Sono il padre dell’algoritmo, ma si tratta di fecondazione eterologa

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di Paolo Fasce*,  Pavone Risorse  12.9.2015.  

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In questi giorni impazzano ancora le polemiche a proposito delle allocazioni delle risorse umane sul territorio italiano che, tenendo conto delle scelte di ciascuno (condensate in una “lista di preferenze”), del merito (condensato nel punteggio in graduatoria) e dei posti disponibili nelle 101 province italiane, ha distribuito gli insegnanti sul territorio nazionale.
Come è avvenuto tutto questo? Tramite un “algoritmo di allocazione” la cui paternità rivendico. Negli anni della Gelmini, allorquando lo scrivente era insegnante precario della scuola pubblica statale italiana, studiai il problema da un punto di vista scientifico e trovai gli strumenti per affrontarlo nel ramo della matematica istituito da John Nash, noto in letteratura come “Teoria dei Giochi”. Condensai quindi la mia idea nella “Proposta scientifica per un veloce assorbimento delle graduatorie ad esaurimento”, cavallo di battaglia del Comitato Precari Liguri della Scuola.
Fareste costruire un palazzo ad uno psicologo? Dareste una coppia con problemi relazionali in pasto ad un ingegnere civile? E allora perché non risolvere il problema del precariato con la matematica? Anche se non è evidente, come nei primi due casi, è lo strumento scientificamente corretto.
Il modello proposto nasce da una variante del cosiddetto “algoritmo del matrimonio”, utilizzato negli Stati Uniti per associare studenti a facoltà universitarie nel quale vengono gestite sia le preferenze degli studenti (che scelgono per prime le università prestigiose), che quelle delle università (che cercano di attrarre studenti capaci). Varianti dell’algoritmo sono utilizzate sia negli Stati Uniti che in Europa per assegnare organi ai trapiantandi secondo criteri di ottimizzazione che, nei due continenti, sono diversi e, di conseguenza, producono risultati di allocazione diversi.
In sintesi, la scelta di utilizzare un algoritmo di allocazione delle risorse significa prendere atto del fatto che ci sono scoperte scientifiche (anche consolidate) che permettono di risolvere problemi pratici piuttosto evidenti (nel nostro caso: il precariato). L’implementazione dello stesso deve tuttavia soddisfare vincoli giuridici, che sono dati, ma anche “politici” perché non tutto può essere consolidato in una norma. Qualunque programmatore che riceva le istruzioni per costruire un software sa che non sempre il committente è chiaro nell’esplicitare i vincoli del problema e, di conseguenza, ci mette del suo. Potremmo dire che, così facendo, fa “scelte politiche”. Qualcuno è in grado di affermare che la nostra legislazione sia chiara e univoca?
Quando ero precario, come dicevo, studiai il problema e mi accorsi che le cause del precariato erano attribuibili a due cause. C’è una parte di precariato che, in un sistema di classi di concorso e orari determinati, potremmo definire come fisiologica e una parte che, in un quadro di differenziazione di organico di diritto e di organico di fatto, potremmo chiamare patologica.
La legge 107, bisogna riconoscerlo, affronta entrambi questi aspetti e l’algoritmo utilizzato nella “fase B”, assieme alle fasi precedenti, ha avuto il compito di affrontare, sostanzialmente, quello fisiologico. La cosiddetta “fase C” affronterà quello patologico.
Il precariato fisiologico nasce dal fatto che ogni scuola ha un certo numero di classi e, di conseguenza, un certo numero di ore di insegnamento che vanno suddivise per ciascuna classe di concorso. Nella scuola primaria, e in quella dell’infanzia, il precariato fisiologico non è altro che il resto della divisione del numero di ore di una scuola per 22, cioè l’orario di cattedra di un insegnante della scuola primaria. Si tratta di un numero che va da 0 a 22, e il sistema ha risolto questo problema chiamando questa cattedra “spezzone” e chiamando un supplente annuale. Nella scuola secondaria questo meccanismo va replicato per ciascuna materia. Ci sarà quindi uno spezzone di lettere, uno di matematica e scienze, uno di tecnologie e così via. Nella scuola secondaria, se questo spezzone è inferiore o uguale a sei ore, può essere assegnato agli insegnanti di quella materia in quella scuola, se è superiore non può essere spezzato e si deve assegnarlo ad un supplente. Tali spezzoni, a volte, vengono accorpati per la costituzione delle cosiddete “cattedre ad orario esterno” (per gli iniziati COE) che contribuiscono a limitare, teoricamente, il precariato.
La costituzione di COE in maniera massiva e le risorse che verranno assegnate per l’organico potenziato, contribuiranno a limitare il precariato fisiologico.
