“Sogno una scuola che formi giovani cittadini, non piccoli lavoratori”

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di Gloria Ghioni, Il Libraio, 28.3.2018

– Isabella Pedicini racconta con ironia i prof precari –

Il precariato scolastico è un vero e proprio mondo, con regole (spesso caotiche o cambiate all’ultimo minuto), ostacoli (qualche volta sembrano insormontabili, ma i più determinati resistono), burocrazia (tanta e a tratti incomprensibile), ma anche scoperte positive (l’eterno ripetersi della magia che avviene in classe, giorno dopo giorno). ilLibraio.it ne ha parlato con Isabella Pedicini, in libreria con “Vita ardimentosa di una prof” – L’intervista, in cui l’autrice spiega, tra le altre cose: “Cambierei l’idea che negli ultimi decenni la scuola superiore ha avuto di sé, una concezione finalizzata a formare piccoli lavoratori invece che giovani cittadini. In altre parole, sostituirei la didattica per competenze con quella per conoscenze e…”

Il precariato scolastico è un vero e proprio mondo, con regole (spesso caotiche o cambiate all’ultimo minuto), ostacoli (qualche volta sembrano insormontabili, ma i più determinati resistono), burocrazia (tanta e a tratti incomprensibile), ma anche scoperte positive (l’eterno ripetersi della magia che avviene in classe, giorno dopo giorno). Nel libro Vita ardimentosa di una prof(Laterza, collana Contromano) Isabella Pedicini, insegnante di Storia dell’Arte negli istituti superiori, racconta la sua avventura da docente precaria, con ironia e sguardo critico sul percorso difficilissimo che è richiesto a chi vuole diventare insegnante. Vista l’estrema attualità del tema, ilLibraio.it l’ha intervistato.

“Ma perché ho scelto la via impervia della scuola?”, in molti se lo chiedono. Quale risposta si è data in questi anni di percorso tutt’altro che lineare?
“Per gli alunni. Perché dopo la prima ora di lezione non è più possibile tornare indietro. E perché insegnare corrisponde a continuare a studiare, a leggere, a informarsi, a mettersi in gioco nel confronto quotidiano coi ragazzi; è svolgere un lavoro utile alla collettività”.

“Le scuole. Così diverse per ordine e grado eppure così uguali, restano luoghi sedimentati silenziosamente nella nostra psiche, eterni, indistruttibili e, senza mutamenti di forma o di mobilio, irrimediabilmente ansiogeni” (p. 6). Se improvvisamente avesse la possibilità di restaurare o rifare da zero un edificio scolastico, cosa cambierebbe innanzitutto, anche tenendo conto delle richieste dei suoi colleghi e dei ragazzi?
“In Italia, l’emergenza legata agli edifici scolastici riguarda principalmente la messa in sicurezza delle strutture secondo le norme antisismiche e, dunque, se potessi intervenire nell’edilizia delle scuole, farei in modo da scongiurare il rischio che i tetti possano crollare in testa agli alunni e ai professori. Per il resto, l’aspetto immutabile e un po’ retrò delle scuole a me piace: le rende poetiche, piene di suggestioni e di ricordi, immediatamente riconoscibili e, in un certo senso, le preserva dalle mode e dai cambiamenti vertiginosi della società”.

L’insegnamento della Storia dell’Arte è stato ridotto in molte scuole. Perché, invece, dovremmo reintegrarlo?
“L’insegnamento della Storia dell’Arte non solo permette di comprendere le civiltà del mondo e le epoche passate attraverso una prospettiva di tipo artistica, ma fornisce anche gli strumenti contro un analfabetismo di tipo visivo”.

