di Lara La Gatta, La Tecnica della scuola, 10.10.2018
– L’aspettativa retribuita in caso di ammissione a corsi di dottorato di ricerca, prevista dall’art. 2 della legge 13/8/1984 n. 476, come modificato dall’art. 52, comma 57, della legge 22/12/2001 n. 448, è stata riservata dal legislatore al rapporto a tempo indeterminato, come si desume dal riferimento alla prosecuzione del rapporto, per un periodo minimo di durata, dopo il conseguimento del dottorato. La limitazione agli assunti a tempo indeterminato non contrasta con il principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE nel caso in cui non vi sia compatibilità fra la condizione risolutiva prevista dallo stesso art. 2, giustificata da una legittima finalità, e la durata del contratto a termine, tale da non consentire, dopo il conseguimento del dottorato, la prosecuzione almeno biennale del rapporto.
Questo è il principio di diritto contenuto nella sentenza n. 3096/2018, con la quale la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del MIUR contro la sentenza della Corte d’Appello che aveva riconosciuto il diritto di un insegnante, assunto a tempo determinato per una supplenza annuale, a fruire – durante il congedo straordinario per un dottorato di ricerca ex art. 2 L.476/ 1984 – della conservazione del trattamento economico, previdenziale e di quiescenza, sulla base del principio di non discriminazione tra lavoratori con contratto di lavoro a tempo indeterminato e quelli con contratto a tempo determinato.
La Cassazione ha invece ribaltato la decisione, precisando che la legge 448/2001, nella parte in cui prevede il diritto anche alla conservazione del trattamento economico, non è compatibile con il rapporto a tempo determinato, posto che nel caso di specie quest’ultimo sarebbe scaduto a giugno 2008, ben prima del conseguimento del dottorato di durata triennale.
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