di Caterina Belloni, Il Corriere della Sera 2.6.2016
– Dove ci sono più studenti europei le performance scolastiche sono migliori. Merito dell’effetto emulazione: gli alunni comunitari vanno meglio perché hanno genitori più attenti. E le famiglie inglesi corrono ai ripari pungolando i proprio figli a fare meglio
Chi in Gran Bretagna sostiene l’idea di votare per l’uscita dall’Unione europea ma ha figli in età scolare, sappia che potrebbero esserci delle ripercussioni. Perché rendendo più difficile l’accesso degli immigrati dall’Ue, la qualità delle scuole frequentate dai loro pargoli rischia di diminuire. A sostenerlo è una ricerca realizzata da School Dash, sito che si occupa di comparazioni, statistiche e indagine analitiche sul mondo dell’istruzione. La responsabile della ricerca, la dottoressa Timo Hannay , ha preso in analisi le scuole primarie con un alto numero di studenti bianchi, non inglesi o irlandesi, e ha valutato il loro impatto sulle classi. Che è risultato sempre più che positivo, nel senso che gli allievi che hanno una lingua d’origine diversa, non solo vanno bene a scuola ma determinano spesso risultati migliori anche tra i loro compagni.
Studenti comunitari migliori anche nello spelling
Come mai? Da una parte perché spesso portano alla scuola inglese le conoscenze che derivano dai loro studi all’estero, anche se si tratta di elementi basilari di matematica e scienze, ad esempio. Poi perché l’impegno di questi allievi negli studi risulta superiore rispetto a quello della media dei bambini inglesi e quindi serve da sprone. Sarà colpa del fatto che i genitori puntano molto sull’educazione o forse dell’abitudine a prendere la scuola come una cosa seria, ma di fatto i ragazzini figli di immigrati dimostrano puntiglio e arrivano a risultati migliori, persino nello spelling, cioè nell’esercizio di scrivere correttamente le parole inglesi, che per loro dovrebbe essere ostico.
Il record di Londra
Secondo la ricerca, che ha preso in esame più di 20mila scuole in tutto il paese, dunque, quasi dappertutto gli istituti caratterizzati da un numero superiore di allievi figli di immigrati hanno raggiunto livelli migliori di apprendimento. Certo la percentuale delle presenza conta. Se secondo le statistiche tra il 2011 e il 2015 il numero dei bimbi bianchi non anglosassoni è aumentato in media dell’1,2 per cento nelle scuole, ci sono zone dove la percentuale ha toccato il 30 per cento in più. Ed è qui che l’analisi si è fatta più accurata e ha fornito i dati più interessanti. Sintomatico, in questo senso, il caso di Londra, dove i giovani di origine non anglosassone sono più numerosi e spesso, visto che provengono da famiglie ben educate e di un buon livello culturale, riescono ad apportare ricchezza al lavoro in classe.
La rincorsa delle famiglie inglesi su quelle europee
L’altro aspetto riguarda le famiglie. Secondo gli esperti che hanno condotto l’indagine, infatti, i genitori inglesi non aiutano o non seguono negli studi i loro ragazzi, tanto quanto quelle dei compagni provenienti da altri paesi dell’Unione europea. I piccoli britannici così finiscono per fare brutta figura di fronte all’insegnante. Fino a quando non nasce in loro il desiderio di lavorare di più e rimettersi alla pari. Un ragionamento condivisibile, che secondo Timo Hannay, dovrebbe far riflettere le famiglie anche in vista del voto del referendum. Nell’orizzonte dell’istruzione britannica, che da tempo si interroga su risultati e graduatorie internazionale, il valore aggiunto di piccoli stranieri che aiutano a lavorare di più i ragazzini autoctoni sembra risultare evidente. Anche se, e l’esperienza italiana insegna, non sempre l’idea di una classe delle elementari con tanti stranieri entusiasma le famiglie.