Si allarga anche nella scuola la forbice retributiva

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di Gabriele Boselli, Educazione & Scuola, 24.10.2017

– Da notizie di stampa si apprende che i presidi riceveranno un aumento di 400 euro netti al mese mentre gli insegnanti dovranno accontentarsi di soli 85 lordi (in pratica meno di una cinquantina), sempre che non vengano tolti dalla cifra gli 80 già elargiti da Renzi in occasione delle passate elezioni.

Questo comporta un forte allargamento della forbice retributiva che porterà i presidi a superare i 3000 netti mensili (con le varie indennità per dimensione degli istituti, reggenze etc. spesso ben oltre) e manterrà i docenti abbondantemente  sotto i 2000.

Il fenomeno dell’allargamento della forbice retributiva si verifica non solo nella scuola ma in ogni settore del lavoro pubblico e privato e viene ovunque perseguito per dominare i dipendenti separandoli in categorie fortemente differenziate per retribuzione come per status. Per quest’ultimo aspetto attraverso tecniche di valutazione con effetti economici e d’immagine: attualmente nella scuola i docenti sono valutati monocraticamente a discrezione del loro dirigente, mentre i loro “superiori” (di solito non per cultura) lo saranno, solo in futuro per gli aspetti retributivi, a opera di una commissione composta principalmente da colleghi dirigenti in altri istituti.

Si afferma dunque un approccio pseudo-efficientista e gerarchico in cui prevale un manager magari incolto ma dichiarato “responsabile dei risultati”, ben pagato e senza tanti lacci e lacciuoli.

Effetti sistemici della povertà di cultura delle nuove èlites

Il crescente differenziale economico tra le varie categorie non è un caso ma un effetto della povertà di cultura delle èlites del potere. Quel che manca in alto loco e nei documenti ufficiali è l’assenza di una visione complessiva, filosofica e, in senso alto, politica. Sono in genere carte (oggi files) aliene dallo state of the art della ricerca, da una cultura ormai divenuta pluriassiale e complessificata dalla globalizzazione. Dal MIUR, segnali di contatti culturali significativi con il Novum non sono pervenuti da molti anni e quelli con il classico si vanno dissolvendo. Penso, oltre che all’incremento del differenziale retributivo, alla programmazione per competenze che ove fosse perseguita inibirebbe la capacità di conoscere, alla valutazione di docenti e dirigenti, alla normativa dell’alternanza scuola-lavoro (né scuola, né lavoro). Per fortuna la realtà delle scuole è poi assai migliore di quella delle circolari.

Il basso profilo dei gruppetti che egemonizzano il MIUR e la miopia del MEF hanno fatto sì che troppo spesso siano entrati in ruolo (tanto docenti che dirigenti) per diritto di stagionatura in graduatorie o per grazia di commissioni dei concorsi dirigenziali che hanno promosso (vedi Campania, Sicilia….) percentuali di concorrenti vicine alla totalità. A volte anche per assurde sentenze di magistrati resi irresponsabili dal non dovere, al contrario di ogni altro pubblico funzionario, rispondere delle conseguenze anche economiche dei propri atti.

Quel poco di formazione in servizio iniziale che si è fatto è stata incentrata non su tematiche culturali e pedagogiche ma su questioni giuridiche e organizzative; questioni da trattarsi, certo, ma non le più importanti per chi dovrebbe illuminare e guidare docenti.

Valutare e retribuire come modo di riconoscere/disconoscere dignità

Vi è dignità quando vi è credito naturalmente concesso, riconoscimento di autonomia, fiducia. La dignità è messa in forse dalla diffidenza, dalla richiesta di prove del tutto incongrue o fasulle a sostegno del valore di un’organizzazione o di una persona. La diffidenza peraltro non migliora le prestazioni, induce ansia e la tentazione di abbandonare le azioni che valgono per perseguire solo i risultati che contano, quelli che sono registrati dal sistema di valutazione e premiati dalla retribuzione. Si individua ciò che conta ma nessuna tabella di dati può far individuare quello che vale nelle scuole: cultura, creatività, amore per l’altro. I processi valutativi e i differenziali retributivi determinano rivalità, frizioni tra omologhi, conflitti che assorbono buona parte delle energie, servilismo.

Il buon insegnante o dirigente ha come interlocutori abituali i classici della letteratura, della pedagogia, della filosofia, delle scienze che insegna; il valutatore a volte no. Il buon insegnante o dirigente detiene un prestigio culturale che lo mette in grado di rappresentare un fattore di orientamento per il suo istituto e di concorrere insieme ai dirigenti amministrativi e agli ispettori, a introdurre elementi di qualificazione culturale e scientifica.
 Se i suoi studi e le sue esperienze –non le sue competenze nella compilazione di schede- glielo avranno consentito.

Conclusione

Retribuire è sempre di più –nella scuola come altrove- un modo per premiare o castigare chi è o non è in linea con le direttive del Potere. Quest’ultimo, in una società post-democratica, ha come fine prevalente non l’esercizio della ragione ma la facoltà di violarla e l’autoperpetuazione di persona e/o di ceto sociale.

I più bravi tra i dirigenti con il nuovo assetto retributivo e il nuovo sistema valutativo rischiano: di fatto non più dirigenti (dirige chi ha autonoma intelligenza del fine e individua gli obiettivi) ma collaboratori amministrativi di un Sistema che li paga piuttosto bene perché diventino obbedienti. Per gli insegnanti che continuassero a nutrire idee maturate in un personale confronto con la cultura e la scienza è stato ampliato il differenziale economico e introdotto il deterrente del bonus, strumento di controllo di quella libertà di insegnamento finora protetta da un apparato costituzionale provvisoriamente salvato.

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Si allarga anche nella scuola la forbice retributiva ultima modifica: 2017-10-28T06:50:50+02:00 da
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