Paritarie private e costo standard, in attesa della “madre di tutte le battaglie”

di Vincenzo Pascuzzi – 5 ottobre 2017

Convention scuole cattoliche a Verona il 14.10.2017

Può essere utile cercare di fare il punto sulla situazione e le rivendicazioni delle “scuole paritarie private cattoliche”, che non sono pubbliche – come loro stesse cercano di accreditare per svista o astuzia – anche se svolgono un servizio pubblico.

Ciò in previsione del prossima convention nazionale delle scuole paritarie in programma sabato 14 ottobre a Verona, dove interverranno il presidente della Cei cardinale Gualtiero Bassetti, la ministra Valeria Fedeli e altre autorità.

Nell’incontro verrà discusso il documento, datato 6 giugno 2017, elaborato dal “Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica della Cei sul ruolo e sull’importanza della scuola cattolica e sulle possibilità di un suo finanziamento”.

Questo documento, che è titolato “Autonomia, parità e libertà di scelta educativa”, rivendica – in sintesi e in soldoni – il finanziamento totale da parte dello Stato delle scuole paritarie tramite il meccanismo della “quota capitaria” (altrove indicata come costo standard, buono scuola, voucher, anche cachet): il costo totale per lo Stato sarebbe di circa 6 miliardi secondo i calcoli (non verificati da altri) effettuati dall’Agesc nel 2007.

Di seguito l’intero paragrafo del documento Cei  che rivendica la quota capitaria:

«1. Quota capitaria per tutte le scuole del sistema nazionale di istruzione

La via maestra per assicurare un’effettiva autonomia delle istituzioni scolastiche e una reale parità scolastica passa dalla riorganizzazione del finanziamento dell’intero sistema nazionale di istruzione (scuole statali e paritarie) attraverso la definizione di una quota capitaria, ossia una determinata somma per ogni alunno frequentante la scuola.

Accompagnata da un sistema di convenzionamento per singolo istituto, la quota capitaria costituisce la misura principale per la definizione di un fondo di bilancio permanente da attribuire a ciascuna scuola del sistema nazionale di istruzione.

Presupposto di tale impostazione è la definizione del costo standard per allievo, cioè l’individuazione del costo ottimale per l’istruzione di ogni alunno. Il costo standard per allievo è soggetto ad una pluralità di variabili (grado scolastico, indirizzo della scuola, situazione di handicap, collocazione geografica della scuola, Pof, ecc.).»

Da notare che il documento Cei non parla più del grossissimo (e impossibile) risparmio di ben 17 miliardi (diciassette) che l’introduzione a tappeto anche nella scuole statali (queste sì) pubbliche avrebbe  arrecato al bilancio statale. Risparmio gridato a gran voce nel 2015 alla presentazione del volume (confezionato ad hoc) “Il diritto di apprendere”: vedere la copertina del settimanale Tempi.

La “madre di tutte le battaglie”

Dovrebbe riguardare la conquista della quota capitaria o costo standard. La troviamo preannunciata nell’articolo “vi spiego perché il costo standard non è una beneficenza” di Giuseppe Richiedei (23.9.2017). Articolo che ricopia – al 90% – il precedente “Lo studente al centro della scuola” di suor Anna Monia Alfieri (9.5.2017) dove troviamo specificato  che “Occorre intraprendere la madre di tutte le battaglie: dare ragione della centralità dell’allievo e della famiglia, sostenere il diritto costituzionale di scelta educativa, in una pluralità di offerta formativa pubblica, statale e paritaria”.

Incidentalmente, la “madre di tutte le battaglie” è dizione o neologismo coniato da Saddam Hussein in occasione della battaglia di Khafji (1991), ripreso da altri e anche da Matteo Renzi (2016) per la riforma costituzionale approvata in Parlamento e poi bocciata dal Referendum.

