La crisi delle scuole paritarie: studenti giù del 13% in cinque anni. «Non chiamateci private»

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di Valentina Santarpia, Il Corriere della sera, 11.12.2017

Assicurano la presenza di scuole dell’infanzia in molti Comuni d’Italia, ma lottano per restare in vita. Viaggio tra pregiudizi, contratti per insegnanti, scuole religiose: sullo sfondo il dibattito sul costo standard per alunno.

Quattrocentoquindici scuole chiuse in poco meno di due anni, studenti crollati del 13% dal 2012, quando gli iscritti erano più di un milione e oggi se ne contano poco più di 900 mila. Hanno chiuso i battenti Bianchi di Napoli, il Sacro Cuore di Genova, il Gonzaga di Palermo, il Leonardo da Vinci a Catania, le Suore Francescane di Gesù Bambino di Milano, il Beata Maria de Mattias di Firenze, l’Istituto Suore oblate del Divino Amore di Roma. E l’elenco potrebbe continuare. Resistono 12.966 scuole paritarie sul territorio italiano, pari a poco più del 33% del totale delle scuole (55 mila), e la parabola in discesa non sembra essere destinata a interrompersi: basta dare una scorsa alle centinaia di licenziamenti collettivi che i sindacati stanno trattando, ai contratti rivisti al ribasso, alle riduzioni di cattedre, per intuirlo. Il calo generalizzato di studenti, dovuto alla denatalità, e la crisi economica, che ha stretto i cordoni delle borse delle famiglie intenzionate a pagare una retta, sono solo una parte della spiegazione.

La maggioranza cattolica

«Gran parte delle scuole paritarie sono cattoliche – spiega Francesco Ciccimarra, presidente dell’Agidae, l’Associazione Gestori Istituti Dipendenti dall’Autorità Ecclesiastica – Ma sono diminuite le vocazioni religiose, per cui abbiamo più personale laico, il che significa un aumento dei costi e delle rette: un danno serio per le famiglie, che finiscono per non avere più una libertà di scelta educativa, come prescrive la Costituzione». Perché, e questo è un altro punto cruciale se si vuol andare alle radici della crisi delle paritarie, in Italia il concetto stesso di parità è poco chiaro: «Le scuole paritarie sono scuole pubbliche a tutti gli effetti, come le statali: perché gli è stata riconosciuta la parità scolastica, l’equipollenza cioè del titolo e del metodo rispetto a quella statale- sottolinea il sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi – Negli altri Paesi europei questo concetto è chiaro, tant’è vero che in Francia, ad esempio, gli insegnanti delle paritarie sono gli stessi delle statali. Mentre in Italia bisogna sempre precisarlo, e ricordare che chi sceglie una scuola paritaria paga due volte: quando paga le tasse, che contribuiscono ai costi dell’istruzione pubblica, e quando paga la retta». Diverse sono le scuole private, che poi obbligano gli studenti a effettuare esami per potersi vedere riconosciuto il titolo: in Italia sono circa 700, una minoranza esigua.

I diplomifici

La ragione sottostante a questa questione «ideologica» affonda anche nel pregiudizio nei confronti dei «diplomifici», le scuole paritarie che elargivano fin troppo facilmente i diplomi di maturità, chiudendo un occhio sugli esami di Stato. Da un anno a questa parte, il ministero dell’Istruzione ha avviato un monitoraggio, per chiudere a tappeto le scuole che non meritano la «parità scolastica», che appunto non possono essere considerate alla stregua delle statali. Nel mirino tutti gli istituti secondari superiori dove il tasso di iscrizione si impennava nel corso del quarto e, soprattutto, del quinto anno, oppure dove affluiva una gran massa di privatisti, studenti cioè che dopo svariati percorsi scolastici approdavano in quella scuola solo per sostenere l’esame di maturità. Su 326 istituti visitati, 47 sono stati «bocciati», altri 279 sono stati confermati o dovranno essere sanati. «Quelle poche mele marce finiscono per inficiare il ruolo di tutte le altre che , pur ricevendo contributi scarsissimi, svolgono un ruolo importantissimo per la società», spiega il sottosegretario Gabriele Toccafondi. In realtà anche su quei contributi, definiti scarsissimi, si scatenano ogni anno le polemiche politiche: quest’anno il fondo per le paritarie, che lo Stato distribuisce poi attraverso le Regioni, ammontava a 500 milioni, a cui vanno aggiunti i 50 milioni per le materne e i 23,4 milioni per la disabilità. Troppi, secondo il fronte laico, che critica anche la scelta di innalzare le detrazioni fiscali della retta per le famiglie da 400 euro a 564 per il 2016, 717 per il 2017, 786 per il 2018 e .

