«Devono pagare, non ci sono dubbi. Lo dice la Costituzione».  Lorenza Carlassare professore emerito di diritto costituzionale all’Università di Padova interviene a proposito delle sentenze della Corte di Cassazione che obbligano due istituti religiosi paritari di Livorno a pagare gli arretrati dell’Ici al Comune. «È semplicissimo, basta leggere l’articolo 33 della Costituzione che dice che enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione ma “senza oneri per lo Stato”. Non occorre essere menti superiori per capirlo. Inoltre, sono già troppi i fondi dati alle scuole private – che è inutile che le chiamino scuole paritarie – perché sono private». «Quindi – continua la giurista – questi istituti non devono godere di privilegi né ricevere sovvenzioni almeno fino a  che  le esigenze della scuola pubblica non siano state finalmente soddisfatte, a cominciare dagli edifici fino alla condizione dei professori. Se lo Stato avesse risorse sufficienti, una volta soddisfatto il suo obbligo di rimettere a posto la scuola pubblica, al limite, potrebbe anche disporre del residuo».E che ne pensa la costituzionalista del giudizio che ha dato il presidente della Cei, definendo la sentenza della Cassazione “ideologica e pericolosa”? «I pericoli sono piuttosto nelle scuole private in cui i docenti non hanno libertà d’insegnamento e possono essere sostituiti se non seguono l’indirizzo della scuola, mentre è il pluralismo ad essere il fondamento di una formazione critica. In questi anni hanno mortificato la scuola pubblica e la dignità dei docenti, gli edifici scolatici sono in rovina, mancano insegnanti di sostegno per i ragazzi più fragili, di cui lo stato ha l’obbligo costituzionale di prendersi cura. E invece lo Stato che fa? Trascura la scuola pubblica a vantaggio di quella private».

@dona_Coccoli

(https://left.it/2015/07/27/carlassare-scuole-paritarie/)


Libertà di insegnamento

Prof. Carlo Marzuoli


1. Che cosa è la libertà di insegnamento*

E’ tante cose, in aggiunta alla definizione offerta dal D. Lgs. n. 297/1994, art. 1 (“autonomia didattica e …libera espressione culturale del docente”, diretta a “promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni, la piena formazione della personalità degli alunni”) . Richiamerei le seguenti.
La libertà di insegnamento:
a) è l’istruzione pubblica; l’ immedesimazione è totale; nella Cost. l’istruzione è pubblica solo perché deve garantire a chiunque (cattolico, ateo, mussulmano) di sentirsi a casa sua: deve essere neutra; il mezzo è la libertà di insegnamento.
b) è un diritto di una persona, ma anche prerogativa di un compito pubblico: la libertà di insegnamento sta alla funzione docente come l’indipendenza sta alla funzione del giudice.
c) si fonda su una autonomia di tipo tecnico-professionale, è la libertà di colui che esercita una determinata competenza; l’insegnante è in primo luogo un tecnico (nel senso di specialista in un qualche cosa) e solo in quanto tale e nei relativi limiti è un libero pensatore, non oltre (oltre pensa e parla, ma come privato, e non come docente).
d) si innesta in un’attività doverosa, il servizio, e dunque vive in un contesto di vincoli (di cui dirò).

2. La domanda fondamentale è: come garantire la libertà di insegnamento

La norma che la definisce non è sufficiente. Infatti, se riprendiamo il paragone con il giudice,
abbiamo un certo statuto giuridico, fino ad un’apposita struttura di autogoverno.
Il docente non è il giudice, ma il problema deve essere impostato allo stesso modo: occorre investire molti altri aspetti, che sono i profili “estrinseci” della libertà di insegnamento, e che hanno altri nomi: “organizzazione del servizio”, “stato giuridico”, “rapporto di lavoro”, “istituto scolastico”, ecc. Ad esempio: accesso pubblico, trasparente e concorsuale; stabilità dell’incarico; autonomia dalle influenze di soggetti non specialisti; possibilità di manifestare le proprie valutazioni, in forma singola o in forma organizzata, sugli aspetti tecnici delle politiche dell’istruzione: di poter dire, caro Governo (o cara Giunta regionale), i tuoi obiettivi di politica scolastica sono tecnicamente contraddittori, fai pure, perché a te spetta decidere, ma prima rifletti su quanto ti dico; oppure: non discuto i tuoi obiettivi di politica scolastica, ma i mezzi che metti a disposizione sono insufficienti e dunque provvedi, assumiti le tue responsabilità di governo: riduci gli obiettivi o incrementa le risorse.
In particolare, mi soffermerei sui seguenti: istituto scolastico privato di tendenza, valutazione e controllo, datore di lavoro, stato giuridico.