Tornando a noi, a parte l’obiettivo (quota capitaria) non si hanno informazioni pubbliche accessibili su questa promessa o minacciata “madre di tutte le battaglie”: contro chi viene condotta, su quale terreno, con quali mezzi, “quante divisioni” hanno le scuole paritarie, chi è l’ammiraglio, chi sono gli alleati, c’è una coalizione di virtuosi, ci saranno scontri frontali o scaramucce,… ?

Sembra ragionevole pensare che la convention del 14 ottobre prossimo possa essere l’inizio di questa madre delle battaglie e che il card. Gualtiero Bassetti possa essere il Grand’Ammiraglio, chissà? e la ministra Fedeli sarà nel campo avverso, o alleata, o neutrale come la Svizzera? Qualcosa vedremo e sapremo il 14 ottobre.

Il momento scelto sembra quello più opportuno, siamo già in campagna elettorale per le legislative 2018 e i politici sono sensibili e interessati, prodighi di promesse e impegni futuri in cambio di voti.

Il costo standard o quota capitaria

È ben nota la posizione delle scuole paritarie sul costo standard, ripetuta e ribadita più e più volte in documenti, giornali e periodici, in video, sui siti internet, su blog e Facebook, in incontri e convegni ripetuti e ricorrenti. Posizione che può essere ben riassunta nell’articolo “Costo standard, la rivoluzione sostenibile” (*) di suor Anna Monia Alfieri (8.9.2017), che ne è un po’ la convinta e tenace testimonial

Su questo articolo sono state fatte precise puntualizzazioni che qui vengono riunite e riportate di seguito all’attenzione di chi volesse considerarle, valutarle, precisarle, contraddirle, insomma di chi volesse sentire anche l’altra campana o le altre campane.

1 – “Senza oneri per lo Stato”

L’ipotizzata libertà di scelta educativa ovvero libertà di scegliere una scuola privata a SPESE dello Stato NON ESISTE nella Costituzione! La Costituzione recita: “E` dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio” (art. 30, c. 1, Cost.) e poi “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato” (art. 33, c.3, Cost.). Norme finora interpretate alla lettera e senza dubbi o esitazioni.

Anche la richiamata Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (10.12.1948), all’art. 26, c. 3 conferma, “i genitori hanno diritto di priorità nella scelta di istruzione da impartire ai loro figli”, ma nulla stabilisce (e come potrebbe?) in ordine all’aspetto economico. E poi è – appunto – una Dichiarazione non una legge.

Stessa cosa per UNESCO/1966 e Comunità Europea/1984. È chiaro e pragmatico che la scelta va effettuata nella realtà esistente, fra le opzioni fornite dallo Stato o consentite dalla condizione economica familiare. Altrimenti – è un paradosso – si potrebbero scegliere scuole e collegi esclusivi anche esteri (magari con maneggio, piscine, tre o quatto lingue straniere, scuola di danza, pianoforte, ….).

Altrove, a firma della stessa Anna Monia Alfieri, leggiamo: “Lo Stato non può riconoscere un diritto e non porre in essere le misure necessarie affinché tale diritto sia esercitato”. Ma lo fa, né si può in alcun modo ricorre al giudice per una legge omessa, che non c’è.

Per la scuola, lo Stato è sulla posizione di consentire l’istituzione di scuole private ma senza oneri a carico dello Stato stesso. Insomma la scuola statale non è obbligatoria solo per chi può permetterselo, cioè per le famiglie abbienti o benestanti.

La conferma si ha da recente articolo del Sole-24Ore ”Chi sono e dove vivono i ragazzi che non scelgono la scuola di Stato” (Riccardo Saporiti – 6 settembre 2017) , dove possiamo leggere: “Intanto, sono i rampolli di famiglie più ricche. A livello nazionale hanno un reddito medio di 25mila e 100 euro, contro i 15mila e 200 euro dei nuclei familiari dei ragazzi iscritti alle scuole statali”.

