di Andrea Gavosto, Il Sole 24 Ore, 13.3.2019
– Che impatto avrà quota 100 sulla scuola? Porterà gli insegnanti a uscire in massa, contribuendo alla fuga dal pubblico impiego di cui si parla tanto in questi giorni? Sarà l’occasione per quel rinnovamento generazionale che spesso esponenti del governo evocano come argomento a favore della misura (uno esce, uno entra) e di cui la nostra scuola ha disperatamente bisogno?
Probabilmente niente di tutto ciò, come suggeriscono i primi dati relativi alle domande di pensionamento per il prossimo anno scolastico.
Quest’anno le domande di cessazione presentate dai docenti della scuola statale entro il 31 dicembre – secondo le regole della legge Fornero e di altre “finestre” pensionistiche – sono state circa 15mila. A queste vanno sommate 16mila domande presentate entro fine febbraio, di cui circa 13mila dovute all’introduzione di quota 100 e le restanti per altre misure (Ape sociale, Opzione donna, Pensione anticipata). Bisogna, infine, aggiungere 5mila pensionamenti d’ufficio per raggiunti limiti di età di docenti. Non sappiamo ancora quante saranno le domande che l’Inps accetterà; in media ogni anno ne vengono respinte il 10-15%. Allo stesso modo, non è ancora dato sapere quante saranno le cessazioni in corso d’anno per motivi diversi dal pensionamento, quali sopravvenuta inabilità, dimissioni volontarie, decessi: in genere, sono circa 2mila. In ogni caso, approssimando, si può stimare che le cessazioni effettive potrebbero essere 35-36mila. L’anno precedente – senza quota 100 – furono in tutto 33mila.
La differenza fra questo e lo scorso anno dovrebbe essere modesta: poche migliaia di unità. Di qui una prima conclusione: quota 100 non avrà una funzione di acceleratore e il suo impatto sulla scuola sarà poco significativo. La ragione è che – a dispetto di quanto affermato dal governo – il “tappo” della legge Fornero, che dal 2012-13 al 2016-17 ha portato un effettivo rallentamento dei pensionamenti degli insegnanti, era già saltato prima di quota 100. D’altra parte, la riforma pensionistica poteva al massimo ritardare di alcuni anni il grande esodo degli esponenti più anziani di un corpo docente che ha un’età media fra le più elevate al mondo: 51 anni nelle primarie, 52 alle medie, 54 alle superiori; le uscite sono ricominciate lo scorso anno.
Ma un’altra più preoccupante conclusione emerge dai dati sui pensionamenti e da quanto avviene sul lato opposto, quello del reclutamento dei nuovi docenti. Si può, infatti, facilmente prevedere che anche il prossimo anno – indipendentemente dal numero di cessazioni – le scuole avranno enormi difficoltà a rimpiazzare chi esce e a dare stabilità alle cattedre negli anni passati occupate da supplenti. Altro che cogliere l’occasione per un profondo rinnovamento: la verità è che da alcuni anni in molte regioni, soprattutto al Nord e al Centro, e per molte materie non si trovano insegnanti con la formazione e i titoli adeguati a occupare le cattedre di ruolo lasciate libere.
Pochi esempi bastano a spiegare questo clamoroso scollamento fra domanda e offerta. Si pensi che a Torino, Milano e Roma sono ormai del tutto vuote le graduatorie provinciali di matematica per le medie e le superiori; lo stesso accade per italiano, storia e geografia alle medie: non proprio materie di secondo piano. Del resto, per l’anno scolastico in corso il Mef aveva autorizzato 57mila assunzioni a tempo indeterminato, ma alla fine ne sono state effettuate meno della metà: per tutte le altre non è stato possibile trovare le persone giuste. Né sarà possibile trovarle per il prossimo anno: come ha ammesso il ministro Bussetti, è troppo tardi per portare a conclusione entro settembre nuovi concorsi. Alla fine, in assenza di docenti di ruolo, le scuole dovranno ricorrere ai precari delle graduatorie di istituto o, sempre più spesso, alla messa a disposizione di personale senza tutte le qualifiche necessarie. Quindi, a dispetto di tutte le promesse di eliminare la “supplentite” e garantire la continuità didattica, il numero impressionante di supplenti – che quest’anno ha sforato quota 160mila – è destinato ad aumentare.
Riassumendo: almeno nella scuola, quota 100 è un falso problema e se n’è discusso fin troppo. Se vogliamo in Italia un rinnovamento dell’insegnamento e della didattica, il problema vero e serissimo è, invece, come reclutare nei prossimi anni i docenti che oggi ci mancano, trovando soluzioni che diano giusti incentivi ai neolaureati (soprattutto nelle discipline matematiche e scientifiche, ma non solo) per intraprendere la carriera dell’insegnamento.
Andrea Gavosto: Direttore della Fondazione Agnelli
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A scuola 36mila cattedre libere ma non è colpa di quota 100 ultima modifica: 2019-03-13T06:07:50+01:00 da