di Francesco Cancellato, Linkiesta, 6.10.2018
– Mentre allarga i cordoni della borsa per pensioni minime e quota 100, il governo Conte si fa beffe della scuola, dedicandole solo 50 milioni di tagli dell’alternanza scuola-lavoro. La prova regina che siamo un Paese che ha definitivamente rinunciato al futuro.
Ci sono cose che non cambiano mai, nemmeno con la manovra del cambiamento, nemmeno con 40 miliardi circa di spesa pubblica aggiuntiva, nemmeno con un deficit che sale al 2,4% del prodotto interno lordo. Una di queste, la peggiore, si chiama scuola. Più precisamente, 50 milioni di euro in meno sul progetto di alternanza scuola lavoro. Si tratta di pochissima roba, intendiamoci, figlia del ridimensionamento delle ore obbligatorie. Ma è sintomatico che del settore più importante che c’è vi sia solo questo da dire o quasi, nel documento che fa da pietra angolare per i programmi del governo gialloverde per il prossimo triennio.
Sintomatico, soprattutto se si considera che siamo già oggi uno dei paesi che spende meno in istruzione d’Europa, il 4,9% del Pil, il 7,4% della spesa pubblica complessiva, quattro punti abbondanti sotto la media Ocse. Che siamo penultimi nell’area Ocse, davanti al solo Messico, col nostro 18% di laureati sul totale della popolazione, contro il 37% del dato medio e il 46% di Regno Unito e Usa. Che siamo penultimi in Europa per il numero di laureati, 26 ogni 100, nella fascia d’età tra 30 e 34 anni e con un abbandono universitario che si aggira attorno al 38%. Che il tasso di passaggio dalle scuole superiori alle università nei dieci anni tra il 2005 e il 2015 è calato di 24 punti percentuali (dal 73% al 49%). Che nello stesso periodo le immatricolazioni sono state 65mila in meno. E che solo un manager italiano su quattro ha una laurea in tasca, mentre nel resto del continente la media è del 54%.
Di scuola, nell’era del cambiamento, si parla solo per i regolamenti come quello di Lodi che discriminano i bambini stranieri, o di telecamere anti-spacciatori fuori dai plessi scolastici. Per il sapere, nulla totale
Sintomatico e curioso, considerando che importiamo risorse energetiche, materie prime, capitali finanziari e che l’unica ricchezza che abbiamo a disposizione per crescere, l’unica leva con cui possiamo sollevare il Pil si chiama capitale umano. E invece niente. Di scuola, nell’era del cambiamento, si parla solo per i regolamenti come quello di Lodi che discriminano i bambini stranieri, i cui genitori se non provano di essere nullatenenti, anche se provengono da Paesi che non possono certificarlo, sono costretti a pagare la tariffa massima di mense e scuolabus. O di telecamere anti-spacciatori fuori dai plessi scolastici. Per il sapere, nulla totale.
Eppure ce ne sarebbero di cose da fare. Ad esempio, un piano di investimento per ricostruire scuole che cadono a pezzi, veri e propri monumenti all’incuria per il sapere e per l’istruzione, se non addirittura potenziali pericoli per l’incolumità dei bambini. O ancora, un fondo per abbassare le tasse universitarie più alte d’Europa – sei volte più alte di quelle che paga un giovane francese, tasse che, sempre tra il 2005 e il 2015 sono lievitate del 45% – perlomeno ai cittadini meno abbienti, per far tornare la scuola a essere un’ascensore sociale funzionante. O anche un piano per la formazione continua, in cui oggi sono coinvolti solo 8 italiani adulti su 100, peraltro molto male, contro il 18,8% di adulti francesi che aggiornano le loro competenze per far fronte alla rivoluzione digitale e alle nuove competenze necessarie per non uscire dal mercato del lavoro. O ancora un piano per aumentare i fondi alla ricerca di base e per agevolare il trasferimento tecnologico dei saperi accademici in contesti imprenditoriali.
Non ci saremmo aspettati tutto, sia chiaro, ma almeno qualcosa sì. Ce lo aspettiamo ogni volta e ogni volta ci rimaniamo male. Perché un Paese che spende nelle pensioni tre volte quel che spende per l’istruzione e che, quando proclama di allargare i cordoni della borsa, mette altri 16 miliardi sulle pensioni e zero sull’istruzione, è un corpo sociale morente, che ha rinunciato a costruire un futuro migliore, forse perfino a sognarlo. E se questo è il cambiamento, risparmiatecelo, grazie.
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