a) Libertà di insegnamento e istituto scolastico privato di tendenza

1. L’inserimento non della scuola privata, ma della scuola privata di tendenza come componente normale dell’istruzione pubblica (sistema nazionale di istruzione: legge n. 62/2000) è lesiva della libertà di insegnamento.
Basta pensare a ciò che significa e comporta sul piano delle assunzioni e della gestione del personale docente: il tutto sarà sempre più condizionato o potrà essere condizionato da aspetti ideologici o religiosi; si avrà un arretramento del costume sociale, perché la necessità di lavorare è un bisogno serio (oggettivo), e giustifica l’autocensura (come normalmente accade in lavori da questo punto di vista meno fortunati, e sono tanti); avremo meno docenti in condizione giuridica di libertà di insegnamento e sarà compromessa la neutralità dell’istruzione, ovvero: l’istruzione pubblica.

2. La disposizione costituzionale sul finanziamento delle scuole private non può limitare il danno.
Se la scuola privata di tendenza è costituzionalmente legittima, essa è equipollente alla scuola statale; e, se l’una vale l’altra, quei cittadini che da anni lontani affermano di avere il diritto costituzionale di scelta fra una scuola neutra (“statale”) e una scuola di tendenza hanno ragione. Conseguenza: l’assenza di finanziamento pubblico impedisce l’esercizio di tale diritto costituzionale e pertanto viola il principio di eguaglianza. Conclusione: per garantire l’eguaglianza, dobbiamo finanziare la scuola privata di tendenza.
Credo che l’alternativa sia solo questa: o la scuola privata di tendenza è illegittimamente inclusa nel sistema dell’istruzione pubblica, e allora deve essere esclusa; oppure è legittimamente inclusa, e allora deve essere finanziata.

3. Non è finita. La situazione è aggravata dal fatto che la legge (n. 62/2000) non prevede alcun effettivo controllo: mano libera. Commento: la legge ha introdotto non la concorrenza (che non è un male in sé), ma la concorrenza sleale, che, invece, è un male in sé. Se la legge n. 62/2000 riguardasse un settore economico imprenditoriale, sicuramente sarebbero insorte: le imprese, l’Autorità garante per la tutela della concorrenza e del mercato, la Commissione CE.
Dunque: il modello adottato per tutelare la libertà nel settore dell’istruzione, dove sono coinvolti diritti essenziali della persona e il diritto costituzionale alla libertà di insegnamento, è decisamente peggiore di quello utilizzato per disciplinare le attività economiche.

4. Oggi, libertà di insegnamento significa riaprire il discorso sulla legge n. 62/2000. Però, con moderazione e con prudenza, e con un obiettivo duplice: la dichiarazione di incostituzionalità, in primo luogo, ma, in ogni caso, la modifica della legge per avere (quanto meno) regole puntuali, stringenti, che possano in qualche modo disegnare una scuola paritaria compatibile con la Costituzione ed evitare gli effetti a cui ho fatto cenno.

5. Un ultimo punto. Se finanziamenti hanno da essere, e saranno (per quanto ho prima detto, se la legge non cade o non è modificata), allora che non si rimanga a mezza strada.
Se la legge n. 62/2000 vuol tutelare un certo pluralismo, i finanziamenti non possono limitarsi ad un’attribuzione proporzionata all’esistente: ciò, infatti, non è promozione del pluralismo, è solo il trionfo dell’esistente e dunque, in realtà, ostacolo al pluralismo, la cui vocazione è intrinsecamente volta (come accade per l’arte e per la scienza) al nuovo.
Pertanto si debbono riservare, in via generale, preventiva ed astratta, quote significative agli orientamenti assolutamente minoritari e ad orientamenti ancora non nati: quote spettanti di diritto alle scuole mussulmane, alle scuole indù, ecc., e anche – se mi consentite – alle scuole intitolate ai maestri della tolleranza: potrebbe essere il caso di cominciare ad organizzarle, e di pretendere i finanziamenti.