Insomma, la famiglie delle paritarie hanno mediamente un reddito superiore del 65% rispetto a quelle delle statali. Buon per loro.

2 – Sistema integrato e seconda gamba

Leggiamo nell’articolo: “scuole non statali …. riconosciute come luoghi di istruzione pubblici ….” e “scuola pubblica paritaria”. Non è preciso e bisogna esserlo per non indurre aspettative infondate: le private con certi requisiti diventano “scuole paritarie private” e viene loro riconosciuto di svolgere un “servizio pubblico”. Così il comma 3 dell’art. 1, l. 62/2000. Le scuole paritarie restano private per proprietà e gestione.

Intervistata da #ilpopolodelleSCUOLE, A.M. Alfieri risponde: «Debbo di nuovo chiarire con forza che “pubblico” e “statale” non sono sinonimi. Ciò che è “pubblico” (che svolge, cioè, un servizio rivolto a tutti i cittadini) non necessariamente è “statale”. Le scuole paritarie che assolvono i requisiti previsti dalla Legge 62/2000, sono scuole pubbliche. La scuola paritaria rappresenta la “seconda gamba” del Sistema Scolastico Nazionale Integrato; diversamente esso non si potrebbe definire tale, ma sarebbe un Sistema Scolastico Nazionale Statale, e dunque privo di libertà di scelta educativa».

Sono presenti altre due imprecisioni o interpretazioni …. scivolose. La seconda riguarda il “sistema nazionale di istruzione” (ex l. 62/2000) trasformato in “Sistema Scolastico Nazionale Integrato”, la terza è l’immagine gratuita della “seconda gamba”.

Sistema integrato e seconda gamba FORSE servono come appigli dialettici impropri (non legali, né logici) per rivendicare la parità economica completa.

3 – I fondi alle paritarie invece sono aumentati

Riguardo ai fondi alle paritarie, A.M. Alfieri scrive: “lo Stato ha stanziato nell’a.s. 2015/2016 49 miliardi e 418 milioni di euro per la scuola statale e 499 milioni per quella paritaria. Proprio per quest’ultima, però, sono via via diminuiti gli stanziamenti: sono passati da 530 milioni nell’anno scolastico 2006/2007 a 499 milioni nell’a.s. 2015/2016”.

In proposito due osservazioni. La prima è che la crisi economica è iniziata proprio nel 2007 e che l’anno dopo fu il neo-ministro Gelmini a tagliare brutalmente le risorse all’istruzione, compresi i fondi alle paritarie. L’Avvenire del 29.10.2008 titolava: “La scuola nella bufera. Mannaia sui fondi delle scuole paritarie / La Finanziaria taglia 133 milioni di euro”. Gelmini, che appartiene alla parte politica più sensibile alla scuole private, avrebbe potuto dare concretezza e completare la legge 62/2000, ma non lo fece.

Seconda osservazione: sorprende il fatto che i dati si fermino all’a.s. 2015/2016 e omettano gli esiti della successiva azione operosa del sottosegretario Toccafondi, come riporta, il 27 luglio scorso, questa stessa sezione [Educazione] del il sussidiario.net e l’intervista a tribunapoliticaweb.it del 29 luglio. Forse è una svista dell’autrice pur molto attenta ed informata.

Toccafondi ha invertito il declino dei fondi alle paritarie portandoli a 570 milioni, cui si aggiungono le detrazioni fiscali per le famiglie che da 400 euro passano a 717 nel 2017, a 786 nel 2018 e a 800 nel 2019.

4 – Boom e sboom di iscritti alle scuole paritarie

Leggiamo ancora nell’articolo: “Gli scarsi finanziamenti hanno provocato, un calo delle iscrizioni alle scuole paritarie, che sono passate dall’11,85% dell’a.s. 2010/2011 al 10,64% dell’anno 2015/2016.” Allarme eccessivo: il calo è solo dello 0,24% all’anno.

