di Francesco Rocchi, iMille, 2.6.2017
– Da qualche giorno è cominciata una protesta dai contorni nuovi ed inediti: quella dei presidi delle scuole italiane. Non si tratta di un fenomeno numericamente molto vasto, ma ha ricevuto una discreta copertura mediatica, probabilmente proprio per la novità e per la bizzarria della cosa. Poiché infatti nel dibattito pubblico italiano la figura del preside è regolarmente assimilata a quella dello sceriffo, per i non addetti ai lavori deve essere stata una grossa sorpresa scoprire che i presidi in carne ed ossa sono piuttosto lontani dal sentirsi dei manager temuti e potenti. In realtà, il sentimento più comune che prova un preside italiano non è fiera arroganza, ma frustrata impotenza. Tralascerò qui di discutere le rivendicazioni salariali (a mio avviso non irragionevoli, in ogni caso) e mi soffermerò piuttosto sulle ragioni “strutturali” del disagio. Non mancano documenti e approfondimenti in tal senso: le associazioni dei presidi sono ormai numerose, combattive e prolifiche, e anche la Fondazione Giovanni Agnelli si è direttamente occupata della questione finanziando una importante ricerca di Massimo Cerulo, significativamente intitolata “Gli equilibristi”.
Cerchiamo dunque di capire in primo luogo quali siano i compiti di quello che di qui in poi indicheremo con la sua definizione ufficiale di “dirigente scolastico” (o Ds). Appurato questo, vedremo quali siano le criticità che gli stessi dirigenti lamentano. Il ruolo di un dirigente scolastico si esplica su due fronti, complementari ma diversi: quello didattico-pedagogico e quello amministrativo. Per il primo, il dirigente ha come riferimento il collegio docenti, con il quale ha una dialettica assai complessa, dato che la normativa prevede non che questo gli sia subordinato, ma che cooperi con lui su un piede praticamente di parità. Sul lato amministrativo, invece, il dirigente si avvale dell’apporto del Direttore per i servizi generali ed amministrativi (Dsga), che è a capo della segreteria e al quale il Ds può delegare parte delle proprie funzioni (quante e quali è una questione in ogni caso spinosa). All’interno di un tale quadro, quali sono concretamente i doveri cui un Ds deve ottemperare? Per rispondere a questa domanda riassumo brevemente quel che Giovanna Strano riporta nel suo manuale di preparazione per il concorso a Ds.
In sintesi: un Ds presiede il collegio dei docenti, il comitato di valutazione, i consigli di classe e di altri organi consimili, curando l’esecuzione delle loro deliberazioni; forma le classi, assegna loro i docenti e ne formula l’orario; promuove e coordina le attività didattiche, la sperimentazione e l’aggiornamento, prendendo i necessari provvedimenti nel caso di inadempienze del personale; tiene i rapporti con gli enti locali e ministeriali, con gli specialisti medici, pedagogici e sociali per gli studenti con bisogni speciali e disabilità; più in generale cura l’esecuzione delle norme giuridiche e amministrative relative tanto ad alunni quanto a docenti; in capo al Ds è anche la responsabilità disciplinare sui propri dipendenti. In quanto figura dirigenziale pubblica, dal 1997 il Ds dirige, coordina e valorizza le risorse umane e gestisce le risorse finanziarie e strumentali, avendo la responsabilità dei risultati ottenuti con il proprio operato. Dal 2001 ha anche la responsabilità dei rapporti sindacali (e maggiori poteri relativamente alle incombenze già attribuitegli nel 1997). Infine, stante che il potere di indirizzo nella gestione unitaria della scuola è detenuto dal Consiglio di Istituto, il Ds ha potere di gestione delle risorse della scuola in vista della realizzazione del programma annuale, nel quale è particolarmente importante la razionalizzazione della spesa. Per completare questo quadro preliminare, è bene inoltre ricordare che il dirigente scolastico è responsabile amministrativo, civile e penale di praticamente qualsiasi cosa avvenga nella sua scuola (per ragioni che poi vedremo, questa è una fonte di grande ansietà e stress per i dirigenti).
