La “Buona scuola”. Ora tutti hanno capito che non è buona

dal blog di Claudia Pepe, 11.12.2017

E ora tutti ci chiedono scusa: dal gran Capo Renzi, a Speranza per arrivare a quel De Luca che invitava la gente a votare al Referendum dicendo: “Vi piace Renzi, non vi piace Renzi, non me ne fotte un ca..o. Franco (Franco Alfieri, sindaco di Agropoli), vedi tu come Madonna devi fare, offri una frittura di pesce, portali sulle barche, sugli yacht, fai come ca..o vuoi tu”. La Buona Scuola, la riforma generata da una slide ispirata sicuramente al mitico Lorenzo nel film “La notte prima degli esami” e ad uno spettacolare Corrado Guzzanti il quale riassumeva la trama dei Promessi Sposi così: “Due se vonno sposa’, ariva uno, rompe i cojoni, poi more e se sposano! FINE! COMPLETATO”, viene considerata dai vertici del PD come una causa importante della sconfitta del 4 dicembre e, sicuramente, dell’allontanamento di noi insegnanti da un partito in cui avevamo riposto la nostra fiducia. Nella riforma della cosiddetta “Buona Scuola”, vi è il DNA del PD renziano: non c’è nessuna conoscenza del mondo della Scuola, delle dinamiche in cui noi insegnanti dobbiamo muoverci affinché non si dimentichi mai la nostra più grande priorità: la didattica.

“Elimineremo la precarietà”, “Tutti gli insegnanti entreranno in ruolo”, dicevano. In verità con La “Buona Scuola” siamo diventati tutti ancora precari, soprattutto nelle nostre funzioni fondamentali. Siamo diventati docenti potenziatori, portatori di progetti, scribacchini, docenti diffidati dall’essere “contrastivi” per non osteggiare la suscettibilità di un Dirigente che, con “La Buona Scuola”, ha sempre più potere nel discriminare e influenzare l’articolo 33 della nostra Costituzione: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. Dopo il grande sciopero del 5 maggio 2015 , in cui speravamo e abbiamo creduto fino in fondo, noi insegnanti abbiamo piegato il capo. Nessun sindacato, tranne pochi, ci ha difeso. E noi insegnanti abbiamo le nostre colpe. Sì, ne abbiamo e anche tante. Il ruolo, quel sogno accarezzato da anni di precariato, ci ha fatto piegare la testa, ci ha reso sudditi di un’era post berlusconiana in cui scendevamo in piazza, dove impazzava la satira sulla Gelmini, e, soprattutto, ci sentivamo consapevoli del reato che stavamo subendo. Ora dove sono gli scioperi, dove sono andati a finire i collegi docenti che bloccavano ogni tipo di attività, dove sono finiti i nostri ideali?

Volevano addomesticarci con i bonus da 80 euro, con la carta docenti, con il merito. Quando il merito lo abbiamo ogni mattina quando entriamo a Scuola, quando riusciamo a emozionare e appassionare i nostri studenti, quando finiamo la nostra giornata e sappiamo di aver suscitato voci fuori dal coro. Questo è il merito, Gran Capo, i suoi 80 euro per comprare voti io non li voglio. Io rivoglio la mia professione, rivoglio il mio tempo per educare, rivoglio il mio tempo per non trattare i nostri studenti per quello che sono, ma per quello che possono diventare. Stiamo diventando insegnati robot in una Scuola che non c’è, e in tutto ciò, quelli che subiscono di più sono i nostri studenti. Studenti già figli di una generazione delusa, vittime di riforme sbagliate, inventate a caso da incompetenti e da persone impreparate al mondo della Scuola. Persone legate a doppio filo con il pensiero prevaricatorio e assolutista. Tutto quello che non può essere Scuola non può essere educazione. Ora ci chiedono scusa, ma dove erano quando persone dilaniate da algoritmi impazziti, precari con abilitazione vessati da concorsi farsa, graduatorie che cambiano a seconda di cosa si è mangiato la sera prima, urlavano la loro rabbia? Ora non ci devono chiedere scusa. Ora, se hanno il coraggio, devono dire #jesuisinsegnante, e per una volta entrare in classe con noi. E rispondere ai nostri ragazzi e a noi insegnanti. Se ne avranno mai il coraggio.

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