Come vivere da insegnanti europei

laletteraturaenoi_logo2

di Stefano Rossetti, La letteratura e noi, 16.6.2025.

L’esame di Stato e la professionalità di chi insegna.
Collegialità, valutazione, cultura e burocrazia, lo specchio dell’esame. 

Gilda Venezia

Una premessa culturale e una economica

Dopo aver indicato la direzione di un cambiamento possibile per la prima parte del percorso educativo e formativo dell’istruzione italiana con le Nuove Indicazioni Nazionali, c’era solo da aspettare, sicuri che presto sarebbe toccato alla scuola secondaria superiore. Così, non credo che nessuno si sia stupito nell’apprendere che dal prossimo anno l’esame cambierà, spostando la sua attenzione dagli apprendimenti alla persona: questo infatti, l’obiettivo di un esame che tornerà a menzionare nel suo nome l’idea di “maturità”, centrale in un mondo che sottrae alle persone giovani responsabilità e talenti; e la sostituirà a quella di “Stato”, inquietante e fredda, che come la Storia del Novecento ci insegna cancella il valore dell’individuo per schiacciarlo sotto il peso di valori e ordini precostituiti.

Ironia a parte, l’orizzonte di questo spostamento verso una precaria concezione di “persona” e il contemporaneo abbandono della sfera collettiva dello “Stato” è già stato ampiamente esplorato, anche in queste pagine, a partire da quanto hanno scritto Daniele Lo Vetere e Stefania Melotto.

Di mio, in questa piccola riflessione, vorrei aggiungere qualche dato di esperienza, acquisito nei molti anni in cui ho vissuto l’esame conclusivo fuori dalle rassicuranti mura della mia scuola, incontrando – in particolare come presidente di commissione – altre situazioni, realtà, pratiche. Ne ho tratto due constatazioni che, per quanto semplici, non mi sembrano scontate: le pongo quindi come premesse generali del discorso.

La prima è che rivestire il ruolo di presidente di commissione all’esame di Stato, ma più in generale fare parte di una commissione in qualità di commissario, costituisce una delle massime sfide culturali per la professionalità di chi insegna.

La seconda è che è si tratta di una prestazione ben retribuita: soprattutto per i presidenti (sicuramente con contratto a tempo indeterminato, e con un’anzianità minima di dieci anni) i venti giorni circa dell’attività sono gli unici in cui non ci si può lamentare di non percepire uno stipendio europeo. Al contrario, si occupa una posizione decisamente alta nella classifica continentale delle retribuzioni.

Nessuna scusa, quindi, e nessun alibi per le indubbie difficoltà cui l’esame può mettere – e effettivamente spesso mette – di fronte.

Dare un senso alla collegialità

Per ogni commissione, e dunque in primis per chi organizza, coordina e presiede le attività, la prima esigenza è attivare e mantenere vive dinamiche di confronto approfondito, mediazione e condivisione: nella progettazione di ogni momento dell’esame, nell’attuazione di quanto si è pensato, nella valutazione e rendicontazione sociale e burocratica di quanto è stato fatto. Tutto questo, però, va costruito in pochi giorni, e con un’intensità particolare sin dal primo incontro (alzi la mano l’insegnante di esperienza cui non è mai capitato di capire, nella riunione preliminare, che sarebbe andato incontro a un brutto esame; o, al contrario, di aver capito immediatamente che qualsiasi difficoltà sarebbe stata affrontata e risolta insieme). La qualità del dialogo, nelle proposte dei singoli come nelle risposte e nella partecipazione il più larga possibile di tutte le persone che fanno parte del gruppo, è responsabilità precisa di chi presiede il lavoro e lo organizza. Sotto questo profilo, una commissione non è che un consiglio di classe; ma la sua formazione, contrariamente a quanto accade per quest’ultimo, non dispone di mesi a anni per consolidarsi nel rispetto reciproco e nell’ascolto costruttivo. Tutt’altro, dispone di pochi giorni ed è esposta a rischi ben più gravi. Se, infatti, un ipotetico consiglio di classe può funzionare, almeno in una prima fase, per singole componenti, talvolta seguendo dinamiche di individualismo spinto, in sede d’esame di Stato questo non è mai possibile: “collegialità”, infatti, non è semplicemente una parola o una lontana aspirazione, come purtroppo a volte succede nell’attività regolare di un anno scolastico. Ѐ invece una norma di legge, in un susseguirsi di operazioni in cui gli spazi per gli individui singoli sono ridotti, a confronto dei momenti di correzione, valutazione, revisione, ratifica strettamente comuni e collegiali. Naturalmente non è esclusa a priori la possibilità che di un lavoro teso al dialogo e alla condivisione si dia un’interpretazione distorta e fuori dalla legge; ma se questo accade è facile individuare il/ la responsabile: chi presiede i lavori della commissione.

