Uscite da scuola, quanti equivoci

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di Giuseppe Mantica,  ItaliaOggi   31.10.2017

– Non esiste una norma ad hoc sulla responsabilità dei prof dopo l’orario scolastico.

Due certezze non bastano a placare le polemiche sulla tutela dei bambini per l’uscita da scuola: l’esistenza del reato di abbandono di minore, ed il principio contrattuale che chi promette deve mantenere. I profili interessati sono dunque sia penale che implica una applicabilità generale ma solo nei limiti previsti dalla stessa norma (non così facilmente estensibile al fuori scuola), sia civile se in presenza di un regolamento di istituto che allarghi le prestazioni della scuola al di là della funzione didattica.

L’ordinanza della Corte di cassazione n. 21593 depositata il 19 settembre scorso ha provocato difformi prese di posizione delle parti interessate, ossia genitori e familiari, personale scolastico e ministero dell’istruzione: un polverone sollevato da agitazioni prive, in molti casi, di attente letture di norme e sentenze.

Pare di non dover dubitare che vi sia concordia sul bene da tutelare, ossia la salvaguardia del minore (si parla prevalentemente di elementari e medie), ancorché va obiettivamente notato che una società che si allerta per il clamore di un evento è una società che non sa prevedere. E l’evento in questo caso è avvenuto nel Casentino, quindici anni fa, ma i suoi tragici effetti sono rimasti annidati nel cuore dei familiari fin quando il clamore è sorto dopo la recente decisione della Cassazione che ha rigettato le tesi elusive del ministero, già condannato insieme ad altre parti nei gradi di merito per la morte del bambino investito dal pullman del trasposto scolastico. L’esito quindi era per niente inatteso, ma ha ugualmente contrariato il Ministro che adesso auspica un intervento legislativo di coinvolgimento preciso ed effettivo delle famiglie. Nel caso specifico, è bene precisare che i giudici hanno imputato responsabilità in capo alla scuola, e quindi al ministero, perché con il proprio regolamento, quell’istituto si era fatto carico (facendo nascere un vero patto contrattuale) «di far salire e scendere dai mezzi di trasporto, davanti al portone della scuola, gli alunni» ed ulteriormente demandando al personale medesimo la vigilanza in caso di ritardo: in altri termini il contratto nascente dall’iscrizione comporta il rispetto di tale specifico adempimento promesso in atti (codice civile art. 1218).

Frattempo si sono le scuole allarmate, ma devono fare i conti con i doveri (e, ci sarebbe da dire, le funzioni) del personale docente e del personale Ata da un lato, e le possibilità giuridiche di trattenere gli alunni a scuola, dall’altro; con inevitabili ulteriori problematiche quali le (questa volta, indiscutibili) responsabilità per eventi che possono verificarsi nel protrarsi della dimora scolastica, e gli oneri aggiuntivi di personale e di mantenimento delle strutture aperte per lo scopo. Non isolate voci protestano anche per la giuridicità di un trattenimento a scuola al di fuori delle esigenze didattiche: paventano dei sequestri di persona. E fin quando trattenere i ragazzi? Alcune scuole prevedono l’intervento delle forze dell’ordine: soluzione che rischia altri impacci e contestazioni.

Insomma, pare che l’ordinanza di Piazza Cavour (pur confermativa dei precedenti gradi), abbia colto di sorpresa il ministero guidato da Valeria Fedeli che, nell’affermare un generico adeguamento a norme e decisioni giudiziarie, che invero meriterebbero maggiore ponderazione, tenta di riposizionare gli obblighi di custodia dei minori e tuttavia cita la sentenza n. 3074 del 30 marzo 1999 che, oltre a essere riferita ad un caso di vent’anni fa, non mostra profili di conformità. In essa, l’amministrazione era stata condannata al risarcimento dei danni subiti da un alunno (fuori della scuola) di una classe fatta uscire un’ora prima, per mancanza dell’insegnante dell’ultima frazione di giornata. Qui appare chiaro che l’addebito partiva da una deficienza del servizio e non da un dovere di vigilanza extra-moenia.

