TuttoscuolaNews, n. 699 del 29.6.2015.
Si è spesso preso a prestito il titolo di un classico film del 1946, ‘Il volto e l’anima’ (con Bette Davis che interpreta entrambi i personaggi di due gemelle identiche nel volto ma profondamente diverse nell’anima), per descrivere situazioni di contrasto tra l’apparenza esterna e la reale natura, identità, vocazione di un soggetto umano, o anche di un artefatto culturale come può indubbiamente essere considerata una legge.
Se applichiamo l’immagine al Ddl Buona Scuola troviamo che il volto della scuola italiana – il modello organizzativo, la sua struttura esteriore – presenta un certo numero di novità, soprattutto in termini di maggiore autonomia e responsabilità delle scuole e dei loro dirigenti nella gestione dell’offerta formativa, ma che assai poco di concreto la nuova legge dice della sua anima, cioè della sua attitudine/idoneità ad affrontare i problemi di fondo che la zavorrano anche nei confronti internazionali: dispersione, forti dislivelli territoriali e per tipo di scuola, mediocri performance medie degli studenti, edilizia ottocentesca.
Il fatto è che, malgrado le apprezzabili finalità enunciate in astratto fin dal comma 1 (ex art. 1) della legge (“affermare il ruolo centrale della scuola nella società della conoscenza e innalzare i livelli di istruzione e le competenze delle studentesse e degli studenti, rispettandone i tempi e gli stili di apprendimento, contrastare le diseguaglianze socio-culturali e territoriali, prevenire e recuperare l’abbandono e la dispersione scolastica, in coerenza con il profilo educativo, culturale e professionale dei diversi gradi di istruzione, realizzare una scuola aperta, quale laboratorio permanente di ricerca, sperimentazione e innovazione didattica, di partecipazione e di educazione alla cittadinanza attiva, garantire il diritto allo studio, le pari opportunità di successo formativo e di istruzione permanente dei cittadini”), mancano le scelte di fondo che possano tradurre tali finalità in risultati concreti.
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