Un punto, in particolare, evidenzia questa responsabilità: la capacità di costruire dentro il gruppo di lavoro dinamiche che conducano a decisioni unanimi. Non si tratta ovviamente di un espediente tecnico, perseguito da molte persone come primo antidoto contro eventuali ricorsi. Si tratta di una sorta di imperativo morale: cercare, di fronte a situazioni di divisione e talvolta di rottura all’interno della commissione, spesso sollecitate da casi veramente difficili e da veri e propri dilemmi etici, di non accontentarsi di registrare le distanze tramite il meccanismo della prevalenza di una “maggioranza”, ma di trovare un punto di reale mediazione culturale, didattica, valutativa.

Una pratica difficile; ma, appunto, lo stipendio europeo bisognerà pur guadagnarselo.

Interrogarsi sulla valutazione

Tanto è semplice il percorso verso un unanimismo di facciata, assunto per lo più in chiave di autodifesa e di individualismo, quanto è difficile costruire in poco tempo un’unanimità intesa come condivisione di decisioni discusse e meditate, frutto magari di un confronto serrato e franco di posizioni diverse. Tuttavia, una simile affermazione forte della dignità etica e professionale di ciascuna e ciascuno di noi, culminante nell’espressione di “sovranità” che caratterizza le decisioni di una commissione d’esame (come dovrebbe peraltro segnare anche quelle di ogni consiglio di classe), è un passaggio necessario perché il lavoro di una classe/ commissione assuma un valore autentico e essa parli con una voce sola.

In questa prospettiva, la cartina di tornasole è costituita dalla valutazione delle singole prove e dell’esame nel suo insieme. Decisivo, come sempre, risulta l’operato di chi presiede, che in questo caso consiste nell’assumere uno sguardo globale, aperto sia in direzione delle conseguenze future delle decisioni  che si assumono, sia in direzione opposta, nella costruzione di una continuità fra gli atti e le scene precedenti della vicenda – gli anni del percorso scolastico, le tappe fondamentali e le decisioni assunte dal consiglio di classe, descritte succintamente nel Documento del 15/ 5 – e il segmento che questa vicenda la conclude e ne sanziona l’esito complessivo.

Come per ogni azione didattica di cui faccia parte la dimensione collegiale, c’è differenza fra sommatoria – svolgere le operazioni d’esame come se nulla fosse esistito in precedenza, tranne il punteggio di credito ereditato dall’istituzione scolastica – e integrazione – muoversi nel tentativo talvolta periglioso di cercare una coerenza fra il cammino che la candidata e il candidato hanno percorso fino all’esame e quello che percorreranno insieme alla commissione. Tuttavia, se correttamente interpretata, la logica dell’esame consente lussi impossibili durante l’attività curricolare. La riunione preliminare e l’ampia possibilità di raccontare e motivare le scelte effettuate nel corso degli anni da parte dei docenti di classe; la dimensione collegiale della correzione e della valutazione degli scritti; la presenza di numerosi momenti di verifica e ratifica intermedia degli esiti delle prime due prove; la preparazione, la somministrazione e il giudizio sul colloquio orale; lo scrutinio finale: sono le tappe di un lavoro breve ma intensissimo di condivisione e corresponsabilità. Tutto il contrario di un esame concepito a sé stante, come purtroppo ancora molte e molti di noi docenti lo pensano e cercano di praticarlo. O, peggio, di un esame della scuola da parte degli esterni. O, peggio del peggio, di un esame del docente di materia da parte del docente esterno della stessa materia.

Naturalmente, al di là di queste clamorose situazioni determinate dall’ignoranza, dal pregiudizio e dalla mancanza di professionalità, possono sorgere e sorgono in effetti difficoltà vere. Penso in particolare a due situazioni.

La prima si verifica quando accade che un consiglio di classe, per evitare di assumere decisioni chiare e di assumersene la responsabilità, come nel caso di una non ammissione all’esame, preferisce affidarsi alla clemenza della corte, scaricando su commissari interni e esterni il peso di scelte che avrebbe dovuto compiere in prima persona. Oppure alla situazione, non infrequente, in cui si registri, per un qualsiasi motivo, una forte discrepanza fra le valutazioni disciplinari di chi ha insegnato nella classe e quelle di chi subentra come commissario esterno.

