Lascio la cattedra per imparare. Se in Erasmus ci va il prof

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Boom di domande: oltre 1700 docenti partono quest’anno. La meta preferita è il Regno Unito

di Ilaria Venturi   la Repubblica,   1.8.2015

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ENTRERANNO nelle aule delle scuole di Plymouth e Portsmouth per capire come insegnano i colleghi inglesi. E andranno a visitare le aziende britanniche a caccia di tecnologie da riprodurre nei laboratori del loro istituto. In genere sono i loro studenti ad andare a studiare all’estero. Questa volta la valigia la faranno loro. Da settembre quattordici professori del Buonarroti di Trento, istituto tecnico all’avanguardia, voleranno nel sud dell’Inghilterra. È l’Erasmus degli insegnanti. Sono 1.742 i docenti di scuole italiane, dalle materne alle superiori, che nei prossimi mesi andranno all’estero per un corso di formazione o per un periodo di “co-docenza” in scuole europee: l’8% in più rispetto allo scorso anno. Voglia di uscire dalle classi e di varcare i confini. Un fenomeno in aumento.
«C’è un bisogno crescente nella classe insegnante italiana, in tutti gli ordini di scuola, di mettersi in gioco, di formarsi guardando all’Europa», spiega Francesco Salvi, dell’agenzia nazionale “Erasmus+ Indire”. E infatti la domanda è altissima: 33mila richieste, che corrispondono a duemila progetti presentati dalle scuole, dal 2014 ad oggi. Ma solo il 10% (un centinaio di progetti all’anno) passano all’approvazione con un budget di 3,5 milioni. L’Agenzia deve fare i conti con i finanziamenti che ha a disposizione, per questo la selezione è molto dura. «Ci vorrebbero più fondi», osserva Salvi.
Il programma “Erasmus+” è nato a gennaio 2014 e dura sette anni, sino al 2020, finanziato dall’Unione europea con 14,7 miliardi in 33 Paesi. «Prima c’erano borse di studio individuali, ora con il nuovo programma la domanda viene fatta attraverso le scuole sul modello Erasmus delle università — aggiunge il responsabile della mobilità dei docenti — questa è la novità che coinvolge gli istituti e che ha fatto aumentare progettualità e richieste ». Insegnanti italiani in giro per l’Europa, per pochi giorni, alcune settimane sino a un anno intero per i progetti più a lungo termine. «Nello scambio diretto con i colleghi di altri Paesi i nostri si difendono bene — assicura Salvi — non sempre il confronto ci trova perdenti, anzi».
I docenti giramondo vengono soprattutto da Emilia Romagna, Sicilia, Puglia e Lazio. Le destinazioni preferite? Regno Unito, ovviamente, come i loro studenti (639 domande di mobilità approvate quest’anno). Seguono Irlanda, Spagna, Francia, Malta e Finlandia.
Paolo Rossetti, insegnante di inglese alle medie di Quartu Sant’Elena, in Sardegna, è stato a Budapest per una esperienza di jobshadowing , scambio di esperienze professionali sul campo. «Volevo capire come insegnavano la mia materia, confrontarmi con altri metodi didattici», racconta. «È stato utilissimo. Noi siamo più teorici, insistiamo più sulla grammatica, sulle regole e gli esercizi piuttosto che sul dialogo e la comprensione della lingua. Nella scuola dove sono stato i ragazzi venivano divisi in piccoli gruppi, lavoravano al massimo in dieci».
L’ultimo Rapporto europeo Euridyce, presentato a giugno scorso a Bruxelles e che ha coinvolto due milioni di insegnanti europei delle scuole medie inferiori, racconta che il 22% degli italiani, con età media di 50 anni, è stato all’estero per motivi professionali. Una percentuale inferiore alla media europea del 27%. È soprattutto grazie al programma nazionale “Erasmus+”, rivela l’indagine, che i docenti riescono a partire. Quasi un quarto degli insegnanti in mobilità è stato all’estero per motivi professionali grazie a questa misura. «Parti e ritorni sperando sia cresciuto il suo livello di inglese e di insegnamento da riportare nelle classi e ai colleghi», spiegano Giuseppe Gammino e Giuseppe Peranzoni, professori al Buonarrotti di Trento. «È la prima volta che facciamo una simile esperienza, su due turni». Ad essere coinvolti sono professori di lettere, di diritto e delle materie tecnologiche. «L’idea è innovare e questo scambio con le scuole inglesi ci aiuterà anche a creare moduli didattici a disposizione di tutti nella biblioteca di istituto — conclude Gammino — D’altra parte la lezione tradizionale non tiene più con i nostri ragazzi. E il tempo scuola è ormai quello che vivono in classe alla mattina: lì dobbiamo cogliere l’interesse degli studenti, accendere passioni. Andare all’estero per vedere cosa fanno gli altri ci aiuta, è un vantaggio».
Dal 2014 a oggi ci sono state 33mila richieste: il progetto può durare fino a un anno “In classe bisogna catturare l’interesse degli studenti, questo scambio all’estero ci aiuta”
Lascio la cattedra per imparare. Se in Erasmus ci va il prof ultima modifica: 2015-08-01T08:24:19+02:00 da
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