Queste dunque, circa, le funzioni previste dalla normativa. L’elenco è lungo, e in questi termini ancora poco significativo, perché non riesce a dare il senso dell’attività quotidiana. Per approfondire, è meglio volgersi alla summenzionata ricerca di Cerulo, il quale, a mo’ di “ombra” (la tecnica si chiama proprio shadowing), ha seguito sul campo il lavoro quotidiano dei dirigenti di quattro diverse scuole superiori italiane. La situazione riferita da Cerulo è un po’ sconfortante. La prima cosa che egli osserva nel tirare le conclusioni delle sue osservazioni sul campo è che la parte didattica del lavoro di un Ds è completamente obliterata da quella amministrativa. Gli adempimenti, in ogni singola scuola, sono numerosissimi, complicati e cervellotici. Per soprammercato, un Ds si trova spessissimo a dover curare non una scuola soltanto (che spesso è già divisa di suo in plessi e indirizzi diversi), ma due o anche tre, in virtù di quella “reggenza” che fa sì che le scuole più piccole o prive di Ds ne ricevano uno “part-time” da un’altra scuola. Uno dei dirigenti coinvolti nella ricerca aveva tre scuole di cui occuparsi (elementare, media e superiore), in tre comuni diversi. Ricordo che le scuole prive, a vario titolo, di un preside full time sono oggi il 34% del totale.
Estromessa dunque la parte didattica, in quale modo un Ds si occupa di quella amministrativa? Cerulo in tal senso sistema la congerie di attività cui ha assistito in non meno di sei “ruoli” che non devono essere intesi in senso ufficiale, ma pratico. Qui riporto quelli che mi sono sembrati più importanti. Il preside deve essere in primo luogo un mediatore: tra docenti, docenti e alunni, docenti e genitori, docenti e segreteria, e così via, in ogni possibile combinazione. Particolarmente importante è la mediazione che egli opera tra il personale della scuola e il Dsga, il quale, in virtù dei suoi compiti contabili, deve intervenire su questioni assai delicate. In secondo luogo il Ds deve essere un “counselor”, che accoglie tutti (studenti, docenti, collaboratori e genitori) e mostra che l’”autorità” è disponibile all’ascolto e capisce le istanze di ciascuno. Cerulo sottolinea che non si tratta, spesso, di fornire risposte o soluzioni, ma di fungere in qualche modo da ricettacolo, o sfogatoio, delle varie ragioni di insoddisfazione. Ancora: il Ds è un “avvocato”: rappresenta la scuola anche in sede legale, spesso per penuria di avvocati nell’Avvocatura di Stato, e per via delle numerose diatribe, sindacali o meno, che punteggiano la vita di qualsiasi scuola. Il Ds è anche un “investigatore” (o controllore): è responsabile di verificare la veridicità di tutte le dichiarazioni rese all’autorità scolastica da parte del personale e delle famiglie.
Il Ds funge poi da “esperto esterno”: molti compiti sono competenza degli uffici scolastici provinciali e regionali. Quando questi sono inadempienti (soprattutto al Sud), il Ds si deve improvvisare ingegnere, informatico o vigile del fuoco. A questo ruolo si affianca quello del Ds “pellegrino”, che deve andare di ufficio in ufficio a richiedere, spesso con insistenza, quel che gli uffici dovrebbero fornire motu proprio e spesso non forniscono (documenti, servizi, materiali, anche banali come i banchi). Il tempo che un Ds passa nella scuola (o più scuole) non sembra essere sufficiente a star dietro a tutto. Un rimedio ci sarebbe, ma appare poco utilizzato: quello della delega (a docenti collaboratori, ad esempio). Cerulo paragona i Ds ad Argo Panoptes, il mostro che tutto vede e tutto controlla. Quest’ossessione dei Ds in parte sembrerebbe “caratteriale”, ma -riconosce Cerulo- ha anche una solida spiegazione: il Ds, come già detto, è responsabile in prima persona di tutto quello che avviene nella sua scuola, ragion per cui sente il pressante bisogno di controllare tutto -al fine di rassicurarsi, di fatto.
