Viaggi d’istruzione? No grazie

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di Anna Maria De Luca,  L’Huffington Post   15.10.2015.  

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Per chi lavora nel mondo della scuola, è terribile venire a sapere della morte, l’ennesima, di uno studente in viaggio di istruzione. Questa volta è successo a Milano: un liceale diciassettenne è precipitato dal sesto piano di un hotel. In base alla mia personale esperienza da dirigente scolastico credo fermamente che in Italia non ci siano più le condizioni necessarie per continuare a proporre viaggi d’istruzione. Da una parte, il sempre più labile senso del limite che caratterizza molti giovani, dall’altro l’aggressività di larga parte del mondo dei genitori, dall’altra ancora l’assoluta assenza di tutele per i docenti che si trovano ad avere, senza alcun corrispettivo economico, responsabilità immense mi convincono della necessità di sospendere un’attività che forse, per chi non vive nel mondo della scuola, può ancora sembrare interessante ed utile.

Io non credo che sia cosi: pur riconoscendone la valenza formativa teorica, è palese che, nella realtà, difficilmente si trova il tempo di preparare i ragazzi ad accogliere nella loro formazione la storia e le specificità delle zone che andranno a visitare. Le destinazioni vengono spesso scelte non tanto per reali motivazioni didattiche quanto per i desideri dei ragazzi (non a caso Barcellona ed Amsterdam sono destinazioni molto inflazionate) o dei docenti che si offrono di accompagnarli (e che non vogliono tornare in luoghi già visti).

Scatta una sorta di meccanismo per cui andare in luoghi nuovi diventa quasi una condizione per sopportare i rischi che altri colleghi si rifiutano, giustamente, di compiere. Altra considerazione: una volta il viaggio di istruzione era, per molti ragazzi poveri, l’unica occasione di viaggio. Ora non è più cosi: viviamo in anni di grande mobilità, con i low cost le famiglie si spostano molto più di prima e viaggiano proprio per ampliare gli orizzonti dei figli. Viene quindi a cadere oggi la vecchia ragione del viaggio di istruzione come unica possibilità di viaggiare. Considerato quanto poco sia il tempo che molti ragazzi passano con i genitori, non mi sembra poi cosi cattiva l’idea che siano i genitori a portarli in viaggio e non le scuole. Meglio ancora, una vacanza studio all’estero per imparare le lingue.

Qualche mese fa fu un 19enne di Padova a cadere dal quinto piano di un hotel. E ricordate il quattordicenne caduto dal balcone mentre cercava di raggiungere la stanza delle compagne di scuola? Per non parlare dei ragazzi caduti in mare come il quindicenne Gabriele Russo e la diciassettenne Isabella Fracchiolla, di Bari. Le visite scolastiche sono ormai tema “da panico” per chi lavora nella scuola.

I docenti che in genere accettano di accompagnare i ragazzi in viaggio di istruzione sono spesso i più giovani, che si trovano addosso responsabilità penali e civili di ogni tipo, h 24, con l’aggravante che non esiste neanche più quella che una volta si chiamava “diaria”. L’organizzazione dei viaggi di istruzione è cosa cosi complessa che un anno, nella mia scuola, decisi di dedicarvi addirittura una funzione strumentale. Dalle allergie – inimmaginabili i problemi quando le famiglie si dimenticano di comunicare che il bambino è celiaco e la gara di appalto già è finita – all’assicurazione, dall’albergo agli spostamenti, la responsabilità di portare in giro minorenni si moltiplica in base al grado di indisciplinatezza.

Purtroppo molti genitori non aspettano altro che l’occasione giusta per denunciare le scuole e “spillare un po’di soldi” (frase sentita con le mie orecchie in occasione di una gita organizzata anni fa, per aver preso la decisione di non far salire i miei studenti su un pullman dalle gomme lisce). Poiché l’obbligo non esiste, accompagnare i ragazzi in gita è eroico. Ma i genitori questo non lo capiscono. Come dirigente scolastico, preferisco avere docenti sani e salvi che eroi in tribunale o studenti morti.

Viaggi d’istruzione? No grazie ultima modifica: 2015-10-17T07:24:01+02:00 da
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