Lo studente al centro del sistema e la scuola come servizio: due errori popolari da evitare. Ecco perché

Il Foglio, 2.12.2017

– Due miti da sfatare sull’insegnamento.

– Pubblichiamo due brani tratti da “Sillabo, ovvero catalogo di quaranta proposizioni erronee intorno alla scuola” di Umberto Di Raimo, edizioni Pendragon, 2005.

Al centro del sistema scolastico deve essere posto lo studente [Errore popolare]

Questo è un errore comunissimo. E’ un errore popolare, nel quale sogliono peraltro incorrere assai spesso uomini politici di rango (ministri, sottosegretari, parlamentari semplici), oltre che stimati uomini di scuola (presidi, ispettori, taluni docenti). Possono darsi varianti di questo errore, come quelle che pongono al centro del sistema scolastico soggetti diversi, quali ad esempio il docente o la famiglia dello studente (detta altresì, talora, committente). Ma un siffatto errore è assai facile a correggersi: basterà avvertire che al centro del sistema scolastico deve situarsi – come peraltro è ovvio, semplicemente ovvio – il sapere. Nella scuola i docenti trasmettono il sapere che già posseggono e sono chiamati ad acquistare ed elaborare – col loro diuturno studio – nuovo sapere. A loro volta i discenti sono chiamati quotidianamente a ricevere ed elaborare sapere, in collaborazione coi loro docenti.

Nota: Tra l’imparare e l’insegnare si snoda un vasto e semiocculto processo di facitura che giustifica (e nel contempo gagliardamente guerreggia con) l’aforisma di Karl Kraus: “Se amare serve solo a procreare, allora imparare serve solo a insegnare. Questa è la doppia giustificazione teleologica dell’esistenza dei professori”.

La scuola è un servizio [Errore popolare]

Questo errore è grandemente pericoloso, perché ha l’apparenza della verità. Tutto il problema risiede nello stato di passività in cui versa colui il quale usufruisce di un servizio. Si ponga mente, ad esempio, all’opera del sarto. Si può ben dire che egli svolga un servizio nei confronti del cliente: perché il cliente, in modo del tutto passivo (si limita a ordinare il vestito e a pagare il conto), domanda interamente al sarto il compito di confezionare l’abito. Così la sartoria, considerata dalla parte del cliente, potrà ben a ragione definirsi un servizio. Qualcosa di simile si potrà dire del cardiochirurgo che accomoda il muscolo cardiaco di un paziente, essendo questi (com’è ovvio) del tutto impartecipe dell’operazione che si compie su di lui: allora anche la cardiochirurgia, veduta dalla parte del paziente, potrà definirsi un servizio. In tutti questi casi chi fruisce non fa nulla: si limita a godere, per l’appunto, di un servizio; non senza finalmente pagare – come è ben doveroso – l’equo prezzo della prestazione allo specialista che ha eseguito l’opera. Tutto il contrario avviene nella scuola, dove non si darà giammai il caso di uno studente che impari la matematica (o qualsivoglia altra disciplina) rimanendo completamente inerte e demandando ogni e qualunque attività al proprio docente. La scuola dunque, piuttosto che un servizio, sarà da definirsi un’attività: senza l’attività consapevole del discente non si arriva a costruire ciò che nella scuola c’è da costruire: il sapere e il carattere del giovane. Insomma alla scaturigine prima della scuola comunque intesa sta un agire, che poi dura e sussiste per tutto il tempo che dura la scuola. “In principio era l’atto”, direbbe il Goethe.

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