Ocse: “In Italia pochi laureati (sotto media di 10 punti), poco preparati e male utilizzati”

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di Cristina Nadotti, la Repubblica, 5.10.2017 

– Il Rapporto: “I lavoratori italiani hanno un basso livello medio di competenze e minori probabilità di mettere a frutto le loro abilità”. Scarsa comunicazione tra università e mondo del lavoro rallentano l’occupazione. Il plauso alle riforme del Jobs act e della Buona scuola.

ROMA – Mancano le competenze di base e avanzate e soltanto se l’Italia migliorerà in questo campo potrà in futuro prosperare e creare un ambiente più inclusivo. Si apre con questa considerazione il rapporto Ocse “Strategia per le competenze” per l’Italia, diffuso oggi dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Nelle 280 pagine del documento, redatto in due anni di lavoro, si sottolinea che “negli ultimi 15 anni i risultati economci dell’Italia sono stati lenti. Nonostante alcuni progressi nell’occupazione – premette l’Ocse – la crescita di produttività è stata stagnante”. E a creare questa stagnazione è il deficit nelle competenze inadeguate per la competitività del mercato del lavoro.

“Solo il 20 per cento degli italiani tra i 25 e i 34 anni è laureato – sottolinea il rapporto – a fronte della media Ocse del 30 per cento”. E non si tratta soltanto di avere meno laureati, perché chi ha un titolo di studio universitario in Italia ha “in media, un più basso tasso di competenze” in lettura e matematica (26° posto su 29 paesi Ocse). Meno preparati, ma anche male impiegati, visto che le analisi del capitolo 2 del rapporto descrivono le difficoltà dei laureati alle prese con la prima occupazione, che spesso non ha nulla a che vedere con la loro preparazione universitaria.

Si assiste così al paradosso per cui ci sono lavoratori che hanno competenze superiori ma hanno mansioni che ne richiedono meno (11,7 per cento) e sono sovra-qualificati (18 per cento), con una percentuale elevatissima (35 per cento) di lavoratori occupati in un settore non correlato ai propri studi.

A salvare i lavoratori la capacità, riconosciuta dal rapporto, di “rapidità d’apprendimento e problem solving”, la vecchia arte d’arrangiarsi insomma, che fa dire all’Ocse che “in Italia, politiche mirate di istruzione e formazione della forza lavoro, che siano anche coordinate tra di loro, potrebbero favorire un miglior (più intensivo) uso delle competenze elevate sul posto di lavoro”.

Il rapporto bacchetta sia le università, incapaci di collegarsi meglio con le esigenzxe del mondo del lavoro, sia le imprese, alle quali si imputa l’incapacità di usare pienamente ed efficacemente le competenze a loro disposizione e poco disposte a investire in tecnologie e pratiche di lavoro che migliorino la produttività.

L’Ocse spiega che tale dinamica è in parte spiegata dal modo in cui il lavoro viene progettato e concepito, e dal modo in cui le imprese sono gestite. In Italia, le imprese a gestione familiare rappresentano più dell’85 per cento del totale, e circa il 70 per cento dell’occupazione del paese. Ma è un circolo vizioso: anche “i manager delle imprese a gestione familiare spesso non hanno le competenze necessarie per adottare e gestire tecnologie nuove e complesse. Inoltre, il livello dei salari in Italia è spesso correlato all’età e all’esperienza del lavoratore piuttosto che alla performance individuale, caratteristica che disincentiva nei dipendenti un uso intensivo delle competenze sul posto di lavoro”.

Il rapporto riconosce infine che l’Italia si sta impegnando ad attuare riforme che invertano la tendenza. Il Jobs act viene definito “una pietra miliare del processo di riforma”, e vengono poi citate la Buona scuola, Industria 4.0, Garanzia Giovani e la legge Madia sulla P.a. In particolare della riforma dell’istruzione si evidenzia il piano per il digitale e l’Alternanza scuola lavoro.
Il report suggerisce infine che un contributo, per un’azione d’insieme, possa arrivare dalla Strategia nazionale della competenze dell’Italia, un progetto che il Governo italiano conduce in collaborazione con l’Ocse e il sostegno della Commissione Ue. In questo scenario l’organizzazione parigina “ha identificato 10 sfide” per promuovere le competenze, spingendo su una maggiore partecipazione di donne e giovani al lavoro, sulla formazione continua, sugli studi avanzati e sull’innovazione.

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