Un quinquennio è troppo breve per diagnosticare andamenti. Infatti il 16.12.2011, Salvo Intravaia titolava su Repubblica: “boom iscritti alle scuole paritarie” e precisava “In appena sei anni – dal 2004/2005 al 2010/2011 – gli iscritti nelle scuole elementari, medie e superiori delle paritarie sono cresciuti del 10%, nelle statali si registra una sostanziale stabilità”. L’articolo veniva ripreso il 7.1.2012 dal sito cattolico dell’UCCR.

Appare pretestuoso imputare lo sboom fisiologico di iscritti agli scarsi finanziamenti statali, sostanzialmente stabili nel quinquennio e pari a circa 500 mln. Il contributo statale (in deroga abusiva all’art. 33, c.3, Cost.) copre circa un decimo della retta annuale e non può costituire incentivo o discriminante per le famiglie: chi può pagare nove decimi, può pagare anche l’intera retta.

P.S. Oggi [11.9.2017] su tuttoscuola.com l’articolo allarmante: “Scuole paritarie, crisi inarrestabile: chiudono altri 415 istituti” (negli ultimi due anni). Troviamo conferma che le cause non sono gli scarsi finanziamenti ma: “Crisi economica e denatalità sono accompagnate anche da difficoltà di stabilizzazione del personale insegnante che, in parte, per effetto dell’attrazione del posto stabile e più remunerato passa alla scuola statale grazie alla vincita del concorso docenti o al canale delle Gae”.

5 – Ma noi – hélas – non siamo la Francia!

La Francia viene richiamata per tre motivi: 1) i contributi statali alle paritarie: “lo Stato paga gli insegnanti”, 2) la maggiore qualità: “l’Italia è agli ultimi posti nei test Ocse”, 3) il fatto che sarebbero le paritarie ad avvantaggiare le scuole francesi: “il 32% [in realtà è il 17% pari a 2 milioni] degli studenti frequenta scuole paritarie e nei test Ocse la Francia ci batte”. Implicita l’allusione che le paritarie italiane potrebbero migliorare i nostri punteggi Ocse.

Nulla da dire sul primo punto; da segnalare l’intervista a Silvio Guerra del 13.11.2014 “Paritarie, dalla laica Francia una lezione all’Italia”. Nulla da dire purtroppo anche sul secondo punto, se non che “la Francia spende 144,8 mld per l’istruzione” (Norberto Bottani, 2014).

Invece sul terzo punto, prendendo per buono l’apporto delle paritarie alla qualità della scuola francese, non è detto che le paritarie italiane siano in grado di fare lo stesso qui da noi.

Scriveva Salvo Intravaia il 10.12.2010: “Nella scuola pubblica si impara di più. L’Italia in basso per colpa delle private”, subito ribattevano, (difesa d’ufficio?) Luisa Ribolzi e Sergio Vittadini: “Le paritarie abbassano il livello? È solo un’idea (falsa) di Repubblica”. Ognuno valuti.

Oggi [12.9.2017] Roberto Pasolini lamenta che i docenti della paritarie preferiscono le statali: “Assunzioni in ruolo, così il Miur svuota le paritarie”, ciò a conferma del maggior pregio delle statali.

6 – Il costo standard e l’esca dei 17 mld di risparmio

Senza peli sulla lingua. L’esca invitante del risparmio di 17 mld fu lanciata al governo nel 2015 con l’idea del “costo standard”. Questo consiste nel costo medio per studente, calcolato con certi criteri e da applicare sia alle paritarie che alle statali.

Le paritarie potrebbero dribblare l’art. 33 Cost. e ricevere finanziamenti a livello Francia o quasi, mentre le statali verrebbero gravate di ulteriori molestie burocratiche, costrette a competere fra loro e soprattutto i loro alunni dovrebbero corrispondere un IMPROPONIBILE ticket annuale (circa 1.700 euro).