b) Libertà di insegnamento, valutazione e controllo

E’ un aspetto essenziale, non in danno ma a garanzia della libertà di insegnamento. Per queste ragioni.
E’ regola fondamentale di ogni ordinamento democratico che nessuna funzione pubblica sia sottratta al controllo, e alla responsabilità (art. 97, c.2). La legittimazione delle istituzioni pubbliche dipende dalle utilità che esse realmente danno ai singoli cittadini; ad esempio: il cittadino che sa di non poter avere in un tempo utile la sentenza può essere interessato all’indipendenza del giudice? direi di no, perché, per lui, la giustizia, è un lusso. Infine, vi è un consolidato indirizzo che prevede valutazioni e controlli di risultato (vedi D. Lgs. n. 286/1999) in tutti i settori dell’amministrazione pubblica.
Naturalmente, si tratta di stabilire quali criteri adoperare. E’ sbagliato ricorrere a criteri propri di un servizio pubblico di trasporto o di un’impresa produttrice di beni (ad esempio, Università, il numero di esami superati: perfetto, si promuovono tutti). Ma non basta rifiutare tali criteri, occorre indicare quelli giusti; e, se non ci sono, occorre inventarli, nell’interesse dei docenti. Peraltro, su questo stanno da qualche tempo maturando studi, ricerche, esperimenti: vi è solo l’urgenza di andare avanti e di definire e di applicare, presto, e ovunque, regole adeguate.

c) Libertà di insegnamento e datore di lavoro

Il punto non è dei migliori, per avere consensi. Ma il sottotitolo è: il valore indivisibile della legalità.
L’attuale Titolo V pare implicare la destatizzazione del personale docente dell’istruzione. Il nuovo datore di lavoro può essere: la Regione, il Comune, la Provincia, il singolo istituto scolastico, altre strutture.
I docenti (ed i cittadini) sono allarmati: il potere politico più vicino può essere un pericolo maggiore rispetto a quello lontano. La preoccupazione è pienamente condivisibile; ma – giuridicamente – non ritengo che possa essere mantenuto lo statuto attuale; il rimedio può essere trovato solo a partire da questa premessa. Prima ci si pensa, meglio è.
I punti centrali, a tal fine, sono due.
Identità del datore di lavoro. La Regione, per le sue dimensioni territoriali, consentirebbe una disciplina più soddisfacente; vi è maggiore elasticità (si pensi alle compensazioni, ad esempio, fra scuole con eccedenza di personale e scuole con necessità di personale), e si potrebbe ipotizzare un’organizzazione incardinata nella Regione, ma in posizione di particolare autonomia, come strumento di specifica tutela: ad esempio, un’apposita Agenzia (tutta da studiare); escluderei il reclutamento istituto per istituto, ché è la soluzione più rischiosa.
Ma, soprattutto, occorre ridisciplinare la libertà di insegnamento ed alcuni aspetti della condizione giuridica del docente, cioè lo “stato giuridico”: questa è l’unica reale garanzia dinanzi ai nuovi pericoli.
I problemi enunciati possono essere risolti con legge nazionale, in sede di “norme generali sull’istruzione” (art. 117), e così si possono eliminare le ragioni oggettive dei (legittimi) timori verso la destatizzazione.

