di Sante Pirrami, InfoDocenti.it, 4.5.2020
– La scuola non ha bisogno di pieni poteri, non ha bisogno di leggi speciali, di circolari autoritarie, tutt’altro. La scuola ha necessità di concertazione, di confronto, di condivisione, proprio in momenti così difficili quali sono quelli che, noi tutti, oggi, attraversiamo con il Covid-19. La scuola non è la didattica a distanza tanto meno la valutazione on-line, il lavoro dei docenti non può essere paragonato a un mero lavoro materiale, ha una valenza particolare, affonda le sue radici nell’educazione e nella formazioni dei futuri cittadini. Andiamo per ordine.
L’ultimo decreto scuola (8 aprile 2020 n.22), seppur con deboli paletti, conferisce alle O.M. il potere di derogare da leggi ordinarie e, quindi, dà poteri speciali alla Ministra. Vengono scavalcati sia il CdM (in parte) sia il Parlamento e, nonostante lo stato di emergenza, non c’era e non c’è bisogno di creare una nuova fonte di diritto. Queste procedure rischiano di diventare strutturali anche dopo la fase d’emergenza.
Così con gli ultimi DPCM e l’incarico ai Dirigenti scolastici di attivare la DaD è stato un modo evidente di bypassare lo stesso Collegio dei docenti e la stessa normativa. Nonostante il DPCM del 1° marzo 2020 all’art.4, c.1, lett. d, in un inciso, sull’obbligo della DaD, avesse previsto: “sentito il Collegio dei Docenti”, successivamente cassato dal DPCM del 4 marzo (art.1, c.1, lett. g). Infatti, le attuali fonti normative stabiliscono (D.lgs. 297/1994 e la stessa Legge 107 del 2015 all’art.1 c.14 p.4 riguardo all’elaborazione del PTOF) che il Collegio “ha potere deliberante in materie di funzionamento didattico dell’Istituto…cura la programmazione dell’azione educativa…adegua(re) i programmi”. Procedure come quelle elencate potrebbero inficiare il ruolo dei docenti quale peculiarità nelle scelte didattiche ed educative, al termine della fase emergenziale.
La scuola chiede che sia la Ministra sia i Dirigenti scolastici adottino la metodologia della concertazione e del confronto. Anche in momenti di particolare urgenza, quale la pandemia coronavirus, la Ministra deve convocare e ascoltare le categorie professionali (associazioni qualificate dei docenti, dei DS…) e i sindacati della scuola per concertare misure condivise e discusse in modo democratico con scelte elaborate e partecipate.
Così i DS, in ambito didattico, non possono essere gli unici arbitri e non devono assumere atteggiamenti autoritari, unilaterali, con circolari illegittime, ma devono concertare con i docenti, nel pieno rispetto delle normative vigenti, scelte, decisioni e atti formali. Non vorremmo che, a settembre, sulla falsa riga del Covid-19, i DS, assumessero un ulteriore rafforzamento dei propri poteri declassando sempre di più i docenti anche nell’ambito della libertà d’insegnamento.
Ancora, nel DPCM dell’8 aprile si richiama il “lavoro agile” e lo si paragona in modo improprio, alla didattica a distanza (DaD). Pur nell’eccezionalità dei fatti, occorre una riflessione: se il lavoro a distanza degli insegnanti con i loro studenti dovesse essere paragonato, nella cornice giuridica, al lavoro agile della Pubblica Amministrazione (vedi per la scuola il personale ATA), allora avremmo compiuto un grave errore: l’aziendalizzazione della scuola, e non solo, ma della stessa relazione educativa. Attualmente in Italia il lavoro agile è definito giuridicamente dalla legge 81 del 22 maggio 2017, “come scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro…anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli d’orario o luogo di lavoro”. In sintesi, una performance individuale, una prestazione lavorativa autogestita, una modalità di esecuzione a distanza con l’utilizzo di strumenti tecnologici, mediante accordo tra le parti, allo scopo di incrementare la competitività” (capo II, art. 18).
Comprendiamo, anche, che un decreto legge intenda normare, in via eccezionale, la situazione contingente, affinché si assicuri il diritto allo studio dei giovani e l’attività lavorativa e organizzativa degli insegnanti. Ma nei limiti temporali di una situazione contingente, che non può assolutamente configurare, per la scuola, alcuna ipotesi di lavoro diverso dalla presenza in essere. La scuola non produce oggetti, né cose, forma “teste ben fatte”, futuri cittadini. E’ l’istituzione più importante del nostro tessuto repubblicano, quello dove la Costituzione stessa si incardina.
Se la DaD non fa parte del sistema scuola, tanto meno ne farà parte la valutazione a distanza. Alcuni modelli di valutazione che circolano sono a dir poco “creativi” e alterano il rapporto docente-studenti, oltre che essere illegittimi e inopportuni: non è pensabile valutare conoscenze e capacità, se non è possibile garantire la necessaria vigilanza né la privacy sia degli alunni sia dei docenti.
Tutta la normativa scolastica prevede l’obbligo della vigilanza durante le prove, sia scritte sia orali, ed è evidente che essa non è garantita con prove a distanza. Il che non significa che non vi sia un ritorno: lo sono le domande, le osservazioni critiche, la puntualità, l’impegno nello svolgimento dei compiti assegnati. Chiedere, oggi, come fanno alcuni Dirigenti scolastici, di mettere voti a distanza, significa umiliare la professionalità dei docenti e svalutare lo stesso lavoro degli studenti.La scelta, quindi, è rimessa alla discrezionalità e professionalità del docente e del Consiglio di classe (D.Lgs n.62 del 2017) e non può essere imposta dal Dirigente scolastico.
Prof. Sante Pirrami – Fossato di Vico (PG)
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
Alcune riflessioni sulla scuola, al tempo del Covid-19 ultima modifica: 2020-05-04T13:49:02+02:00 da