La “proposta scientifica” del costo standard venne esposta nel saggio “Il diritto di apprendere” (27.10.2015), anticipata dal settimanale Tempi: in copertina “Abbiamo trovato 17 miliardi”, inviata a Renzi con lettera aperta “Caro Matteo ti scrivo …” (18.12.2015).

Tuttoscuola però riferì le cautele del Ministro Giannini e la preferenza del sottosegretario Toccafondi per le detrazioni fiscali.

Nel saggio citato il ticket è riportato in veste defilata e anonima. I 17 mld, propagandati ed esaltati almeno fino al 7.5.2016 al liceo paritario Vida di Cremona e poi alla convention di Stefano Parisi (16.9.2016), sono ora ridotti a 2,8 mld. cifra pure incerta per le ipotesi di calcolo.

Per le statali e per il governo il gioco non vale la candela.

7 – Pochi soldi, molto caos

Questione notevole posta dall’autrice, ma in modo errato, a sostegno delle sue tesi, riguarda la spesa statale.

Non è vero che “la spesa dello Stato per l’istruzione è alla cieca ed è destinata esplodere”, né che “La scuola a costo zero non è già più possibile” e serve “Un piano serio per offrirla al costo giusto” quindi costo standard, ticket incluso (don Maurizio Ormas, 27.2.2016). Non è così.

Abbiamo visto che a fronte dei meno di 60 mld di euro dell’Italia, la Francia investe in istruzione: 144,8 mld (Norberto Bottani, 2014).

Inoltre Il Sole-24 Ore di due giorni fa [12.9.2017 titola “Italia agli ultimi posti per spesa in istruzione e stipendi degli insegnanti”, e scrive “In Italia la spesa per istruzione si è attestata al 4% del Pil [65,1 mld], un rapporto molto inferiore alla media Ocse del 5,2% [Francia 5,5%] e in calo del 7% rispetto al 2010: solo cinque altri paesi si collocano su livelli inferiori”.

Anche Money.it a fine agosto denunciava: “Spesa per istruzione: 26 Paesi fanno meglio dell’Italia. La vergognosa classifica”, secondo il rapporto Ocse “Education at a Glance 2017”.

A fronte dei pochi soldi abbiamo “il caos sollevato dalla Buona scuola e quarant’anni di precedenti riforme fallimentari” (Riccardo Paradisi, Tempi, 31.8.2017), e la ministra Fedeli che vuole la sua riforma (liceo breve, obbligo a 18 anni) a prescindere di “Come è ridotta la scuola” (Left, 9/15 settembre 2017). Facciamoci coraggio!

8 – Costo standard …. for dummies

L’articolo che stiamo commentando (*) si conclude con questa domanda: “Se in Italia è stato già applicato, per quanto in modo imperfetto, il sistema del costo standard per persona alla sanità, perché non si può introdurre anche con la scuola?”.

Domanda che appare chiaramente retorica, ovvia, quasi superflua. La risposta richiesta o auspicata dovrebbe perciò essere scontata, rapida, semplice e affermativa.

Ma forse, prima di rispondere e magari sbagliare o cadere in trappola, conviene riflettere e ragionare, inquadrare la questione, cercare di chiarire cos’è il costo standard, chi e perché vorrebbe applicarlo in ambito scolastico e con quali criteri, procedure, gradualità, controlli.

Va anche considerato lo scenario politico nel quale si opera. Siamo infatti in una fase politica in cui abbondano comportamenti e situazioni caratterizzati da …. annuncite, riformite, risparmite mentre poi i risultati veri risultano modesti, peggiorativi anche fallimentari: veri boomerang clamorosi e dolorosi. L’allusione alla Buona Scuola è palese, voluta, necessaria.

