MENTRE il Fatto denunciava la deriva delle “razionalizzazioni” scolastiche, la nostra preside taceva e su Repubblica magnificava la Buona scuola. Oggi si scopre barricadera e attacca il ministero. Benvenuta tra noi. Ma se all’origine dell’indignazione c’è un caso personale (“Quando ho saputo di avere la reggenza in un istituto comprensivo a 60 chilometri di distanza, otto plessi di montagna… ho valutato e infine ho fatto ricorso”)… se la presa di coscienza nasce da interesse personale dopo anni di silenzio (e di inni a Renzi) la protesta perde credibilità. E valore.
[Bugiardino. 1) Le critiche a Veladiano risultano – almeno per me – marginali o secondarie rispetto al merito di aver denunciato e dato visibilità mediatica all’abuso di reggenze da parte Miur e ai danni conseguenti per la Scuola. 2) I presidi hanno cominciato ad allargarsi, e qualcuno a incattivire già con l’istituzione dell’autonomia scolastica, che risale al 2000, 15 anni prima della legge 107. 3) Per tenersi buoni – e dalla propria parte – i presidi, il governo li ha lusingati con promesse di aumento di potere, di soldi, di immagine (manager! capperi!); promesse poi disattese. I presidi dapprima abboccarono tanto che L’ANP è stato “il sindacato che più aveva appoggiato la legge 107″ , poi (aprile 2017) capirono l’inganno entrarono in agitazione e in sciopero ma senza risultati concreti, almeno finora. v.p.]
Non sono i presidi cattivi. La Buona Scuola li ha resi così
di Angelo Cannata – Il Fatto Quotidiano – 19 settembre 2018 – pag. 13
Ho letto con attenzione l’articolo di Mariapia Veladiano, “Denuncio il Miur, sono la preside di 2000 ragazzi”, Repubblica, 18 settembre.
E ben scritto e documentato ma ha un grave difetto: arriva con molti anni di ritardo. Veladiano afferma che la scuola è il luogo del dialogo dove si costruisce la pace sociale ma, aggiunge, a chi dirige un istituto si continua a chiedere di fare i salti mortali, “ieri ho chiamato in giudizio il Miur e l’ufficio scolastico regionale del Veneto”. La denuncia è precisa: “II 50% delle scuole in Italia ha un preside in reggenza… quasi il 100% nella provincia di Vicenza dove lavoro”. E indignata Veladiano perché il sovraccarico di lavoro riguarda scuole che hanno “triplicato le dimensioni per effetto delle ‘razionalizzazioni’.”
Davvero infelici queste benedette razionalizzazioni, soprattutto se vengono accorpati istituti diversi (licei artistici e istituti tecnici) e molto lontani, a 60 chilometri di distanza. Urge denunciare: impossibile far bene il proprio lavoro. Giusto. Peccato che accorpamenti, razionalizzazioni, e reggenze (“due istituti affidati a un unico preside”) abbiano trovato il massimo sviluppo – e forte giustificazione – negli anni del governo Renzi sempre difeso dalla Veladiano.
INSOMMA, MENTRE il Fatto denunciava la deriva delle “razionalizzazioni” scolastiche, la nostra preside taceva e su Repubblica magnificava la Buona scuola. Oggi si scopre barricadera e attacca il ministero. Benvenuta tra noi. Ma se all’origine dell’indignazione c’è un caso personale (“Quando ho saputo di avere la reggenza in un istituto comprensivo a 60 chilometri di distanza, otto plessi di montagna… ho valutato e infine ho fatto ricorso”)… se la presa di coscienza nasce da interesse personale dopo anni di silenzio (e di inni a Renzi) la protesta perde credibilità. E valore.
Anche perché Veladiano insiste – come vuole la linea editoriale di Repubblica – a indicare il Verbo (“Uno studio della Fondazione Agnelli…”) come unica fonte; intendiamoci: talvolta troviamo qualche dato oggettivo in quelle pagine (“servirebbero almeno 3.600 presidi”) ma all’interno di proposte che esaltano (ancora) le magnifìche sorti e progressive del renzismo.
Come mostra anche l’articolo di Veladiano: “C’è una retorica infelice sui presidi sceriffi… i presidi possono esser bravi oppure no, vale per ogni persona che abbia responsabilità. I cattivi presidi esistono come esistono i cattivi insegnanti”. Troppo facile metterla così, il sofisma, qui, trova spazio nell’occultare il dato più importante: non è in questione la bravura dei presidi (ovvio che ce ne siano di capaci e incapaci), ma il potere che la Buona scuola gli dà: è per gli strumenti abnormi di cui dispongono che vengono definiti “presidi sceriffi”. Veladiano lo sa bene, ma parla d’altro, si chiama malafede.
E allora, se per davvero la scuola deve tornare a essere il luogo del dialogo della formazione dei giovani, facciamola finita con l’accentramento dei poter la scuola azienda, il preside manager l’alternanza scuola-lavoro, eccetera, torniamo allo studio, alle grandi speculazioni teoriche, alle altezze della matematica, alla lettura dei classici, a un scuola che sviluppi la coscienza critica degli studenti.