Il mestiere del Ds, insomma, è assai complesso e variegato. Essendo centro e motore di una così lunga lista di incombenze, non è strano che i governi spesso scelgano proprio il Ds come perno delle loro riforme. Ciò probabilmente avviene non solo perché le nuove responsabilità devono ricadere naturaliter sulla dirigenza, ma anche perché quella del Ds è praticamente l’unica figura non collegiale (o quasi) della scuola, e quindi l’unica che non preveda un lungo e faticoso processo di mediazione continua (o almeno così si spera). Ma perché i Ds protestano per strada e addirittura organizzano scioperi della fame? Quand’è che questo lavoro, almeno a detta degli stessi Ds, da complesso diventa semplicemente intollerabile? La mole sterminata di adempimenti burocratici è una ragione. Ma forse non la principale. Quel che veramente esaspera i Ds è dover rispondere di ciò che non possono governare. Come spiegava l’Udir su un articolo per la Stampa dello scorso 26 maggio, un Ds risponde personalmente (anche patrimonialmente) dello stato degli edifici scolastici, ma non ha alcun potere di spesa per fare riparazioni, se non di minuscola entità. Detto in soldoni: se uno studente viene ferito dalla caduta di calcinacci, è il Ds che ne risponde, ma allo stesso tempo un Ds non può chiamare i muratori per far fare la necessaria manutenzione, che invece è in capo alla provincia.
Quali conseguenze questo possa avere sulla vita di un Ds è reso chiaro da un caso esemplare, quello della Ds Franca Principe di Sapri: nella scuola di questa dirigente, durante gli esami di Stato del 2011, un ex-studente, per festeggiare la maturità di un amico, è entrato in una zona interdetta per ragioni di sicurezza statica, è caduto per il cedimento del lastrico e si è ferito, per fortuna senza conseguenze permanenti. Una bidella aveva lasciato aperta la porta d’accesso e il ragazzo ci si era infilato, ma la Ds, in quel momento impegnata con gli esami in un’altra scuola, è stata nondimeno condannata ad un mese di carcere e 15.000 euro di risarcimento. Non è strano che i Ds reagiscano con rabbia e frustrazione. Ancora: i Ds, per quella posizione di leader educativo che la legge gli assegna, sono responsabili della qualità della didattica della loro scuola, ma non hanno alcuna voce in capitolo nella scelta degli insegnanti. I contratti, sia a tempo determinato sia indeterminato, recano la loro firma, ma si tratta un atto obbligato in cui loro ruolo è nullo. Se un professore bravo vuole andarsene, un Ds non può fare nulla per convincerlo a rimanere; se uno cattivo non vuole fare nulla per cambiare la propria didattica, il Ds è impotente, a meno che non ci siano veri e propri illeciti sanzionabili. La legge 107 aveva previsto dei poteri di scelta tra i docenti comunque vincitori di concorso (o assunti ad altro titolo), ma tutto il lavoro di cernita e selezione è stato poi quasi completamente svuotato dalla girandola di trasferimenti straordinari che il governo ha concesso per attenuare l’effetto delle assegnazioni lontano da casa dei docenti.
Non si pensi in ogni caso che l’automatismo dei trasferimenti semplifichi il lavoro dei Ds: per quanto privi di qualsiasi discrezionalità (anzi, proprio per questo), l’assunzione di un supplente è per un Ds un’incombenza defatigante: attraverso successive convocazioni, e fatti salvi ricorsi o rinunce, arrivare ad assumere qualcuno richiede tempo, pazienza e una quantità infinita di carta. Molto mal vissuti sono anche le rilevazioni statistiche e contabili. Poiché la politica e l’amministrazione hanno finalmente capito che le attività delle scuole vanno monitorate, si è creato un flusso imponente e continuo di “dati” (in sè sicuramente giusto e necessario) dalle scuole agli uffici ministeriali. Come rilevato da un articolo sempre de La Stampa del 27 aprile (di Flavia Amabile), i Ds (insieme con i docenti, in questo caso) devono inviare voluminosi rapporti a Indire, Invalsi, Regioni e ministero. Rapporto di Auto-valutazione, il Piano di Miglioramento, il Piano Triennale dell’Offerta Formativa, le correzione delle prove Invalsi sono soltanto esempi di materiale pedagogico-didattico, ma si potrebbero aggiungere i documenti amministrativi su trasparenza, sicurezza, anti-corruzione, sicurezza informatica, nuovo codice degli appalti, ecc. ecc.