d) La condizione giuridica dei docenti

Il sistema è completamente cambiato: non è possibile evitare di riprendere il tema della funzione docente e della condizione giuridica del docente.
Come fare. Molti ritengono che si debba provvedere in sede di contrattazione con i sindacati. Dal punto di vista giuridico, è un errore. Ciò, naturalmente, ripeto, in riferimento al rapporto di lavoro con gli enti pubblici e non al rapporto di lavoro fra privati, che è altra cosa: nel rapporto privato, la parte “datoriale” è un privato, nel rapporto con le Pubbliche amministrazioni, a ben vedere, la parte “datoriale” è la sovranità popolare, attraverso le sue istituzioni.
Ebbene, in tema di rapporti di lavoro con enti pubblici, oltre a leggi vigenti, ma spesso disattese (L. n. 421/1992, art. 2, c. 1, legge delega per la privatizzazione del rapporto di lavoro con le Pubbliche Amministrazioni; D. Lgs. n. 165/2001, art. 2, sul rapporto di lavoro con le Pubbliche Amministrazioni), oltre al principio per cui i diritti costituzionali si regolano con legge (o in base alla legge), vi è l’art. 97 Cost., secondo cui i “pubblici uffici” (le funzioni, l’organizzazione, ecc.) debbono essere disciplinati in base alla legge, in modo da assicurare imparzialità e buon andamento.
Questo principio è non è un’eredità del vecchio Stato monarchico-costituzionale: no, è un’autentica novità della Costituzione repubblicana e democratica. E il principio tale rimane, democratico e progressivo, nei confronti di chiunque.
Il diritto è sistema, e pretende coerenza. Il valore della legalità è indivisibile (già detto), non è possibile dire sì a uno e no ad un altro. Pagheremmo prezzi altissimi. Vorrei ricordarne due.
a) La scuola privata di tendenza. Ho detto che non rispetta i principi costituzionali. Ma anche il sindacato è un’organizzazione privata; se gli consentiamo la cogestione (o la contitolarità) di funzioni pubbliche, come facciamo a criticare la funzione attribuita alle scuole private di tendenza dalla legge n. 62/2000? Non è possibile.
b) Vi è ben altro.
L’art. 118 Cost. ha introdotto il principio della sussidiarietà orizzontale; afferma che gli enti territoriali (Stato, Regioni, Province, ecc.) “favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale”. Il principio è giusto, perfino ovvio, e di sempre, ma se rettamente interpretato.
Molti Colleghi giuristi, invece, interpretano la norma in un senso che scardina la struttura democratico- rappresentativa delle nostre istituzioni. Essi ritengono che il principio di sussidiarietà orizzontale obblighi ad attribuire attività pubbliche alle autonome scelte dei più diversi soggetti privati, in tutti i settori: dall’economia alla scuola, dalla sanità all’assistenza, ecc, in danno ed in sostituzione del ruolo di governo di Comune, Provincia, ecc. Ad esempio, utilizzano la sussidiarietà orizzontale per giustificare (a riprova) la scuola privata di tendenza, oppure per sostenere che le Camere di Commercio hanno diritto a cogestire, a livello provinciale e in parte regionale, il governo dell’economia.
La tesi è diffusa, e tuttavia è inaccettabile. Ci sono voluti milioni di anni stabilire che le funzioni pubbliche spettano a chi è direttamente o indirettamente legittimato dal corpo elettorale, e, ora, con una certa interpretazione della sussidiarietà orizzontale, si torna indietro.
Ma – ecco il punto – con quale credibilità ci si può opporre a queste interpretazioni, se si accetta l’idea che anche una sola organizzazione di interessi di categoria possa legittimamente aspirare a cogestire le funzioni pubbliche? Non è possibile.
Allora, tornando alla nostra questione: prima viene la Costituzione; dunque, certi aspetti (non tutti) debbono ritornare sotto la legge, indipendentemente da chi sia al governo. Sottolineo: sotto la legge, e non sotto regolamenti governativi, come in gran parte fanno i due progetti di legge di recente presentati (n. 4091 e n. 4095), il che non è ammissibile. Ma la via maestra per contrastare questa soluzione, giuridicamente, è l’elaborazione di altri progetti, in cui la materia che interessa sia regolata: 1) direttamente dalla legge; 2) nella sua interezza (o quasi); 3) in conformità ai principi di libertà e responsabilità della nostra Costituzione.


*Mi riferisco alla libertà di insegnamento con riguardo all’istruzione pubblica; la libertà di insegnamento in ambito privato è un altro fenomeno, e non me ne occupo.

(Bozza provvisoria della relazione al Seminario Dove va la Scuola? Federalismo, enti locali, autonomia scolastica, organizzato dal Comune di Firenze e dal C.I.D.I, Firenze 29 Ottobre 2003)

La libertà d’insegnamento (E. Testa)

http://www.funzioniobiettivo.it/glossadid/liberta.htm


Scuole private e libertà d’insegnamento

Pubblichiamo la lettera inviata da Domenico Gallo e Alfiero Grandi, esponenti del Coordinamento Democrazia Costituzionale, ai Senatori della Commissione cultura del Senato impegnata nell’esame del disegno di legge governativo sulla riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione. Nella lettera non c’è una critica dettagliata della riforma, cosa che hanno fatto con più competenza e rigore i sindacati e le associazioni democratiche degli insegnanti, in particolare il coordinamento nazionale per la scuola della Costituzione, però si mette il dito su una delle piaghe principali del progetto, che suscitano lo sconcerto di coloro che hanno a cuore i valori repubblicani.