Da un punto di vista sistemico, gli spezzoni inferiori alle sei ore che restano nelle scuole dell’autonomia, arricchiscono (stipendialmente e sul piano dell’efficienza del servizio all’utenza) le scuole stesse, mentre l’attribuzione ad esterni, aumenta il bacino del precariato saltuario. Sarebbe interessante aprire un capitolo sulle diverse parrocchie di precari giacché ce ne sono di diverse, e con diversi diritti. Ma lo farò in un’altra occasione.
Il precariato patologico è quello determinato dalla differenza tra organico di diritto e organico di fatto. L’esempio eclatante degli ultimi due decenni è stato il caso del sostegno. Oggi abbiamo 90.000 cattedre stabilizzate su un fabbisogno di 110.000, ma in passato l’organico di diritto era di 30-40-50 mila cattedre ed era assolutamente evidente la discrepanza tra un numerino ministeriale, quello dell’organico di diritto, e quello del mondo reale che determina ogni anno l’organico di fatto.
Pensate a replicare questo caso su ciascuna classe di concorso, ed ecco che viene fuori quel numero superiore a 100mila che è il minimo dei contratti a tempo determinato di durata annuale della serie storica. Centoventimila persone sono un evidente caso di precariato patologico.
Viene da chiedersi per quale motivo ci sia sempre stato un divario inaccettabile tra il numero (registrato al MEF) dell’organico di diritto (ripeto: per ciascuna materia, per ciascuna classe di concorso, per ciascuna provincia…) e qualche risposta me la sono data. La prima, di cui non so valutarne il peso, ha a che fare con le rendicontazioni formali che il MEF deve fare nei confronti dell’Unione Europea. Lascio la parola a LaVoce.info se vorrà approfondire il tema. La seconda è legata ad un’esigenza, di tipo egoistico, di mobilità interna degli insegnanti di ruolo che, tra i bonus non economici, possono godere di spostamenti annuali legati alle esigenze più disparate. Le cosiddette “assegnazioni provvisorie”, all’interno della provincia o interprovinciali, e gli “utilizzi” (ad esempio sul sostegno o su altra materia), sono un benefit graditissimo ad una categoria abituata a pensare alla propria evoluzione professionale non già come a una crescita stipendiale e di competenze, ma come ad una crescita di “benefit contestuali” (ad esempio: da lontano a vicino, da un professionale ad un liceo, dalle medie alle superiori, dal sostegno alla materia, etc.).
Ricordo perfettamente anni nei quali le assunzioni per coprire il turnover erano fatte sul 100% dell’organico di diritto. Nei forum degli insegnanti si leggeva la preoccupazione degli insegnanti di ruolo che, con questa modalità, si vedevano limitate le possibilità di avvicinarsi a casa. Si pensi in particolare alle persone che, soprattutto vincitrici di concorso, titolari in una provincia, hanno lavorato per anni ed anni come tappabuchi nella provincia di residenza, ma sostanzialmente sotto casa, invece che in quella di titolarità.
Giacché le cause del precariato erano strutturali, mi pare evidente che la soluzione del problema non è mai stata quella di assumere più o meno persone ogni anno, di saturare o no l’organico di diritto, giacché è il sistema che abbisogna stabilmente, continuamente, strutturalmente di precari che tappino i buchi degli incarichi annuali e di supplenti temporanei (ecco una prima grossa differenza tra le categorie dei precari).
Le rigidità di questo sistema vengono larghissimamente limitate con la Legge 107 che, nelle varie fasi, ha provveduto ad assumere e stabilizzare l’organico di diritto, adeguandolo a quello di fatto, anche costituendo un maggior numero di COE. Si è pagato un prezzo, cioè quello di una maggiore mobilità degli insegnanti, non più incardinati in una scuola, ma, almeno a regime, in un distretto e collegati ad un Piano Triennale dell’Offerta Formativa. Spiegare a terzi questa questione è arduo, ma viene in soccorso, almeno per chi la scuola la mastica, quella che si chiama “Dotazione Organica del Sostegno” nella scuola secondaria di secondo grado. Gli insegnanti di sostegno in questo ordine di scuola sono sostanzialmente sempre stati “precari”. Ogni anno chiedono l’assegnazione di una scuola e in base alle preferenze et disponibilità si procede alla loro allocazione. Giacché da un anno all’altro cambia poco, tutti gli anni vediamo gli stessi insegnanti (di ruolo) nelle stesse scuole. Accadrà la stessa cosa anche per gli altri, con una piccola sostanziale differenza: le scelte dei presidi. Secondo lo scrivente, questi eviteranno di scegliere le persone incapaci, quelle scomode e sgradite. Pur tuttavia, queste verranno allocate dagli uffici territoriali e quindi non vedo novità sui primi, ma vedo possibili contenziosi sindacali sui secondi.