Pago, pretendo

«L’errore che si fa è considerare queste scuole come aziende – rileva Elio Formosa della Cisl— Cosa che non è»: a chiarirlo è una sentenza del Consiglio di Stato, del 28 giugno dell’anno scorso, che attesta che «sono senza scopo di lucro le scuole paritarie che svolgono il servizio scolastico senza corrispettivo, vale a dire a titolo gratuito, o dietro versamento di un corrispettivo solo simbolico per il servizio scolastico prestato, o comunque di un corrispettivo tale da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio». Ma come si fa a dire se una retta può essere considerata simbolica o segno di un’attività con scopo di lucro? Il decreto ministeriale 380 del 6 giugno 2017 chiarisce ulteriormente il concetto di attività «non commerciale», che si configura quando «il corrispettivo medio percepito dalla scuola paritaria è inferiore al costo medio per studente annualmente pubblicato dal ministero dell’Istruzione». Quindi, visto che il costo medio per studente è in media intorno ai 6 mila euro, tutte le scuole paritarie che, sommando la retta (in media dai 200 ai 400 euro annui) al contributo statale (500 euro circa l’anno) rimangono sotto questa soglia, possono essere considerate a tutti gli effetti attività senza scopo di lucro, anche le scuole cattoliche che sono state esentate dal pagamento dell’Imu, la tassa sugli immobili. «È ovvio che non parliamo dei grandi istituti iper-esclusivi con rette che pochi possono permettersi – rileva Toccafondi – la maggior parte delle paritarie, quelle che fanno risparmiare allo Stato sei miliardi all’anno, è creata da associazioni, fondazioni, enti ecclesiastici, e si barcamena per chiudere i bilanci». Anche cercando di ottenere fondi europei, come sarà possibile da quest’anno grazie ad un’intesa tra Miur e Commissione europea, che ha però fatto storcere il naso ai sindacati: «Le scuole sono come i taxi: svolgono servizio pubblico ma perseguono fini privati», rileva Pino Turi, segretario della Uil scuola.

La giungla di condizioni

Ma c’è un’altra strada, usata per tagliare i costi: ritoccare all’ingiù i diritti dei lavoratori. Nelle paritarie esistono infatti ben tre tipi diversi di contratti di lavoro per docenti, Ata e dirigenti: Agidae (scuole cattoliche, uno dei più simili per tutele a quello statale), Fism e Aninsei (Confindustria), e in più ci sono contratti collettivi di lavoro riconosciuti a livello nazionale che portano al ribasso le condizioni di tutele, richiedendo più ore, con retribuzioni più basse e meno diritti: «E c’è una vera corsa delle organizzazioni sindacali minori a proporli, col rischio che i migliori docenti fuggano dalle paritarie, peggiorando la crisi in atto», rileva Formosa. Le trattative per unificare i contratti sono lunghe e farraginose, e del resto anche l’idea di adeguare tutte le scuole al concetto di «costo standard» per alunno non è facilmente accettata nel nostro sistema.

La polemica sul costo standard

«I costi standard sono una cosa assurda. Pensarlo per la scuola significa condurre il sistema di istruzione a fare la fine della sanità», sostiene Turi, che definisce divisivo un sistema basato sui costi standard, in cui ogni scuola avrebbe diritto alle stesse risorse (pubbliche) per garantire l’istruzione: «Condurrebbe ad una competizione inaccettabile». Eppure ci sono già molte regioni che contribuiscono con voucher o agevolazioni al pagamento delle rette delle paritarie per le famiglie che non vogliono o non possono far frequentare una scuola statale ai propri figli, come la Toscana, la Lombardia e il Veneto. Tanto più se queste scuole, che hanno l’obbligo di accogliere i disabili, devono sostenere anche i costi degli insegnanti di sostegno, circa 30-40 mila euro all’anno, a fronte dei 1000 euro circa che lo Stato oggi elargisce per ogni disabile accolto in una paritaria. Si potrebbe fare di più? «No, noi siamo per la scuola pluralista e laica dello Stato», dice Francesco Sinopoli, segretario Flc Cgil, che però poi ammette: «Ma è anche giusto che, laddove lo Stato non riesce ad offrire un servizio adeguato, bisogna riconoscere l’importanza delle scuole paritarie: è il caso delle materne, che rappresentano il 70% delle paritarie in Italia, ospitano 560 mila bambini, un terzo dell’utenza, e in alcune regioni, come il Veneto, coprono quasi interamente la richiesta di servizi di scuola dell’infanzia».

Suor Anna Monia Alfieri

E infatti al Miur è stato aperto, nei giorni scorsi, un tavolo per parlare di costi standard. Soddisfatta Suor suor Anna Monia Alfieri, gestore legale delle Scuole Marcelline di tutta Italia, docente di economia alla Cattolica e tenace sostenitrice del costo standard per alunno: «Se venisse veramente applicato in Italia, ogni famiglia avrebbe libertà di scelta educativa: ora siamo al 47° posto nel mondo, ed è evidente che chi sceglie una paritaria deve sopportare un doppio costo, le tasse che paga allo Stato e la retta. Se invece potesse scegliere, quei soldi destinati dallo Stato all’istruzione del proprio figlio potrebbero convergere in una scuola paritaria o statale indifferentemente». Al netto delle complessità organizzative -ogni anno lo Stato dovrebbe rimodulare le docenze, la disponibilità di locali, i contratti con i fornitori, in base agli studenti iscritti- concettualmente l’ipotesi ha delle basi: «Se io potessi scegliere, come faccio con la sanità, se andare a curarmi al San Raffaele o al Policlinico, pagando comunque solo il ticket, ci sarebbe più concorrenza e anche le scuole statali non rischierebbero di rimanere senza carta igienica o insegnanti di sostegno, o peggio ancora di infornare 50 mila insegnanti e rimanere poi senza docenti di matematica», dice caustica Suor Anna. Che nega strenuamente ogni rischio di indottrinamento: «Noi siamo cattolici ma abbiamo sempre rispettato tutte le religioni e la libertà di ciascuno di non credere. La vera realtà cattolica non soffoca, non impone. Un esempio su tutti? una delle nostre studentesse più note è stata Samantha Cristoforetti, laica, e libera di poter esprimere se stessa». Le scuole paritarie rivendicano una superiorità rispetto alle pubbliche? « No, non lo direi mai- conclude Alfieri- ma sicuramente nelle nostre scuole tutto il personale, laico e religioso, dà il meglio di sé, perché la scuola sia di qualità».

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La crisi delle scuole paritarie: studenti giù del 13% in cinque anni. «Non chiamateci private» ultima modifica: 2017-12-11T16:12:45+01:00 da
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