Insegnanti, ora leggete di più

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Molti sono gli elementi di innovazione della cosiddetta Legge sulla Buona Scuola, in ordine a una migliore efficacia dell’insegnamento come: l’«apertura pomeridiana delle scuole e riduzione del numero di alunni e di studenti per classe o per articolazioni di gruppi di classi, anche con potenziamento del tempo scolastico o rimodulazione del monte orario» nonché l’«incremento dell’alternanza scuola-lavoro nel secondo ciclo di istruzione».

Si iniettano a questo fine investimenti cospicui (almeno in previsione): «pari complessivamente a 1.012 milioni di euro per l’anno 2015, a 2.860,3 per il 2016, a 2.909,5 di euro per il 2017, a 2.903,7 milioni di euro per il 2018, a 2.911,2 milioni di euro per il 2019, a 2.955,067 milioni di euro per il 2020, a 3.000,637 milioni di euro per il 2021» (comma 204), con la promessa di reperire « almeno 800 milioni per attività didattiche aggiuntive».

Per la formazione degli insegnanti infine viene fornita una “carta elettronica” di 500 euro/anno che sarà assegnata a ognuno dei 762.274 insegnanti in organico di diritto, per un impegno ulteriore per lo Stato pari a 127 milioni di euro per le esigenze formative del 2015 e 381 milioni per il 2016. Nella nota ministeriale si precisano le attività di formazione per le quali questi 500 euro ad personam possono essere spesi: a) acquisto di libri; b) acquisto di hardware o software; c) iscrizione a corsi di aggiornamento; d) rappresentazioni teatrali o cinematografiche; e) ingresso a musei, mostre, etc.

Ora quest’ultimo punto deve far riflettere, e con urgenza: lo Stato riversa in un anno un investimento in “beni culturali” di 381 milioni per il 2016, lasciando tuttavia una discrezionalità di spesa eccessiva (si può prevedere di tutto: personal acquistati come dono natalizio per i figli; abbonamenti per andare la sera al cinema o a teatro, etc.); e qualche correttivo si doveva introdurre subito, assegnando d’ufficio una porzione di almeno il 20% alla scuola stessa anziché al singolo, perché la maggior parte dei progetti di formazione non si possono organizzare individualmente, ma solo in un ambito di ampia collegialità.

E tuttavia l’investimento, anche depurato della dispersione che avverrà, delle “agenzie di formazione” che si improvviseranno e accrediteranno, resta cospicuo: pur ammettendo che ai libri rimanga soltanto il 50% dell’investimento pubblico, è pur sempre un insieme di 190 milioni di euro che dovrebbe arrivare alle librerie. Se si prendono le statistiche Aie (Associazione Italiana Editori) si osserva che «la filiera editoriale nel 2013 ha sviluppato un fatturato di 2,660miliardi di euro con una flessione del -6,8% (pari a 194,2milioni di euro in meno, dati Ufficio studi AIE). Rispetto al 2010 si sono persi 572 milioni di euro pari al –17,7 per cento». Nella crisi dunque dell’editoria italiana, un afflusso di circa 200 milioni di euro corrisponderebbe a quasi il 10% del fatturato globale della libreria. Ora qui si osserva l’insufficienza delle buone intenzioni: avrebbe dovuto essere istituita, sin dall’inizio dell’iter della buona scuola, una concertazione Aie – Miur affinché gli editori (e di séguito i librai) preparassero delle apposite liste, disciplina per disciplina, di “biblioteca minima”, aggiornata, del buon matematico, del buon filosofo, del buon letterato, etc., cercando di occupare tempestivamente lo spazio di spesa. 500 euro di libri, al prezzo medio di 15 euro, sono pur sempre – per ogni anno – una bibliotechina di 30 libri per insegnante. Ogni editore, certo, pensando alla propria lista affinché la pluralità sia salva.

Non è mai troppo tardi: e avvicinandosi la strenna natalizia, sarebbe quanto mai urgente che i minima moralia del sapere fossero pensati, ordinati tematicamente, proposti agli insegnanti-lettori; facendo altresì uscire gli editori da una pigrizia colpevole, visto che una gran parte di libri essenziali che hanno formato intere generazioni giacciono ora fuori catalogo, perché sono gli editori stessi a incrementare il non-mercato del non-libro. Potrei redigere qui la lunga lista di libri, indispensabili per ben insegnare, che sono esauriti da almeno 20 anni; e un’altra, non meno lunga, di succedanei che rendono opaco il desiderio di acquistare libri (l’inappetenza dei lettori è spesso ben giustificata). L’occasione, anche per questo, non va persa: i lettori potenziali ci sono (e obbligati a rendicontare la spesa al 31 agosto 2016); occorre vedere se gli editori sono ancora in grado di comprendere che la scuola -non le stazioni – è il loro primo mercato.

Insegnanti, ora leggete di più ultima modifica: 2015-10-28T06:27:04+01:00 da
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