Di fronte a simili situazioni non esiste una soluzione preconfezionata e sempre valida; di nuovo, è soprattutto chi presiede a dover dimostrare se merita veramente uno stipendio europeo, sapendo creare le condizioni perché l’eventuale difficoltà si affronti e si risolva insieme.

Mettere nel giusto ordine cultura e burocrazia

Un’ultima questione mi sembra rilevante, sulla strada per costruire un esame significativo: la capacità di presidente e commissione di dare un contenuto culturale, un indirizzo didattico chiaro, alle operazioni che svolgono durante i giorni dell’esame. Si tratta di una capacità che porta con sé, in chi l’esame lo sostiene, la consapevolezza di aver affrontato una prova fattibile, coerente con il percorso svolto in precedenza, commisurata alle proprie reali attitudini e possibilità, valutata in modo equo, non punitivo né episodico.

In questa prospettiva, sia detto senza alcuna ironia, è di grande aiuto il verbale precompilato su Commissione Web. Esso evita infatti anche al presidente e al verbalista più distratto di dimenticare qualcosa di importante, perché ripete e ricorda fino alla nausea le tante incombenze, più o meno essenziali, legate alle operazioni d’esame.

Poi, ovviamente, la differenza la fanno le persone, come ricorda il vangelo dell’insegnante: non è l’uomo a essere fatto per il verbale, ma il verbale per l’uomo. Il/ la verbalista, ruolo non certo ambito all’interno del gruppo di insegnanti che formano la commissione, dovrebbe, in questo senso, lavorare mentre le cose avvengono, non dopo che sono avvenute; e del testo del verbale dovrebbe sentirsi responsabile non solo chi lo firma, ma tutta la commissione. Perché in quella sintesi c’è il lavoro di tutte e tutti coloro che ne fanno parte.

Del verbale, sono parte integrante e testimonianza fondamentale di professionalità e competenza soprattutto le registrazioni dei confronti effettuati su alcune scelte cruciali, per l’indirizzo culturale che si intende dare all’esame, o al contrario per l’idea purtroppo diffusa che li si possa interpretare come incombenze burocratiche e adempimenti privi di significato: il confronto e la discussione sulle caratteristiche di ciascun gruppo classe, della sua storia e delle decisioni dei consigli di classe; la scelta dei criteri di valutazione delle prove scritte; le scelte relative all’impostazione e allo svolgimento del colloquio; l’attenzione dedicata ai momenti di ratifica e alla collegialità di ogni singola operazione che si svolge.

La scuola nello specchio dell’esame

Ogni singolo momento dell’esame rispecchia dinamiche e direzioni istituzionali generali, che negli ultimi anni hanno assunto velocità e dimensioni crescenti.

La collegialità è sempre più citata, sempre meno praticata. Anzi, sono in azione potenti forze che spingono chi insegna a assumere posizioni individualistiche e a mettersi in competizione con le altre persone della comunità. Lo stesso atteggiamento si registra non di rado nei rapporti fra le scuole, spesso in competizione fra loro sul “mercato” (metafora terribile quanto vera).

La valutazione è oggetto di atteggiamenti ideologici e polarizzati, spesso frutto di semplificazioni e scorciatoie. Gli stessi momenti di valutazione collegiale (penso a alcuni recenti consigli di classe nei quali sono stato impegnato) non sono sempre nutriti da un reale confronto sulle persone, al di là dei numeri e delle statistiche.

La burocrazia, sempre più alimentata dalle divinità tecnologiche che abitano le nostre scuole, tende a semplificare questioni complicate, tradurre in senso quantitativo ogni problema qualitativo, impegnare energie e tempo per risolvere problemi fittizi che ci siamo creati da soli, dando vita a procedure, scadenze, obblighi di cui non c’è traccia né bisogno nei testi di legge.

Su questi versanti dobbiamo impegnarci, per costruire una scuola differente.

Possiamo cominciare a farlo oggi, affrontando con tutta l’onestà intellettuale e la professionalità di cui siamo capaci la sfida di un esame che è una bellissima espressione della dimensione pubblica, collettiva, condivisa, della scuola.

Buon esame a tutte e tutti noi.

(l’illustrazione che accompagna l’articolo è di Stefania Melotto, che ringraziamo)

.

.

.

.

.

.

.

.

 

Come vivere da insegnanti europei ultima modifica: 2025-06-24T13:01:39+02:00 da
WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com

GILDA VENEZIA - Associazione Professionale GILDA degli INSEGNANTI - Federazione Gilda Unams

webmaster: Fabio Barina



Sito realizzato da Venetian Navigator 2 srl