Riforma Pensioni: lettera aperta al Governo contro Tito Boeri

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di Lucrezia Di Dio,  Orizzonte Scuola 15.4.2015

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Continuano le polemiche contro l’ipotesi di riforma delle pensioni proposta da Tito Boeri presidente dell’Inps.

L’ipotesi di riforma di Boeri prende in considerazione il ricalcolo delle vecchie pensioni liquidate secondo il meccanismo del calcolo retributivo con il solo metodo contributivo.

 In questo modo ai legittimi percettori verrebbe sottratto circa il 20% del proprio assegno previdenziale poiché questa è la differenza tra pensione retributiva reale e pensione contributiva teorica.

Anche se il nuovo calcolo dovrebbe riguardare soltanto le pensioni retributive superiori ad una certa somma, si andrebbero a toccare i diritti acquisiti dei percettori delle stesse.

Per questo motivo la Disconf e la Confedir ha inviato al Presidente Renzi al ministro del lavoro Giuliano Poletti e al presidente dell’Inps Tito Boeri una lettera aperta invitando tutti i futuri pensionati a fare altrettanto prima che il presidente dell’Inps adotti tutta una serie di provvedimenti che andrebbero contestati per essere annullati.

Alleghiamo di seguito a lettera aperta inviata.

“PREMESSA

Il  sottoscritto,  titolare di trattamento pensionistico – acquisito all’esito di una vita lavorativa e del versamento dei relativi contributi – allarmato da ricorrenti notizie sulla ventilata intenzione di ricalcolare riduttivamente e retroattivamente le pensioni già liquidate e consolidate, espone quanto segue.

I riferimenti della presente sono:

a) la recente intervista rilasciata dal presidente dell’INPS al Corriere della Sera in data 3 marzo 2015;

b) le ulteriori e continue notizie di stampa, dalle quali complessivamente si evince l’intenzione dell’INPS di proporre al Governo la decurtazione delle pensioni più elevate, già liquidate con il sistema retributivo o quello misto, mediante un loro ricalcolo retroattivo col sistema contributivo.

Va premesso che il sottoscritto è già stato penalizzato, ed è  tuttora penalizzato, dalle decurtazioni al trattamento pensionistico introdotte in leggi finanziarie, o recanti manovre di stabilità, dai Governi via via succedutisi negli ultimi anni.

In particolare, la penalizzazione è attualmente rappresentata dalla reintroduzione del contributo di solidarietà (art. l, comma 486, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 – Legge di stabilità 2014).

 Si tratta della pervicace riproposizione di analoga norma, già dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 116 del 2013.

Quest’ultima, invero, non ha mancato di configurare tali decurtazioni come “prelievi di natura tributaria” introdotti in violazione dei principi di uguaglianza e di capacità contributiva, in quanto incidenti sulle sole pensioni e non su tutti i redditi, realizzando così “un intervento impositivo irragionevole e discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini”.

 “I redditi derivanti dai trattamenti pensionistici — ricorda la Corte — non hanno, per questa loro origine, una natura diversa e minoris generis rispetto agli altri redditi presi a riferimento, ai fini dell’osservanza dell’articolo 53 Cost.”

Altra penalizzazione  costituita dalla modificazione in pejus del meccanismo rivalutativo di cui all’articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, ad opera dell’art. 1, comma 483, lett. e), introdotta dalla medesima Legge n. 147/2013. 

Il sottoscritto non mancherà di proporre ricorso giurisdizionale davanti alla Corte dei conti per l’accertamento del suo diritto a ricevere un trattamento pensionistico esente da tali decurtazioni, previa rimessione alla Corte costituzionale della questione di costituzionalità della norma citata.

La Corte dei conti – sezione giurisdizionale di Venezia – ha già rimesso la questione al giudice delle leggi, con recente ordinanza 16.2.2015, n. 12.

Altre sezioni giurisdizionali della Corte dei conti (Calabria, Lazio), su ricorsi analoghi, si sono pronunciate negli stessi termini, rimettendosi al giudizio della Corte costituzionale.

Si è dunque in attesa di un nuovo pronunciamento della Corte costituzionale che, coerentemente, non potrà che dichiarare incostituzionale la riproposizione di tali norme.

La Corte, infatti, ha già osservato che il maggior prelievo tributario sulla categoria dei pensionati, rispetto agli altri cittadini, avverrebbe relativamente ad un reddito che, in quanto consistente in una retribuzione differita, è ormai consolidato nel suo ammontare poiché “collegato a prestazioni lavorative rese da cittadini che hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta più  possibile neppure ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro”.

D’altra parte, pur se la nuova norma dispone che le somme derivanti dalle trattenute restano acquisite alla gestione previdenziale anziché al bilancio dello Stato, resta la fiscalità del prelievo stante la natura tributaria degli strumenti attuativi dell’art. 38 Cost. in quanto diretti all’attuazione di quei doveri di solidarietà che non possono prescindere dall’art. 53 Cost.