Perciò – pur come dummies o neofiti dell’argomento – formuliamo le seguenti osservazioni:

  • l’aspetto strategico e politico prevale sull’aspetto tecnico e organizzativo in quanto l’adozione del c.s. risulta finalizzata a consentire alle scuole private paritarie cattoliche di ottenere risorse economiche dallo Stato scavalcando d’emblée (di botto, a pie’ pari) gli ostacoli costituzionali e legali; d’altra parte è vero che quasi sicuramente l’adozione del c.s. verrebbe subito impugnata per palese anticostituzionalità;
  • il propagandato risparmio per lo Stato – addirittura fino a 17 mld di euro – conseguente all’adozione del c.s. non esiste, o meglio dovrebbe venire dall’introduzione di un …. “ticket scolastico” (pesante: circa 1.700 euro/anno a studente) nelle scuole statali! Follia proporlo o ipotizzarlo! E poi, che senso ha perseguire il risparmio nel Paese in coda alle classifiche internazionali per investimenti destinati all’istruzione (incluse le retribuzioni dei docenti, presidi, ata);
  • sicuramente il c.s., che è meccanismo (algoritmo) complesso e laborioso (per specialisti), verrebbe imposto a e graverebbe su 41.383 scuole pubbliche statali (con 8 mln di studenti) per venire incontro a 13.498 scuole paritarie private (con un solo mln di studenti) e a dispetto dell’art. 33, Cost;
  • riferiamoci a questa definizione essenziale: “Il costo standard è una tecnica che trova la sua massima applicazione nei comparti produttivi delle aziende che lavorano su prodotti di serie”; quindi tre elementi precisi: azienda produttiva, oggetti concreti, prodotti in serie, cioè uno di seguito all’altro, uguali in tutto o quasi; sui prodotti di serie – trattandosi di oggetti concreti (cose) –  si possono effettuare misure fisiche precise e rilevazioni di costi; situazione del tutto diversa da quella che esiste nelle scuole che danno un servizio immateriale, come è evidente, e si relazionano con persone (esseri umani con sentimenti, emozioni, individualità) in formazione e accrescimento;
  • risulta che il c.s. è stato adottato o è in via di adozione per l’assegnazione delle risorse alle Regioni, ai Comuni, alla Sanità, alle Università; in realtà si tratta di costi medi modificati con certi criteri, imbellettati e ri-nominati per nuovismo; forse esiste un volontà politica, una strategia per trattare come riferito a oggetti ciò che invece riguarda invece le persone (ridotte a cose?!);
  • la citazione riportata all’inizio osserva che il c.s. è stato applicato alla sanità ma in “modo imperfetto”: questo discende dal fatto: che ospedali, ambulatori, presidi diagnostici e altri non producono oggetti uguali o simili ma servizi individualizzati su persone tutte diverse; che accanto ad alcune misure fisiche (analisi, diagnostica per immagini) cioè di quantità, cominciano ad intervenire scelte e “misure” di qualità, che misure vere non sono; che viene meno o si riduce l’aspetto seriale a favore dell’aspetto individuale e singolo;
  • il c.s. applicato alle università è stato già bocciato a maggio dalla Corte Costituzione e poi ripescato (pare) a giugno con decreto legge;
  • l’aspetto decisivo è che l’istruzione, scolastica o universitaria, è essenzialmente una qualità, difficile se non impossibile da misurare in modo oggettivo (niente analisi cliniche, tipo sanità), la serialità si riduce o si annulla (le lezioni frontali o altre avvengono in parallelo); l’individualità prevale, scelte e valutazioni soggettive risultano determinanti ai fini del calcolo del c.s.; calcolo, anzi calcoli laboriosi e su valori diversi e variabili secondo le scelte effettuate, e che ricadrebbero sulle spalle delle segreterie amministrative assieme a ulteriori molestie burocratiche riservate ai presidi.
  • il c.s. somiglia alla dote scuola o buono scuola o voucher introdotto dalla Regione Lombardia, già bocciato dal Tar nel 2013 e due anni dopo anche dal CdS;
  • Uil Scuola ha ribadito la sua esplicita contrarietà al c.s.;
  • Gabriele Toccafondi pragmatico ha esplicitamente accantonato la ipotesi c.s. preferendo la via più semplice e graduale delle detrazioni fiscali a sostegno indiretto delle paritarie.

