Scuola, più stranieri che italiani in ottocento classi in Veneto

di Alice D’Este, Il Corriere del Veneto, 14.3.2017

– Difficoltà didattiche, si allarga il fronte di quanti chiedono nuove regole. La Regione: tavolo con gli enti locali.

VENEZIA Ci sono 812 classi del Veneto in cui il numero degli studenti stranieri è più alto di quello degli italiani. La percentuale supera il 50% arrivando a picchi limite dell’80% nei casi più complessi. La situazione difficile della Cesare Battisti di Mestre, raccontata qualche mese fa dalla preside non è dunque isolata. Secondo i conti dell’ufficio scolastico regionale del Veneto a fare compagnia alle elementari mestrine ci sono altre 811 sezioni: 246 sono della scuola dell’infanzia, 397 alle elementari, 91 alle medie e 78 alle superiori. Certo, si tratta del 3% del totale (le sezioni sono 25.543 in tutto) e nella maggior parte dei casi la media degli stranieri si aggira tra il 15% e il 30%, ma non si possono certo più definire «casi isolati». Alla Cesare Battisti i numeri in gennaio avevano fatto sobbalzare sulla sedia la dirigente. Nella scuola il caso estremo era una classe con 24 bambini stranieri e un solo bambino italiano ma le percentuali di bambini stranieri in tutte le sezioni non scendevano quasi mai sotto il 70-80%. Tant’è che Rachele Scandella, preside dell’istituto aveva deciso di istituire per le iscrizioni il tetto agli alunni stranieri: non avrebbe dovuto superare il 40%.

Alla Cesare Battisti (dove il limite alla fine non è stato applicato visto il limitato numero di iscrizioni e la poca selezione da fare) e in tutte le altre 811 classi venete il problema è la gestibilità. Degli studenti ma soprattutto della didattica. Che di fronte a difficoltà di questo tipo rischia di trovare difficoltà anche sul fronte dell’integrazione. L’esempio chiave è quello di Kamrul Syed referente della comunità bangalese di Mestre che alla fine ha deciso di iscrivere i figli in una scuola privata «lasciando» la Giulio Cesare. «Io sono un immigrato come loro, è ovvio – dice- ma una classe con l’80% di bambini appena arrivati in Italia che non parlano una parola di italiano non progredisce. La scuola si riempie, è ovvio, non c’è altra scelta e abitiamo quasi tutti nella zona. Se vogliamo l’integrazione allora vanno seguite strade diverse. I bambini a scuola devono imparare». E alla riflessione invita anche Elena Donazzan, assessore regionale all’istruzione: «Concentrazioni di questo tipo sono un problema – dice – già nel 2010 parlavo del tetto al 30% come necessario, quando era ancora una questione da trattare con le pinze. Oggi anche gli insegnanti che erano scettici si sono convinti che qualcosa va fatto e che bisogna coinvolgere i Comuni. Non basteranno più i contributi per i lavori di integrazione, si dovranno pensare a trasporti specifici per spostare gli studenti permettendo anche a chi vive in un quartiere di avvicinarsi ad una scuola più lontana. Scuole così diventano dei ghetti, non possiamo permettercelo. Chiedo che l’argomento venga messo all’ordine del giorno della conferenza degli enti locali ».

La circolare ministeriale che dà la possibilità di limitare le iscrizioni degli studenti stranieri esiste dal 2010 e fissa il tetto al 30%. Ma nessuno finora nelle scuole l’ha realmente messa nero su bianco come condizione per la formazione delle nuove classi. «La concentrazione di alunni in alcune scuole e classi non è più un indice di difficoltà come in passato – dice intanto Daniela Beltrame direttore dell’ufficio scolastico regionale – perché si tratta di alunni per la maggior parte nati in italia che hanno appreso la lingua già dalla scuola dell’infanzia. Le metodologie di inclusione degli insegnanti del Veneto si sono ormai consolidate e puntano sulla facilitazione linguistica e sulle attività laboratoriali». Certo, ma forse non bastano. «La distinzione tra nati in Italia e non è doverosa – dice anche Marta Viotto, della Cgil del Veneto – molti bambini stranieri per i costi delle rette non hanno frequentato la scuola materna e arrivano alle elementari conoscendo poche parole di italiano. Una soluzione? Investimenti economici per l’inclusione e una partecipazione più attiva del territorio ai progetti».

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