La formazione iniziale e la soluzione del Governo

Insegnare_logo1di Massimo Baldacci, insegnare  3.12.2016
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– Circa la preparazione del docente per la scuola secondaria si sconta l’assenza storica di una soluzione organica, che soltanto con le Ssis aveva visto una almeno parziale realizzazione. Un problema, questo, che permane anche rispetto al nuovo sistema messo a punto dal Governo Renzi.

Due idee fondamentali

In questo intervento compiremo una rapida valutazione di tale sistema. A questo scopo, partiremo da un modello di formazione caratterizzato da due idee fondamentali:  un’idea complessa della professionalità docente; un’idea di curricolo integrato.

L’idea complessa della professionalità docente è legata al superamento di unilateralità inerenti al profilo dell’insegnante: ora esperto di contenuti ora di metodi didattici, ora depositario dell’istruzione ora educatore. Il mestiere d’insegnare richiede una pluralità di competenze: culturali (relative ai saperi disciplinari); didattiche (inerenti alle metodologie d’insegnamento); relazionali (concernenti in rapporto con gli alunni); organizzative (relative alla gestione degli ambienti della formazione). Ma l’idea che caratterizza questa prospettiva non è solo legata alla pluralità delle dimensioni della professionalità, ma anche alla convergenza sul concetto della “competenza” come costrutto in grado di esprimere la forma specifica di tale professionalità. Questo approdo teorico ha, però, precisi riflessi pratici: formare competenze non è la stessa cosa che impartire conoscenze.

Si è, inoltre, compreso che la complessità della professionalità docente non è dovuta solo alla molteplicità delle dimensioni di competenza che implica, ma anche al fatto che tali dimensioni si devono intrecciare e fondere nel contesto delle pratiche scolastiche. Da qui la seconda idea, quella del curricolo integrato.

L’idea di un curricolo integrato è invece basata sulla connessione di corsi, laboratori e tirocinio secondo un circolo tra teoria e prassi. Questi diversi dispositivi formativi non devono essere posti in una sequenza lineare (che parte dai corsi teorici per arrivare poi al tirocinio), ma si devono intrecciare variamente.

La soluzione del Governo Renzi

Giunti a questo punto, occorre domandarsi se il nuovo sistema di formazione va nella direzione indicata.
La soluzione formulata dal Governo Renzi per la formazione dei docenti prevede un concorso per l’assunzione dopo la Laurea magistrale disciplinare (nel corso della quale si acquisiscono anche 24 crediti formativi sulle scienze dell’educazione), seguito (per coloro che vengono assunti) da un triennio di formazione, di cui il primo anno rappresenta una sorta di corso universitario per l’insegnamento (più o meno come il recente Tfa), mentre il successivo biennio è dedicato al tirocinio sul campo che, se prestato in modo adeguato, permette la successiva assunzione “definitiva”.

Una valutazione analitica di questo sistema richiederebbe molto spazio, perciò ci limitiamo a poche considerazioni.
Come si è visto, il concetto di “competenza” costituisce il fulcro della dimensione professionale. Ma formare competenze, non è la stessa cosa che impartire conoscenze. Si tratta di apprendimenti di livello logico differente, e come tali legati a ordini temporali diversi: l’acquisizione di una competenza richiede un tempo molto più esteso rispetto all’apprendimento di conoscenze. Un tempo che non viene assicurato dal primo anno del triennio post-concorsuale (così come non è stato assicurato dai recenti Tfa, per di più compressi in pochi mesi di attività effettiva). Pertanto, l’anno di formazione universitaria rischia di esaurirsi in un’acquisizione di conoscenze relative alle scienze dell’educazione, senza dare luogo a vere competenze (e i crediti anticipati nella Laurea magistrale disciplinare, benché opportuni, non modificano la sostanza della questione).

Inoltre, lo spostamento del tirocinio nel biennio a valle del primo anno di formazione è contrario alla logica dell’integrazione, necessaria per fondere i diversi apprendimenti parziali in una competenza professionale. La soluzione adottata ripristina, di fatto, una logica sequenziale che separa la teoria dalla pratica, invece di tenerle unite e farle interagire il più strettamente possibile. In questo modo, non solo non si formeranno vere competenze, ma anche le conoscenze acquisite saranno debolmente integrate tra loro e prive d’ingranamento con la prassi. Così, tali conoscenze rischieranno di subire quel fenomeno d’incapsulamento di cui si è detto, che non permette di trasformarle in veri strumenti di lavoro. In altre parole, questo sistema rischia di produrre un insegnante equipaggiato soltanto di conoscenze mal integrate e scarsamente utili nella prassi.

Restando nella cornice del raccordo concepito dal Governo tra formazione e reclutamento, per ottenere un sistema razionale si sarebbe dovuto dedicare alla formazione universitaria il primo biennio del triennio post-concorsuale, ripristinando il modello integrato: corsi, laboratori e tirocinio (diretto e indiretto) che s’intrecciano fin dal primo anno.

Nel quadro del sistema varato, l’unica misura che potrebbe diminuire i rischi descritti è quella di prevedere nel biennio conclusivo del triennio post-concorsuale elevate dosi di tirocinio indiretto, concepito secondo modalità progettuali e riflessive, ossia dando ampio spazio alla progettazione degli interventi didattici e all’attenta riflessione sui loro esiti. Ma non si sa se all’atto pratico sarà possibile realizzare qualcosa del genere. Gli aspiranti insegnanti potrebbero essere assorbiti in una girandola di supplenze. Ma queste ultime, per la loro imprevedibilità, non rendono possibile una logica progettuale, e abituano invece a uno stile di lavoro basato sull’estemporaneità e l’improvvisazione. E sviluppare nell’insegnante la tendenza a improvvisare, anziché a progettare, non contribuisce certamente alla qualità dei processi formativi.

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La formazione iniziale e la soluzione del Governo ultima modifica: 2016-12-04T06:11:55+01:00 da
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