Se la Fondazione Agnelli e Repubblica non sono d’accordo ce ne faremo una ragione.
https://miur.telpress.it/news/2018/09/19/2018091902216401232.PDF
http://miuraccessibile.telpress.it/viewhtml.php?line=1&contatore=2148&newsTable=news20180917&viewclip=0&provenienza=
https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/non-sono-i-presidi-cattivi-la-buona-scuola-li-ha-resi-cosi/
20 anni di autonomia scolastica: svuotata la dignità lavorativa e sociale dell’insegnante.
di Marco Cerase – 23 febbraio 2018
Il finto sciopero dei ds dell’Anp
Che almeno la scuola pubblica sia un luogo in cui si rende visibile ai ragazzi che collaborare è più bello (e giusto) di obbedire.
“La mia giornata da preside dopo la riforma della scuola”
La scrittrice e preside racconta i limiti della buona scuola: “I super-poteri non miglioreranno l’istruzione”
di Mariapia Veladiano – 20 maggio 2015
Ma di sicuro il preside padrone non può fare una buona scuola. L’articolo 9 del disegno di legge approvato alla Camera mette in fila: a) un compromesso necessario, b) uno scaltro ammiccamento agli elettori travestito da ingenuità, c) una scorciatoia dissennata.Le chiamata diretta (non è assunzione, sono già assunti) riguarda per ora solo i docenti che vanno a costituire l’organico dell’autonomia di un istituto. Capita questo: una parte dei docenti precari che lo Stato deve assumere in seguito alla sentenza della Corte europea del 26 novembre 2014 non potrà entrare a far parte dell’organico delle scuole, perché le loro classi di concorso non sono richieste, ad esempio. Questi entreranno in un albo territoriale da cui i presidi potranno chiamare direttamente quelli che rispondono al bisogno della scuola sulla base del Piano triennale dell’offerta formativa approvato dal collegio dei docenti. Solo questo spiega perché il preside può utilizzare questi docenti su chiamata anche per classi di concorso diverse da quelle per le quali sono abilitati e sulla base di titoli di studio e culturali che assicurino competenze coerenti con l’insegnamento assegnato. Per essere concreti: un insegnante di arte assunto nell’albo territoriale ma non assegnato a una scuola, può avere una certificazione linguistica (C1) oggi ricercatissima alle superiori, per avviare percorsi CLIL (insegnamento di discipline non linguistiche in lingua straniera) obbligatori, ma per i quali le scuole ancora non hanno le competenze necessarie. Un docente di questo tipo può entrare a far parte dell’organico dell’autonomia.
Il Trentino conosce dal 2006 la chiamata diretta per una quota del 4 per cento dell’organico. Interessa gli specialisti di lingua straniera e si tratta di un’esperienza positiva, che ha richiesto saggezza e capacità organizzativa alle scuole, ha portato qualche conflitto, ma positiva. Poi, però, si tratta di capire quale sarà la direzione di questo meccanismo (transitorio?). Le graduatorie territoriali (nelle quali confluirebbero, se si capisce bene, anche i docenti che chiedono trasferimento da altre regioni) vanno a sparire man mano che i docenti sono assunti in organico oppure la direzione è inversa, e il reclutamento su chiamata, sia pure dopo concorso, sarà la norma nel futuro? Non si sa, ma qui si gioca un’idea di scuola.
Quanto alla disposizione che vieta l’assunzione su chiamata di parenti e affini, è una scaltrissima mossa politica. È ovviamente illegittima, destinata a essere fulminata al primo ricorso, ma intanto fa passare l’idea che i presidi tutti o una bella parte di loro sono nepotisti e della scuola non si curano, e chi l’ha proposta può ben dire agli elettori io ci ho provato ma la legge ipergarantista mi ha stoppato.
Una scorciatoia dissennata è invece la norma sulla valutazione dei docenti. Valutare non è buttare dalla torre o no. È avere criteri, parametri. Conoscere in anticipo, come si fa con gli studenti, su che cosa si è valutati. Sulla formazione, sui progetti, sui titoli culturali, sulla didattica? Su tutto? Si devono trovare modalità per quanto possibile oggettive e insieme impedire che soldi e merito siano spazzolati solo da docenti che sanno organizzare eventi e costruire progetti, perché quel che un docente deve sopra ogni cosa saper fare è insegnare. Deve essere un bravo insegnante, che appassiona, che si prende cura di tutti. Impensabile che questa delicatissima operazione la faccia il preside insieme a due insegnanti, un genitore e uno studente. C’è un tale insanabile conflitto di interessi, c’è la deriva sottile di rapporti di involontaria piaggeria, c’è un trovarsi (il preside) in una posizione di inutile, in questo caso inutile, potere. I Paesi che valutano gli insegnanti hanno un serio sistema ispettivo che garantisce la terzietà della valutazione. Non esiste scorciatoia rispetto a questo. Bisogna rinunciare, per ora, a valutare tutti e semplicemente dare la possibilità al preside, attraverso procedimenti non bizantini e trasparenti, Fare il preside è un servizio alla comunità civile. Che almeno la scuola pubblica sia un luogo in cui si rende visibile ai ragazzi che collaborare è più bello (e giusto) di obbedire.