Alunni stranieri e integrazione. L’Ocse promuove (a metà) l’Italia

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di Orsola Riva,  Il Corriere della Sera  20.11.2015.  

Gli immigrati di seconda generazione mostrano un senso di appartenenza quasi uguale a quello dei loro coetanei italiani. In Francia invece il tasso di alienazione è altissimo. Ma molto c’è ancora da fare per recuperare il gap e la confidenza dei neo arrivati

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In questi giorni difficili, in cui il rischio che qualcuno tenti di fomentare paure e diffidenze reciproche sulla scia degli attentati di Parigi è altissimo, fa piacere leggere che l’Italia è uno di quei Paesi in cui l’integrazione scolastica tutto sommato funziona. Soprattutto se si guarda non tanto e non solo ai risultati in matematica e in italiano (dove gli immigrati continuano a scontare un evidente ritardo sui loro coetanei italiani) ma al senso di appartenenza dei ragazzi «stranieri» alle nostre scuole.

Prime e seconde generazioni

Secondo un recente studio pubblicato dall’Ocse, l’Italia figura fra quei Paesi (gli altri sono la Norvegia, la Spagna, la Svezia e la Svizzera) dove gli immigrati di seconda generazione – quelli cioè nati in Italia – mostrano un attaccamento alle istituzioni scolastiche quasi uguale a quello dei loro coetanei italiani «al cento per cento» (74,2% contro il 77,8%). Certo siamo distanti da Paesi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti dove gli ultimi arrivati sono anche quelli che manifestano un maggior senso di appartenenza, superiore perfino a quello di chi in quei Paesi ci è nato (rispettivamente 84,1% e 86,8%). Da noi, al contrario, gli alunni arrivati in un secondo momento, magari in quell’età già difficile di suo che è la prima adolescenza, sono anche quelli che scontano il maggior gap nelle competenze scolastiche e che si sentono meno a loro agio in classe (solo il 69,1%). Ma almeno non succede come in Francia dove gli alunni di seconda generazione – quelli nati e cresciuti nelle banlieues – mostrano un tasso altissimo di alienazione: il loro senso di appartenenza crolla al 39,5%, anche se va detto che pure i figli e nipoti di francesi doc sono fermi al 48,5%.

Il ritardo dei prof italiani

Spiega da Parigi la ricercatrice Ocse Francesca Borgonovi: «In Italia nel 2012 – anno dell’ultima rilevazione Pisa sulle competenze dei quindicenni – gli studenti con un background d’immigrazione erano il 7,5%. Se è vero che tale percentuale è inferiore alla media Ocse, tra il 2003 e il 2012 è cresciuta di 5 punti percentuali, uno degli aumenti maggiori tra i Paesi che hanno preso parte al test. L’Italia ha poca storia ed esperienza nell’integrazione di studenti “stranieri”: lo ammettono anche gli insegnanti. Secondo lo studio Talis, più di un professore su quattro (il 27%) dice di sentire l’esigenza di ricevere un supporto per sviluppare le sue capacità didattiche sotto questo aspetto. Nei Paesi Bassi e in Australia, invece, meno del 5% degli insegnanti si dichiara in difficoltà a fronteggiare la multiculturalità in classe».

I «nuovi italiani»

Molto insomma resta ancora da fare per recuperare il gap sia delle competenze che del senso di appartenenza per gli immigrati di prima generazione. Anche se un primo passo in questo senso è stato fatto dal governo con l’introduzione di una nuova classe di concorso per docenti di lingua italiana L2 – professori, cioè, specializzati nell’insegnamento dell’italiano agli stranieri. «Le scuole – nota Francesca Borgonovi – hanno poca esperienza e capacità nel favorire l’integrazione di questi ragazzi. E mentre i “second generation” che hanno 15 anni sono ancora pochi in Italia, sono tanti proprio i nuovi immigrati». Ma è già confortante sapere che, benché non riusciamo ancora a intervenire con la necessaria tempestività per aiutare i neo arrivati a inserirsi con profitto a scuola, i «nuovi italiani» hanno davvero già il «passaporto» italiano. Gli manca solo la carta d’identità.

Alunni stranieri e integrazione. L’Ocse promuove (a metà) l’Italia ultima modifica: 2015-11-20T21:09:34+01:00 da
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