovative collegate ai piani di miglioramento;
  • la dimensione di rete. Essa permette di ampliare gli stimoli, di scambiare soluzioni di successo, di rendere più efficaci gli interventi formativi.

Sono raccomandazioni importanti anche se non sempre facili da realizzare. Sappiamo quanto sia grande il peso che le scuole stanno sostenendo in questo periodo. L’avvio dell’anno scolastico 2015-2016 è stato caratterizzato da azioni inedite ed onerose che hanno messo a dura prova dirigenti e docenti. Siamo consapevoli dell’importanza della condivisione e della trasparenza, ma gli eventi emergenziali spesso prevalgono sulle procedure sistematiche e riflessive, e non sempre tali eventi sono vissuti da tutti alla stessa maniera. Sappiamo anche come sia difficile essere coerenti quando gli elementi in gioco sono differenti e parimenti importanti. Tutti sono consapevoli delle potenzialità delle reti, sapendo però che per farle funzionare si deve impegnare tempo e risorse.
Ma è all’interno di tali difficoltà che bisogna imparare a gestire al meglio le situazioni. Resta la responsabilità delle scuole e delle reti di scuole nel sostenere un sistema formativo con una vasta gamma di opportunità.

In attesa di un piano nazionale
Costruire un piano di formazione significa riflettere su come collegare proficuamente le attività d’aula con i percorsi formativi; su come utilizzare al meglio le informazioni e le nuove conoscenze acquisite, quindi come capitalizzazione le buone pratiche e le politiche di successo; su come aiutare a leggere ed interpretare le istanze innovative sollecitate dal sistema nazionale attraverso la valorizzazione della cultura della scuola.
È ciò quello che in parte viene annunciato con il prossimo piano nazionale (in fase di elaborazione). Ci sarà una nuova enfasi proprio sui format per le attività formative: avranno un nuovo stile, non più routinario e basato su conferenze, ma attivo e impegnato in percorsi di ricerca e sviluppo professionale.
Nel frattempo le istituzioni scolastiche dovranno immaginare azioni formative significative e concrete da inserire nel piano triennale. Anche se esse possono essere riviste ogni anno (la rendicontabilità presuppone piani concreti da mettere costantemente alla prova), devono tuttavia prevedere interventi distinti per diverse tipologie di docenti, per bisogni differenti e con obiettivi coerenti. Ci sono:

  • docenti neo-assunti
  • gruppi di miglioramento (impegnanti nel RAV e PdM)
  • docenti impegnati nel PNSD
  • consigli di classe, team docenti, inclusione, integrazione…
  • docenti impegnati nelle innovazioni curriculari
  • figure sensibili (sicurezza, prevenzione, primo soccorso…)

Nodi da sciogliere
Restano alcune questioni in sospeso: esse sono a monte e non risolvibili all’interno di una nota ministeriale.

1.   Obbligatorietà sì, ma quante ore…
La legge 107/2015 ha sancito l’obbligatorietà della formazione, ma ha lasciato, a tale principio, ampio margine di interpretazione. “C’è un numero di ore minimo obbligatorio?” è La domanda che alcuni si pongono. La risposta non c’è. Per ora possiamo solo ragionare in termini di moral suasion nei confronti di coloro che non considerano la formazione come etica della professionalità (speriamo che siano pochi).

2.   Formazione sì, ma serve per lo sviluppo della carriera?
La formazione sarà traducibile in crediti, magari sul modello dei crediti formativi universitari (CFU)? Neanche questa risposta poteva essere fornita dalla nota ministeriale. Come è noto, se ne parlava nella prima versione del documento “La buona scuola”. Si diceva: “ … bisogna rendere realmente obbligatoria la formazione e disegnare un sistema di Crediti Formativi (CF) da raggiungere ogni anno per l’aggiornamento e da legare alle possibilità di carriera e alla possibilità di conferimento di incarichi aggiuntivi”. Poi, per una serie di ragioni ben esplicitate nel dibattito che ha condizionato, in parte, la stesura successiva della legge, questa possibilità non è stata concretizzata. Resta un problema aperto.

3.   Dove collochiamo il tempo per la formazione? E il contratto?
Quale rapporto c’è tra obbligatorietà della formazione e contratto ancora vigente? Molti si chiedono dove collocare le ore della formazione? Tra le attività connesse con l’insegnamento, tra quelle aggiuntive, tra quelle a carattere collegiale… Vanno ripensati sicuramente alcuni rapporti tra competenze legislative e competenze contrattuali. Credo che i tempi siano oramai maturi per rivedere, anche con i sindacati, i compiti e le responsabilità dei docenti in un’ottica di professionalità più adeguata alle attuali esigente della scuola della società
Oggi siamo però sulla via giusta per superare anche le questioni non ancora risolte. Intanto la legge 107/2015 ha messo a disposizione risorse vere per il miglioramento della professionalità docente. Ma, ci sarà una svolta reale quando tutti avranno la consapevolezza che la formazione è veramente la chiave di volta non solo della nostra scuola, ma del miglioramento della qualità della nostra vita.
Bisogna continuare ad impegnarsi con sistematicità e senza distrazioni: gli insegnanti, in quanto primi attori del proprio sviluppo professionale; i dirigenti, perché sono i responsabili della qualità dell’offerta e degli esiti formativi; le scuole, perché devono porsi come veri laboratori per la formazione continua; il territorio, in quanto luogo privilegiato di supporto ai bisogni dei docenti e delle scuole; i decisori politici in quanto hanno l’obbligo di non cancellare dalle loro agende gli impegni presi, ma di rinnovarli e potenziarl

In pole position la formazione del personale della scuola ultima modifica: 2016-01-09T04:33:09+01:00 da
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