Che cosa ci dicono le iscrizioni: la crisi degli Istituti Professionali

di Mauro Piras, Condorcet, 15.2.2019

– Si sono chiuse da poco le iscrizioni per il prossimo anno scolastico, e il Miur ha pubblicato i primi dati, commentando come sempre quelli sulle scuole superiori. Per fortuna non c’è stato un calo di iscrizioni al Liceo Classico (anzi, sono leggermente aumentate), così ci siamo risparmiati la consueta sequela di lamentazioni sulla crisi della cultura umanistica, della scuola italiana, della civiltà occidentale tutta. Per quest’anno i vecchi tromboni, accademici e non, tacciono soddisfatti della vittoria ottenuta con le loro campagne mediatiche. L’effetto collaterale, però, è che nei media nazionali non si è parlato proprio di come sono andate le iscrizioni. Che cosa vuol dire questo? Una cosa molto grave: per l’opinione pubblica, per la politica e la “cultura” i problemi della scuola sono, per metonimia, i problemi del Liceo Classico: se questo è nei guai, allora la scuola è nei guai e bisogna parlarne, altrimenti pace, tutto bene. E invece non è affatto così. Diverse cose vanno male, e molto.

Cosa dicono i dati? Continua la tendenza all’aumento delle iscrizioni nei Licei in generale, che arrivano al 55,4% degli iscritti. Tra gli Istituti, anche i Tecnici aumentano leggermente, arrivando al 31%, mentre i Professionali arretrano ancora rispetto agli anni precedenti, scendendo al 13,6%. Dentro i Licei, lo Scientifico è il più scelto, ma in leggero calo (25,5%), cresce l’opzione Scienze applicate (8,6%, contro il 15,4% dell’ordinario); cresce anche il Liceo delle Scienze Umane (8,3%), mentre è stabile il Linguistico (9,3%). Tra i Tecnici è stabile il Settore economico (11,4%), mentre cresce il Settore tecnologico (19,6%). Non ci sono ancora dati disaggregati per i Professionali.

Come valutare queste tendenze?

Una prima cosa generale: il costante aumento, da alcuni anni, dei Licei non è un segno positivo. Rivela due cose: da un lato, aumentano sempre di più gli studenti che, dopo il diploma, decidono di continuare gli studi; dall’altro, il mercato del lavoro garantisce pochi sbocchi a chi ottiene un diploma di Istituto Tecnico o, soprattutto, Professionale.

La prima tendenza è in sé positiva, ma si trasforma in un aumento delle iscrizioni ai Licei perché il nostro sistema di istruzione non è ancora stato capace di sviluppare un livello terziario post-diploma diverso dall’Università: da noi, “continuare gli studi dopo il diploma” vuol dire quasi solo fare l’Università, perché gli Istituti Tecnici Superiori sono ancora pochissimi e poco sviluppati. Se invece ci fosse un forte sviluppo dell’istruzione tecnica superiore, di terzo livello, allora la formazione tecnica in generale ne sarebbe rafforzata.

La seconda tendenza è ovviamente negativa: se l’istruzione tecnica e professionale non garantisce rapidamente un posto di lavoro, tanto vale, per famiglie e studenti, scegliere la formazione liceale che, come si dice, “apre più possibilità”. Insomma, l’aumento dei Licei è un segno del persistente scollamento tra scuola e mercato del lavoro.

Seconda cosa: il Liceo di riferimento della scuola italiana è ormai il Liceo Scientifico, che raccoglie più iscritti tra tutte le scuole superiori. Notifichiamolo ai Soloni della cultura: se devono parlare di un liceo, che parlino di questo. Più seriamente: questo vuol dire che è importante migliorare e rafforzare questo indirizzo, interrogandoci sulla didattica della Matematica, per esempio; e anche riflettendo sulla natura dell’opzione Scienze applicate, in costante crescita. Anche qui va fatta un’operazione culturale: bacchettare tutti i giornalisti, letterati ecc. che lo definiscono “lo Scientifico senza il Latino”, e iniziare a chiamarlo “lo Scientifico con l’informatica”, per esempio. In ogni caso, lavorare sull’irrobustimento e l’omogeneità della formazione scientifica.

Quanto agli altri licei, uscire una volta per tutte dalla visione gerarchica (per cui di fatto nella scuola italiana ci sono quattro ordini di scuole: i licei “nobili”, i licei minori, i tecnici e i professionali) e dare loro una dignità culturale che si stanno conquistando. Per citare solo il caso del Liceo delle Scienze Umane, in crescita: una società moderna ha bisogno di competenze tanto in ambito pedagogico, psicologico e sociologico, quanto in ambito economico e giuridico; e queste competenze sono strutturali, per le società moderne. Quindi questi non sono “licei di serie B”, ma sono una parte fondamentale dello scheletro formativo e produttivo del Paese.

Infine, il vero problema che emerge da questi dati, un problema enorme: la crisi degli Istituti Professionali. Ora sono ridotti a circa il 13,6% degli iscritti, mentre nel 2014-15 erano ancora al 19,4%: una caduta di quasi sei punti percentuali in cinque anni, con un crollo in particolare dal 2016-17 (17,5%) al 2017-18 (15,1%). Questa è la vera crisi delle scuole superiori italiane, quella che rivela che cosa siamo e come trattiamo la scuola e i nostri figli, altro che storie sul Liceo Classico. Gli Istituti Professionali crollano perché non garantiscono più sbocchi di lavoro immediati, cioè sono del tutto inadeguati a svolgere la loro funzione; le famiglie e gli studenti allora, in modo del tutto razionale, li evitano sempre di più, perché sanno che vengono considerati scuole di serie C (se non addirittura D, vedi sopra), in cui il sistema scolastico scarica tutte le difficoltà (disagio sociale, disabilità, bisogni educativi speciali di ogni genere), in cui si concentrano le classi sociali più svantaggiate, in cui l’orientamento approssimativo fatto alle medie manda i più pigri e impreparati, in cui il corpo docenti cambia più frequentemente, perché i docenti cercano di fuggire appena possono. E perché i professionali sono scollati dal mercato del lavoro? Perché si sono troppo licealizzati, negli ultimi anni. L’ultima riforma (D.Lgs. 61/2017) cerca di invertire questa tendenza, e ne migliora l’impianto didattico, ma è un percorso appena avviato. Invece, come sistema-Paese, dovremmo interrogarci su una prospettiva ben più generale: dovremmo pensare a un sistema di Istruzione e Formazione Professionale robusto, diffuso e omogeneo su tutto il territorio nazionale, che garantisca la vera filiera professionale, collegandosi ai diversi livelli di apprendistato. E forse, in prospettiva, abbandonare il modello degli Istituti professionali, che non sembrano resistere. Ma proporre queste riforme pratiche, legate al rapporto concreto tra istruzione e mercato del lavoro, in Italia rasenta l’utopia.

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Che cosa ci dicono le iscrizioni: la crisi degli Istituti Professionali ultima modifica: 2019-02-17T19:02:14+01:00 da
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