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(*) Costo standard, la rivoluzione sostenibile (e senza oneri per lo Stato)

Se in Italia è stato già applicato, per quanto in modo imperfetto, il sistema del costo standard per persona alla sanità, perché non si può introdurre anche con la scuola? 

di Anna Monia Alfieri – 8 settembre 2017 

La scuola italiana, dalle materne alle superiori, è frequentata in Italia da 8.826.893 studenti, 1.109.585 dei quali frequentano scuole non statali, cioè non gestite dallo Stato, ma che dallo Stato sono controllate e riconosciute come luoghi di istruzione pubblici in base alla legge 62 del 2000. Per garantire l’istruzione a tutti, lo Stato ha stanziato nell’anno scolastico 2015/2016 49 miliardi e 418 milioni di euro per la scuola statale e 499 milioni per quella paritaria. Proprio per quest’ultima, però, sono via via diminuiti gli stanziamenti: sono passati da 530 milioni nell’anno scolastico 2006/2007 a 499 milioni nell’anno scolastico 2015/2016. Significa che ogni studente delle scuole statali riceve in finanziamenti, dallo Stato centrale, 6.403,52 euro solo di spese correnti. La cifra aumenta di molto se si considerano i finanziamenti degli enti locali.

Nella Francia laica e secolarizzata, secondo i dati Ocse del 2014, la differenza tra la spesa per uno studente delle scuole paritarie e uno che frequenta le scuole statali è di soli 3.824 euro, mentre in Italia è di 6.769 euro (a vantaggio delle scuole statali). Gli scarsi finanziamenti hanno provocato, nel corso degli anni, un calo delle iscrizioni alle scuole paritarie, che sono passate dall’11,85% dell’anno scolastico 2010/2011 al 10,64% dell’anno 2015/2016. C’è però un dato che testimonia la fiducia riposta da molte famiglie nelle scuole pubbliche non statali: l’aumento degli studenti con bisogni particolari, come stranieri e disabili, con un corrispondente risparmio per le scuole pubbliche statali. I ragazzi disabili iscritti nelle pubbliche paritarie sono passati dagli 11.547 dell’anno scolastico 2010/2011 ai 12.211 dell’anno scolastico 2014/2015, mentre gli stranieri sono passati da 45.069 a 60.017. Come abbiamo visto, il 93,8% degli alunni frequenta scuole pubbliche statali. Ma queste come garantiscono la qualità? Non è chiaro, dal momento che l’Italia è agli ultimi posti nella gran parte dei punteggi delle edizioni 2015 dei test Ocse che servono per verificare le competenze degli studenti nell’ambito scientifico. Siamo quart’ultimi nella capacità di lettura, quint’ultimi in matematica. Tra i grandi Paesi europei, ci collochiamo davanti solo alla Spagna. Nella laicissima Francia, lo Stato paga gli insegnanti delle scuole paritarie e le rette sono bassissime: il 32% degli studenti frequenta scuole paritarie e nei test Ocse la Francia ci batte abbondantemente.

La soluzione? Un modo per sostenere economicamente l’educazione di tutti i ragazzi – sia di quelli che desiderano iscriversi nella scuola pubblica paritaria che di quelli che scelgono la scuola pubblica statale – e allo stesso tempo far risparmiare risorse allo Stato c’è e sta nella definizione del costo standard di sostenibilità per allievo, applicabile ugualmente a tutte le scuole pubbliche, paritarie e statali.