Cosa non va, allora, nell’algoritmo? Riconosciuto il benefico effetto di questa legge che stabilizza le persone, non già sul luogo di lavoro, ma per la tipologia del contratto che diventa a tempo indeterminato, esistono due tipi di opposizione. Quella della protesta a prescindere, annidata nei sindacati “di base” che spesso affondano le proprie argomentazioni in un mare di retorica nella quale è difficile evincere una controproposta praticabile e che prendono la parola rumorosamente nei Collegi dei Docenti con aggressività retorico-moralistiche (ad esempio: “non prendete gli spezzoni, togliete il pane ad un precario!” allorquando l’insegnante aspirante magari è divorziato con mutuo), e quella della protesta argomentata. Non leggerete in questo trattato nulla della prima categoria, di cui leggete abbondanti rendiconti alla voce “deportazione” sui media, mi concentro sulla seconda.

La prima enorme obiezione argomentata è legata alla sostanziale segretezza dell’algoritmo di cui possiamo intravedere le caratteristiche dai risultati di cui si legge sui giornali. Come è stato costruito? Come funziona? Perché non ci sono elementi di trasparenza? I media ci sottopongono casi bizzarri come quello dell’insegnante di musica che da Modena è stato assegnato a Salerno, ma nessuno ha esplicitato il punteggio di questo collega, la sua lista di preferenze e quella degli aspiranti della sua classe di concorso. Nei rumors, che hanno preceduto la scadenza della consegna della lista delle preferenze, era emerso chiaramente il fatto che la prima preferenza sarebbe stata massimamente favorita. Ma nessuno sa come e a quale prezzo giuridico. I sindacati avanzano legittime richieste di trasparenza e, secondo me, sarebbe stato assai sensato pubblicare il codice sorgente di questo algoritmo al fine di consentire ai portatori d’interesse di studiarlo, analizzarlo, verificarne la compatibilità giuridica e le scelte politiche implicitamente associate. Farlo con congruo anticipo, avrebbe consentito di fare controproposte, come in uso nel mondo del software libero, anche capaci di prevenire errori e ingiustizie. Magari, anche prevenendo quel contenzioso che, al buio, sorgerà inevitabilmente nelle prossime settimane quando portali dedicati (come “voglioilruolo”) e sindacati avranno la possibilità di analizzare i dati.

Un secondo elemento di critica, secondo me assai legittima, è quello dell’obbligo di elencare tutte le province del paese, pena la non partecipazione al piano, con il vincolo dell’accettazione obbligatoria, pena la cancellazione dalle Graduatorie ad Esaurimento. Non si capisce per quale motivo si sia fatta tale richiesta. Bastava consentire a ciascuno di indicare le province gradite entro le quali si garantiva l’accettazione. Solo una, tre, quelle vicine a casa, quelle vicine a casa e dove vive la zia… Quando decine di migliaia di persone aspirano a poche migliaia di posti, non c’era bisogno alcuno di imporre a tutti di esplicitare l’elenco completo. La ministra ha spiegato che circa settemila persone si muovevano volontariamente negli scorsi anni e quest’anno sono state stabilizzate. Perché stabilizzare “per forza” uno che non si vuole muovere e sacrificare uno che è disposto a farlo? A me viene da dire: peggio per lui! Leggiamo che il tasso di rifiuto della fase B è inferiore al 3%. E’ basso, ma poteva essere nullo e quelle persone perderanno un diritto.

Un’altra possibilità di allocazione ottima era quella di imporre a tutti di elencare le preferenze, ma di consentire (senza penalità) il rifiuto delle assegnazioni. In quel caso, come succede per gli studenti e le università, un rifiuto avrebbe liberato un posto e riallocato le risorse, quindi gli insegnanti avrebbero potuto ricevere una prima offerta (non definitiva), ma sperare in offerte migliori per le rinunce di terzi. Il sistema avrebbe dovuto essere quindi interattivo, direi che siamo nel campo della fantascienza in un paese dove si legge “un freddo algoritmo mi ha dato un posto di lavoro a Terni”. Sarà anche freddo, ma quello è il posto al quale tu hai diritto, e non altri.