Gentile Senatore,
nel momento in cui è all’esame del Parlamento una riforma del sistema nazionale  di istruzione e formazione (AS 1934) che sta suscitando allarme e fortissime preoccupazioni fra gli insegnanti, gli studenti e le famiglie, desideriamo segnalarle l’esigenza che il Parlamento, ora più che mai affronti le questioni che sono sul tappeto assumendo come stella polare i principi costituzionali che devono informare l’attività di tutti gli organi della Repubblica.
La questione assume un rilievo straordinario perché nel disegno di legge approvato dalla Camera, al di là di alcune formule scontate, non vi è un diretto ancoraggio ai valori repubblicani, cioè ai principi costituzionali che devono ispirare il sistema educativo di istruzione statale, che fanno si, per dirla con Calamandrei, che la scuola sia un organo costituzionale, ovvero la principale istituzione attraverso la quale si realizza la missione della Repubblica, scolpita nell’art. 3, secondo comma della Costituzione, di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”.  Molti sono i punti di crisi attraverso i quali il disegno di legge non riesce ad adeguarsi ai principi costituzionali, quali, per es. quelli posti dall’art. 97 (i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon funzionamento e l’imparzialità dell’amministrazione) ovvero il criterio rigoroso posto dall’art. 76 in materia di delega al governo della funzione legislativa. E tuttavia è proprio il cuore dei principi costituzionali, in materia di istruzione e formazione, scolpito dall’art. 33 (l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento) quello che viene maggiormente inciso dalla riforma. Nella funzione pubblica della scuola gioca un ruolo essenziale il principio laico della libertà di insegnamento, che costituisce il necessario presupposto della libertà dell’arte e della scienza.
Proprio questo principio marca la differenza fondamentale fra la scuola pubblica – funzione della democrazia – e la scuola privata. Questo principio non vige nella scuola privata come ci insegna la giurisprudenza costituzionale e di legittimità, perché il diritto di istituire delle scuole private organizzate sulla base di uno specifico progetto educativo (la c.d. scuola per tendenza) comporta l’obbligo per gli insegnanti di non contraddire quel progetto in virtù del quale la scuola è stata istituita. Insomma nella scuola privata la libertà di insegnamento del singolo insegnante deve cedere il passo alla libertà di insegnamento assicurata alle scuole confessionali in genere ed intesa anche come libertà dei genitori di scegliere per i propri figli un tipo di istruzione concretamente ispirato a determinati orientamenti ideologici. La scuola privata realizza i suoi fini attraverso la libertà di assunzione e di licenziamento discriminatorio degli insegnanti. A suo tempo fece scalpore, nel 1971, l’allontanamento dall’Università cattolica del prof. Franco Cordero, titolare della cattedra di diritto processuale penale. In tale occasione la Corte costituzionale, con la sentenza n. 195 del 1972, fissò il principio che nella scuola privata la libertà d’insegnamento del singolo docente deve cedere di fronte alla libertà d’indirizzo ideologico del privato.
Desta preoccupazione nella riforma l’attribuzione al dirigente scolastico del compito di conferire incarichi triennali, rinnovabili, ai docenti assegnati all’ambito territoriale di riferimento. In pratica al Dirigente scolastico viene attribuita la prerogativa di scegliere gli insegnanti che devono essere adibiti nel suo plesso scolastico e di mandarli via dopo tre anni. Tale funzione è palesemente assurda (si pensi per es. se al Presidente del Tribunale fosse attribuita la prerogativa di scegliersi i magistrati assegnati al suo ufficio) ed a parte le ricadute in termini di clientelismo diffuso (in contrasto con il principio del buon andamento e dell’imparzialità di cui all’art. 97), finisce per subordinare la scuola pubblica ad una logica di privatizzazione con immediati riflessi sul principio della libertà di insegnamento, di cui costituisce un corollario essenziale la non discriminazione.
Roma, 3 giugno 2015

(http://www.mce-fimem.it/scuole-private-e-liberta-dinsegnamento/)

+++++++

La libertà di insegnamento nel rapporto tra scuola pubblica e privata oggi: problematiche costituzionali, diritti multiculturali e multiconfessionali

http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/uploads/pre_2006/218.pdf

+++++++

La libertà di insegnamento nella scuola

http://www.aetnanet.org/scuola-news-4830.html

.

.