E’ chiaro a tutti che senza definizione di un costo standard di sostenibilità, la spesa dello Stato per l’istruzione è alla cieca ed è destinata ad esplodere. Con la definizione del costo standard, invece, immaginando ad esempio che in ogni classe ci siano 25 studenti, nella scuola materna ogni alunno costerebbe 4.570 euro (se in quella stessa classe ci fosse un alunno disabile, la cifra salirebbe a 5.360 euro). Applicando questi costi standard, ogni alunno di ogni scuola pubblica, statale e paritaria, costerebbe 5.441 euro, per un costo statale di 47,1 miliardi di euro (cioè ben 2,8 miliardi in meno di oggi).

È possibile, perciò, far risparmiare soldi allo Stato e garantire il diritto fondamentale all’istruzione senza discriminazioni economiche, restituendo alla famiglia la responsabilità educativa in una piena libertà di scelta. Ed è possibile grazie a un pluralismo educativo in cui lo Stato garantisca pari risorse a tutte le scuole, con l’obiettivo di innalzare la qualità dell’istruzione italiana, portandola allo stesso livello degli altri Paesi europei. Consideriamo, ad esempio, Paesi con grande tradizione in materia di Stato sociale, come quelli nordici: il sistema scolastico finlandese vede una stragrande maggioranza di istituti paritari (se non quasi la totalità) finanziati dallo Stato, a tutela delle esigenze educative del singolo bambino.

Ma come si concilia la proposta del costo standard con l’art. 33, comma 3 della Costituzione italiana, secondo cui “enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza oneri per lo Stato“? In realtà, la proposta non comporta alcun onere per lo Stato (che attualmente risparmia più di 6 miliardi di euro annui per merito delle scuole paritarie), ma mira a garantire il diritto alla libertà di scelta educativa, riconosciuto peraltro dall’art. 30 della Costituzione stessa: “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli”. L’iniziativa delle famiglie non costituirebbe affatto un onere, ma semmai un risparmio per lo Stato. Infatti, l’emendamento “senza oneri” riguarda l’istituzione di scuole, non il diritto della persona all’educazione né il diritto dei genitori di educare i figli (diritti che la Repubblica deve riconoscere e garantire): i suoi stessi proponenti, il socialista Codignola e il liberale Corbino, dissero in Costituente che andava interpretato nel senso di un blocco solo selettivo dei finanziamenti alle scuole non statali. Ma il blocco finì per essere totale.

L’equivoco sul “senza oneri”, dunque, protrae un’ingiustizia storica, rendendone più difficile la soluzione. Esso equivale a confondere il fine dell’educazione con i suoi mezzi, che sono le scuole. Dobbiamo evidenziarlo: troppi persistono in una visione filosofica per cui la persona e l’educazione sono funzionali allo Stato, che, attraverso le scuole, intenderebbe “rieducare gli italiani, troppo condizionati dalla Chiesa Cattolica”… e quindi inquadrarli in una scuola di regime.

Invece, soltanto rimuovendo l’apparente contraddizione tra l’art. 30 e il 33 si potrebbe dar luogo a una concorrenza virtuosa tra la scuola statale e quella degli “enti e privati” (tra cui i Comuni) che volessero provvedere a istituire scuole al di fuori dell’offerta statale. E si recupererebbe forse il significato originario dello stesso emendamento “senza oneri”, che era finalizzato a impedire il finanziamento automatico delle scuole a gestione non statale, non quello selettivo di quelle scuole che dimostrassero di meritarlo, come le “scuole dei Salesiani”, che risultano citate dai verbali dell’epoca a questo proposito.

Se in Italia è stato già applicato, per quanto in modo imperfetto, il sistema del costo standard per persona alla sanità, perché non si può introdurre anche con la scuola?

http://www.ilsussidiario.net/News/Educazione/2017/9/8/SCUOLA-Costo-standard-la-rivoluzione-sostenibile-e-senza-oneri-per-lo-stato-/781494/

 

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