Un altro elemento di critica è legato al fenomeno dei pluriabilitati. Sempre la cronaca ci mostra il caso di quella collega ultrasessantenne stabilizzata su una materia che ha insegnato solo poche settimane in vita sua. Qui la questione è delicata perché, da un punto di vista giuridico, uno è abilitato o non è abilitato. Lo Stato non può certo sapere se tale insegnante, abilitato, si è dimenticato quella materia (?). Pur tuttavia, può chiedergli se è disposto ad insegnarla. Sono moltissime le persone pluriabilitate, molti hanno conseguito la seconda o terza abilitazione molto dopo la prima, meramente per conseguire un punteggio in graduatoria, ma tra “conseguire un titolo” e avere voglia di insegnare quella materia, a volte ce ne passa. Per prevenire il caso di quella collega, bastava consentire ai candidati di scegliere se candidarsi per tutte le classi di concorso, oppure no.

Un elemento critico è quello della definizione della lista delle preferenze. Si è spesso parlato dell’elenco delle province, ma nessuno ha citato le abilitazioni o specializzazioni. C’è chi, pluriabilitato e specializzato, preferisce insegnare una certa materia, ovunque essa sia, e chi preferisce lavorare vicino a casa, qualsiasi sia la materia insegnata. A mio parere sarebbe stato possibile indicare una lista completa di preferenze che tenesse conto di queste due variabili. Ad esempio, per me che sono abilitato in matematica applicata e informatica e specializzato sul sostegno, avrei potuto scrivere: 1) Genova Matematica Applicata, 2) Genova Sostegno, 3) Genova Informatica; 4) Savona Sostegno; 5) La Spezia Sostegno; 6) Alessandria Sostegno etc. Per quale motivo avrei dovuto fare scelte che per qualcuno potrebbero apparire bizzarre? Nel caso sopracitato, personalmente preferisco lavorare nella mia città, ma se devo spostarmi preferisco farlo su un lavoro che posso fare in molte scuole, quindi magari in una vicino alla stazione, piuttosto che su una classe di concorso con poche cattedre che saranno chissà dove. A prescindere dalle motivazioni, le preferenze sono insindacabili perché siamo in uno stato di diritto, a patto di accettarne le conseguenze. Ciascuno dica le sue nel modo che ritiene, lo Stato non può certo entrare nella questione. Sarà poi l’algoritmo (non quello “freddo”, ma quello che ottimizza in funzione delle disponibilità del mondo reale e delle preferenze sane, libere e insindacabili dei candidati) a trovare il migliore fit possibile tra “domanda e offerta”.

Infine ci sono elementi di dettaglio, marginali statisticamente, ma umanamente molto significativi. Ci sono intere famiglie di precari. Marito e moglie, fratello e sorella, sono pronto a scommettere che ci siano anche madri e figli. Sarebbe stato possibile assegnare una stessa provincia a due coniugi? Certamente sì, se uno si fosse dichiarato disponibile a sacrificare la propria lista di preferenze, allineandosi al diritto dell’altro. In soldoni, esprimere il desiderio “vogliamo la stessa provincia”, poteva essere lecito e accolto dall’algoritmo. Naturalmente sarebbe stato anche necessario indicare se tale richiesta era da intendersi come vincolo (o così, o rinunciamo entrambi) o come preferenza (dateci la stessa provincia se possibile, anche se uno dei due potrebbe aspirare ad un posto migliore, altrimenti basta che uno lavori… e campiamo lo stesso).

In conclusione, posso rivendicare con orgoglio la paternità dell’algoritmo, anche se nessuno dal MIUR, dalle Commissioni parlamentari, dai responsabili scuola dei partiti e dei sindacati è venuto mai a ringraziarmi per il contributo intellettuale, né a coinvolgermi o anche solo ad audirmi su queste tematiche. Devo tuttavia dire che se anche il seme è stato mio, la sua implementazione (cioè la sua “educazione”) è totalmente “ministeriale” e quindi disconosco le sue carenze.

* Docente di matematica applicata e informatica, specializzato sul sostegno, presso l’I.S. “Einaudi Casaregis Galilei” di Genova, per otto anni portavoce del Comitato Precari Liguri della Scuola.

 

Sono il padre dell’algoritmo, ma si tratta di fecondazione eterologa ultima modifica: 2015-09-13T11:14:58+02:00 da
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