Più aderente al caso è invece un’altra sentenza della Cassazione, recente e niente affatto smentita: con la decisione n. 3081 del 16.2.2015 la sesta sezione (così anche la sentenza n. 19160/2012 della terza sezione) ha escluso addebiti per la scuola nel caso di una bambina, spinta di un compagno, infortunatasi nei gradini esterni di accesso alla scuola. Richiamando il proprio orientamento, la Corte non ha ravvisato doveri di vigilanza sugli scolari perché evento avvenuto fuori ambito ed orario scolastico; contrariamente ragionando si verificherebbe un ampliamento tale da «anticipare l’operatività del vincolo negoziale, e del connesso regime di responsabilità, ad un arco spaziale e temporale dai contorni indefiniti, nel quale il personale della scuola non è in grado di esercitare seriamente le sue proprie funzioni». Sulla stessa linea è la sentenza n. 22752/2013 di Piazza Cavour che ha dato torto al ministero perché l’incidente ad un minore era avvenuto nel cortile antistante la scuola, ma il cui cancello era aperto e chiuso dal personale in servizio, quindi rientrava negli spazi custoditi dall’amministrazione.

Quando la ministra Fedeli parla di rispetto della legge, senza tuttavia indicarne una in specifico, pare si riferisca all’art. 591 del codice penale che è norma di antica concezione (un regio decreto del 1930) ma di carattere generale, certamente di epoca nella quale non vi era una maniacale custodia e sorveglianza degli alunni che si recavano a scuola; situazioni per le quali nessun caso di violazione è emerso. Sull’articolo infatti la giurisprudenza ha via via inteso necessaria, anche in relazione alle accertabili capacità del ragazzo di gestirsi il proprio viaggio in autosufficienza, l’insorgenza di una situazione di pericolo prevedibile ex-ante da chi trascura la sorveglianza: è stato condannato, ad esempio, un autista del trasporto scuola che aveva lasciato un bambino alla fermata in una serata di pioggia battente e in strada buia e altamente trafficata. Nel caso della scuola tuttavia una situazione di tanto oggettivo pericolo non è normalmente e usualmente ravvisabile; anzi nel caso della nota sentenza nulla sarebbe accaduto se l’autista (pure condannato in sede penale, sentenza n. 17574/2010 Cass.) si fosse fermato in presenza dei bambini che stavano uscendo.

Nella legislazione di settore non esiste dunque norma che estenda, al di fuori dei limiti spazio-temporali di custodia e in casi di ordinarietà, poteri e responsabilità della scuola (dal dirigente, al docente, fino al personale a.t.a.) sugli alunni, soprattutto una volta che siano stati abbandonati gli spazi (scale e cancelli, come abbiamo visto) di pertinenza. Resta chiaro che l’organizzazione dell’istituto di concerto con le amministrazioni locali (e i privati) che provvedono al trasporto sia tale, in astratto e in condizioni di prevedibile ordinarietà, da non costituire pericolo. Anche l’art. 2048 del codice civile, nemmeno citato nella sentenza in parola, esclude la responsabilità del precettore per situazioni nelle quali gli è impossibile impedire il fatto (un alunno che improvvisamente cade nei corridoi della scuola) e la limita al tempo in cui i discenti sono sotto la sua vigilanza. Ed il tempo è quello delle ore di lezione come illustra la sentenza n. 3081/2015 sopra citata.

Stupisce anche sentire che il ministero non «ha funzioni» sulla legge stante invece che trattandosi di potere esecutivo ha proprio il peculiare mandato costituzionale di disporre la normativa secondaria (decreti ministeriali, circolari ecc…) a spiegamento di quella primaria. Pretendere la legittimità di una «liberatoria» valida in sede penale (accertato che anche il ministro omette di specificare quale sia la legge civile-amministrativa che implica tanta responsabilità della scuola) in termini tecnici vuol dire modificare il codice penale, in termini pratici vuol dire costruire burocrazia per esimersi da una responsabilità che la norma e la giurisprudenza invero non assegnano.

Giuseppe Mantica, avvocato cassazionista

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