Alessandro Giuliani, La Tecnica della scuola 21.2.2016
– Il premier Renzi torna a porgere la mano ai docenti, chiedendo loro di partecipare alla stesura dei nove deleghe derivanti dalla riforma. E non è una frase di circostanza.
Perché la terza dichiarazione sullo stesso “tasto” in due settimane.
Stavolta, intervenuto all’assemblea del Partito Democratico, il presidente del Consiglio ha detto che “sulle deleghe sulla scuola ricoinvolgeremo gli insegnanti, magari l’incontro va meglio dell’altra volta”.
In precedenza, la prima domenica di febbraio, intervenendo alla scuola di formazione politica del Pd, aveva dichiarato che “sulla scuola abbiamo fatto qualche pasticcio”, prima di dire che sarebbe intervenuto di persona, con il ministro Giannini, per decidere sui quesiti da porre in inglese nella prima prova scritta del concorso per Titoli ed Esami.
Lunedì scorso, attraverso las Enews settimanale, la n. 413, Renzi ha argomentato il concetto con un messaggio scritto: “Sulla scuola – dopo le polemiche della Legge e lo stupore per il fatto che abbiamo mantenuto tutti gli impegni presi – prevale l’attesa per le nuove deleghe, su cui nei prossimi giorni proverò a coinvolgere di nuovo i professori, sperando che vada meglio dello scorso anno”.
Oggi, domenica 21 febbraio, ha ribadito il concetto. Quello che non è chiaro è cosa intenda il premier quando dice che vuole “ricoinvolgerere gli insegnanti”.
Proviamo a fare qualche ipotesi. La prima, forse la più verosimile, è che il presidente del Consiglio voglia inviare un documento per saggiare i pareri e comprendere perché permane tanto malcontento tra il personale nei confronti della riforma.
Non è però da escludere che il premier possa convocare i rappresentanti dei lavoratori, ad iniziare dai sindacati. Come è un po’ accaduto con la mobilità professionale del prossimo anno. Che, proprio attraverso la contrattazione, sarà meno penalizzante di quella introdotta attraverso la Legge 107/15. Cercando, in tal modo, di non far crescere i “mal di pancia”, con le varie riforme su settori chiave – come il sostegno, la scuola dell’infanzia, il reclutamento, l’alternanza scuola-lavoro – per chi opera in classe.
L’impressione, quale che sia il mezzo per arrivarci, è che il Governo intenda fare un passo indietro rispetto alla politica condotta sinora. È vero, infatti, che parti sociali e tavoli di confronto sono stati sempre aperti, ma di fatto poi la riforma è stata portata in porto sulla falsa riga del progetto iniziale. Di stampo governativo. Se si fosse sentito il personale e la piazza, come quella del 5 maggio 2015, le cose sarebbero andate diversamente.