Ce ne può parlare?
“In una società come la nostra, dominata dal consumo massiccio e dalla sovrapproduzione delle immagini, è importante sapersi orientare nel linguaggio iconografico contemporaneo ed esercitare il senso critico e il libero giudizio attraverso lo studio delle opere d’arte. Inoltre, è deprimente che in un paese come l’Italia la conoscenza del patrimonio storico-artistico sia considerata secondaria: la comprensione del valore delle tracce artistiche dei nostri predecessori sviluppa, tra le tante abilità, anche il nostro senso civico. Infine, credo sia importante educare le generazioni future alla bellezza poiché, per dirla con Salvatore Settis, la storia dell’arte aiuta a vivere”.

Nel suo libro il cammino di un prof precario appare in tutto il suo essere “ardimentoso”. Cosa consiglierebbe a un giovane che vuole insegnare?
“A un aspirante docente consiglio di non gettare la spugna, di armarsi di pazienza e di coraggio, e di procedere nel percorso a ostacoli (nonché di andare in analisi o di trovare un buon maestro di yoga)”.

Nel suo libro non manca l’ironia nel raccontare le traversie del precariato, eppure la vena polemica non manca. Forse l’ironia è l’unico antidoto per non cedere al disfattismo?
“Sicuramente sì, anche perché il disfattismo non mi appartiene. Inoltre, raccontare la scuola italiana dal punto di vista di una prof precaria non è un compito semplicissimo poiché i docenti come me hanno molti motivi per abbandonarsi al lamento o all’invettiva, tuttavia ho provato a non cadere nei cliché e a non

Dunque, a quale lettore pensava durante la scrittura?
“Ho voluto far entrare nelle aule anche il lettore completamente alieno all’universo scolastico puntando sull’aspetto surreale, paradossale, e a tratti comico del contesto in cui si aggirano i docenti. E sulla magia della vita in classe. L’ironia è, dunque, il registro, con cui ho raccontato le disavventure burocratiche non senza denunciare, però, le situazioni che a mio avviso nuocciono agli studenti e ai docenti”.

Il 2018 è l’anno di ben tre concorsi: uno per docenti abilitati, uno per i non abilitati e l’altro per i non abilitati con almeno tre anni di insegnamento alle spalle. Poi, però, non arriverà il ruolo, ma il percorso, più o meno lungo, del FIT (Formazione iniziale e tirocinio). Cosa ne pensa di questa soluzione?
“Penso sia giustissimo che la selezione dei docenti, di qualsiasi ordine e grado, sia dura poiché gli insegnanti svolgono un ruolo di grande responsabilità sociale e civile che non può essere ricoperto con superficialità e faciloneria, ma allo stesso tempo credo che questa selezione non debba essere kafkiana.
Personalmente, seppure in pochi anni, ho sperimentato sulla mia pelle molteplici cambi di governi, di ministri dell’istruzione e di riforme scolastiche per cui, dopo aver superato due concorsi (TFA e concorso a cattedra 2016), oggi mi tocca affrontarne un terzo per accedere al famigerato ruolo. Il FIT, invece, mi sembra un percorso più lineare o comunque meno grottesco rispetto a quello che è toccato a me e che, ad ogni modo, mi ha regalato molto materiale per questo libro”.

Se potesse essere Ministro dell’Istruzione per un giorno, cosa cambierebbe del presente scolastico, in ordine di priorità?
“Cambierei l’idea che negli ultimi decenni la scuola superiore ha avuto di sé, una concezione finalizzata a formare piccoli lavoratori invece che giovani cittadini. In altre parole, sostituirei la didattica per competenze con quella per conoscenze e metterei l’accento sul piacere dell’apprendimento, della scoperta, dell’approfondimento senza fini necessariamente utilitaristici. Anteporrei il tempo dello studio a quello del lavoro per una crescita culturale e umana degli allievi. D’altra parte, l’istruzione è un potente strumento di emancipazione personale e il saper leggere, scrivere e far di conto ha lo scopo di far orientare i ragazzi nel mondo, di far loro discernere il vero dal falso, ma soprattutto di sviluppare un pensiero critico, un’opinione personale e di saperla argomentare. Altrimenti, a cosa serve in ultima istanza la scuola?”

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