In questa situazione di pendenza di giudizi sulla legittimità costituzionale di norme recanti la reintroduzione di decurtazioni al trattamento pensionistico in essere, si starebbe ora studiando di introdurre ulteriori meccanismi decurtativi (non a carattere eccezionale e transitorio, come le norme pregiudizievoli sopra citate, ma addirittura permanenti), aventi effetto su una sola categoria di soggetti, con relativo vulnus alla certezza del diritto, per lesione dell’affidamento all’intangibilità del trattamento pensionistico legittimamente acquisito quale principio connaturato allo Stato di diritto. L’irragionevolezza e l’iniquità di una tale proposta, sotto il profilo della certezza giuridica e della stabilità dei rapporti nella prospettiva dei diritti acquisiti, sembrano dunque evidenti.

Invero, le sentenze della Corte Costituzionale n° 30/2004; n° 316/2010; n° 223/2012; n° 116/2013 costituiscono altrettanti “semafori rossi” accesi dai Giudici della Consulta nei confronti del legislatore, che ha ripetutamente violato – in tema di pensioni – i principi di adeguatezza, di rispetto dei diritti quesiti, di ragionevolezza, di proporzionalità etc. Ed è da notare come le pronunce anzidette riguardassero le questioni di “momentaneo” mancato adeguamento delle pensioni rispetto all’inflazione: questioni certamente meno gravi di una decurtazione permanente della pensione in godimento, qual è quella che ora sembra profilarsi.

Negli ultimi 9 anni (2008-2016) i pensionati italiani, con assegno oltre 5 volte il minimo INPS, hanno visto bloccati, in modo parziale o totale, i meccanismi di indicizzazione delle loro pensioni per ben 6 anni (66% dell’intero periodo), il che comporta una perdita cumulata e permanente del potere d’acquisto della pensione in godimento, per un valore del 15-20%, se si tiene conto anche del contributo di solidarietà. In altri termini, il principio solidaristico è già stato oltre misura applicato.

Non solo, ma la pendenza dei citati giudizi dinanzi alla Corte dei conti, sulle decurtazioni ai trattamenti pensionistici, renderebbe illegittima sotto il profilo della violazione all’art. 6 CEDU la ventilata modifica legislativa sul ricalcolo retroattivo delle pensioni.

Invero, la Corte europea dei diritti dell’uomo è già stata chiamata a valutare, in un caso analogo (sentenza “caso Maggio” del 31 maggio 2011), la compatibilità con l’art. 6 CEDU (diritto a un equo processo) di una legge italiana recante una normativa retroattiva di riequilibrio nel sistema pensionistico, eliminando i vantaggi goduti da persone che avevano lavorato in Svizzera e versato contributi inferiori.

Lo Stato, secondo la CEDU, non può interferire in modo arbitrario nella procedura giudiziaria introducendo norme retroattive che hanno l’effetto di modificare definitivamente l’esito del giudizio pendente nel quale lo Stato è parte, rendendo inutile per i ricorrenti la prosecuzione del giudizio. Né considerazioni finanziarie possono da sole influire sull’esito delle controversie, e nemmeno l’interesse generale dell’ordinamento può considerarsi “sufficientemente impellente da superare i pericoli inerenti all’utilizzo della legislazione retroattiva” avente come risultato quello di favorire lo Stato nei giudizi ancora pendenti in cui esso stesso è parte.

Ebbene, l’intenzione sottesa al ricalcolo delle pensioni più elevate sembra quella di applicare, a soggetti già titolari di un trattamento pensionistico, ormai consolidato, metodi di calcolo strumentalmente rivolti a ridurne ingiustamente l’importo, al fine di risanare il bilancio dell’INPS e garantire la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico.

 Invero, secondo le prime anticipazioni, il ricalcolo delle pensioni, oltre una certa soglia, verrebbe attuato con il sistema contributivo ed utilizzando il cd. “forfettone” (così si designa, sinteticamente, il metodo forfettario di calcolo, introdotto dal decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 180, recante la normativa attuativa dell’opzione per la liquidazione del trattamento pensionistico esclusivamente con le regole del sistema contributivo), nell’evidente difficoltà, per l’INPS, di conoscere precisamente il montante contributivo maturato durante l’intera vita lavorativa di ciascun pensionato. In particolare, i tassi di rendimento che concorrono a determinare il montante contributivo (costituito dai contributi versati e dai relativi interessi, via via maturati) sarebbero calcolati anch’essi in modo parziale ed in via forfettaria.