La parte frustrante della cosa è che in molti casi non si ha percezione di un’utilità concreta di questa gran fatica: si ha talora la sensazione che se anche i rapporti e i questionari fossero compilati a caso, nulla cambierebbe. Si aggiunga al quadro anche questo dettaglio: per realizzare tutti questi documenti, il Dsga è essenziale, ma, Dio non voglia, il Dsga risulti assente, il Ds non può nominare un sostituto: la posizione resta scoperta e la segreteria si blocca. A questo punto è bene citare anche il malcontento di molti presidi sulla segreteria in senso più generale: sottodimensionata, e con personale, spesso, non sufficientemente formato. Ecco, forse ora comincia ad essere un po’ più comprensibile perché i Ds siano sul piede di guerra. La domanda successiva, ovviamente è “Che fare?”. Progetti e proposte non mancano. Senza dilungarci troppo, possiamo accennare qualche possibile intervento.
Il primo e il più importante, già caldeggiato dalla Fondazione Agnelli, è la creazione di un middle management: un livello intermedio tra il docente e il Ds, incaricato di assolvere a funzioni di coordinamento didattico in maniera snella, rapida ma competente. Tale livello intermedio faciliterebbe molto la vita del Ds (che didatticamente, peraltro, non può essere esperto di tutte le materie), stornerebbe immediatamente le pur pretestuose accuse di “sceriffismo” e darebbe ai docenti la possibilità di organizzare il proprio lavoro in maniera meno confusa e dispersiva del collegio docenti, istituzione che mostra inequivocabili segnali di fatica e logorio. Un vantaggio secondario non da poco sarebbe che il middle management formerebbe l’ambiente di cultura naturale da cui poi trarre futuri Ds capaci ed efficienti.
Un secondo cambiamento, non meno importante, è relativo alla sicurezza, come dimostra il caso di Franca Principe, almeno per le superiori. A 14 anni lo Stato italiano considera un adolescente grande abbastanza da lavorare, andare all’estero o affrontare il traffico su uno scooter. Nel momento in cui si entra in una scuola, però, sembra che gli adolescenti italiani tornino ad avere quattro anni, e docenti e Ds debbano sorvegliarli come se completamente incapaci di badare a sé stessi. Sollevare la scuola da questa defatigante e assurda responsabilità rassenerebbe moltissimo gli animi.
Terzo: assegnare alle scuole medesime la propria manutenzione: le non più abolende province sono istituzioni troppo lontane e disperse per poter affrontare tempestivamente le necessità delle scuole. In passato mi è capitato di vedere scuole dover attendere mesi per avere dei semplici banchi: questo deve finire. Contestualmente, deve essere reso più facile alle scuole spendere quei pochi soldi che pure hanno. Questo farà lievitare un po’ i costi? Saranno soldi spesi bene.
Aggiungo un ultima proposta di semplificazione estrema, utile tanto ai Ds quanto ai docenti: l’abolizione della bocciatura. Il 99,9% del contenzioso delle famiglie con la scuola è su voti e bocciature. Abolendo questi (fatto salvo il voto di maturità), si solleva la scuola dal bisogno di produrre tonnellate di carta; si rimette al centro la didattica, ora scalzata dalla burocrazia, e si estingue sul nascere tutta la conflittualità che ora ammorba la scuola. La domanda che le famiglie faranno alle scuole non sarà più “Perché questi voti?” ma “Cosa avete insegnato, e come?”. Questo però mi riservo di argomentarlo meglio in altra occasione, e basti dire per ora che le storture imputabili a questa maniera arcaica di concepire l’istruzione sono forse il problema più grave.
In conclusione: i Ds hanno dei motivi solidi per protestare. Sarà necessario rispondergli senza improvvisazione o superficialità.
iMille.org – Direttore Raoul Minetti
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Capire la protesta dei presidi ultima modifica: 2017-06-02T22:38:19+02:00 da