E’ evidente che un tale ricalcolo – a prescindere da ogni altra considerazione, già sopra enunciata, circa la lesione dei principi di tutela dell’affidamento e di certezza del diritto che verrebbe recata andando ad incidere su posizioni previdenziali maturate e consolidate, configurabili come retribuzione differita – si rivelerebbe, in ogni caso, estremamente iniquo e contrastante con il principio di trasparenza dell’azione amministrativa. Esso, infatti, si realizzerebbe sulla base di un’indifferenziata ed irrealistica piattaforma contributiva per tutti (il “forfettone”, appunto), mentre il principio di eguaglianza postula, invece, che situazioni eguali ricevano trattamenti eguali e situazioni diverse meritino trattamenti diversificati. E ciò in contrasto con quanto affermato dalla Corte costituzionale, circa il rispetto del principio generale di ragionevolezza, nonché in contrasto col divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento.

Tale ventilata intenzione, se tradotta in norma di legge con effetti retroattivi sui trattamenti pensionistici di coloro cui le pensioni sono già state liquidate e che hanno maturato un legittimo affidamento al riguardo, comporterebbe, oltretutto, la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione EDU sul diritto di proprietà. Invero, la Corte di Strasburgo ha ripetutamente affermato che il diritto alla pensione è da ricondurre al diritto di proprietà ed, in tal modo, i pensionati diverrebbero “vittime” di una patente violazione della CEDU.

Si tratterebbe, infatti, di un vero e proprio prelievo forzoso di somme facenti parte del trattamento pensionistico già liquidato.

Deve inoltre considerarsi che la Corte costituzionale (es.: C. Cost. n. 78\2012), ha in più occasioni chiarito i limiti che il legislatore incontra nell’emanare norme retroattive, individuandolo, in generale, nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, e non è questo il caso.

L’ipotesi avanzata stride, dunque, sia sul piano del diritto europeo sia su quello della legittimità costituzionale. Verrebbero, infatti, calpestate non solo “generiche aspettative previdenziali” ma proprio i diritti acquisiti e consolidati dei pensionati, con la violazione di una serie di principi costituzionali sanciti dagli artt.3, 36, 38, 53 e 97 della nostra Costituzione.

Ora, una categoria come quella dei pensionati fa affidamento su un trattamento certo, l’adeguatezza e la proporzionalità del quale si correlano al rispetto del regime di contribuzione e del corrispondente calcolo del trattamento pensionistico, in vigore al momento in cui cessa la vita lavorativa. Di ciò il legislatore ha tenuto conto nel delineare i meccanismi di calcolo delle pensioni, tendenti ad indurre negli interessati serenità per gli anni a venire, in quanto i pensionati hanno il legittimo affidamento – indotto dai principi di certezza del diritto – di poter conservare un certo tenore di vita basato, appunto, sull’intangibilità del trattamento pensionistico maturato.

Il sottoscritto è  consapevole del difficile momento che stanno attraversando la finanza e l’economia italiana, in un quadro di difficoltà e recessione che ha colpito l’intera Europa e non disconosce la valenza del principio solidaristico. Ma esso dovrebbe essere in ogni caso equamente coordinato con i citati principi di certezza del diritto, eguaglianza, parità di trattamento e capacità contributiva, nonché di trasparenza e affidamento. Ove ciò non sia ed il recupero di sostenibilità del sistema previdenziale continuasse ad avvitarsi intorno a percorsi demagogicamente agevoli, come quello di colpire indiscriminatamente i pensionati, degradati sostanzialmente al rango di “parassiti”, dalla gravissima crisi del Paese, non si uscirà di certo dalla crisi, ma si compirà, invece e sicuramente, una grave ingiustizia che, tuttavia,  non si può   subire.

Il sottoscritto è, inoltre consapevole  del fatto che nel bilancio dell’INPS la spesa pensionistica “pura”  (senza dimenticare le imposte pagate dai pensionati) si accomuna impropriamente alla spesa assistenziale e che la separazione tra le due partite di bilancio non è mai stata effettivamente, completamente e trasparentemente attuata, nemmeno dopo la legge n. 88/1989. Il che non è irrilevante nella valutazione delle misure che si vorrebbero attuare per mantenere la sostenibilità del sistema previdenziale. Invero, se le coperture contributive del sistema previdenziale vanno a mescolarsi con il sistema assistenziale, la sostenibilità di quest’ultimo non potrà che essere affidata alla fiscalità generale e non alla “solidarietà” imposta retroattivamente su pensioni già liquidate. 

Tutto ciò premesso, il  sottoscritto

INVITA

le SS.LL. nella veste, rispettivamente, di Presidente del Consiglio dei Ministri, di Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e di Presidente pro tempore dell’INPS, a valutare, nei termini sopra esposti, la compatibilità costituzionale di eventuali iniziative legislative volte a ricalcolare le pensioni già maturate e consolidate.

Con riserva di agire nelle competenti sedi giudiziarie, porge distinti saluti.”

Lettera aperta al Governo

Riforma Pensioni: lettera aperta al Governo contro Tito Boeri ultima modifica: 2015-04-16T06:25:13+02:00 da
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