di Carlo Dell’Aringa, La Voce.info, 1.12.2017
– Governo e sindacati hanno trovato l’accordo sull’aumento di 85 euro mensili da concedere ai pubblici dipendenti nel triennio 2016-2018. Ma non per questo la firma è dietro l’angolo. Perché le questioni da definire sono tante, specie sulla parte normativa.
Quante risorse per il rinnovo
Governo e sindacati hanno trovato un accordo sugli aumenti retributivi da concedere ai pubblici dipendenti nel triennio 2016-2018. Si tratta di 85 euro mensili che, calcolati sulla retribuzione media di tutti i lavoratori del settore (oltre tre milioni) corrisponde a un aumento, complessivo e a regime, del 3,5 per cento.
Se l’incremento fosse stato calcolato, così come si è fatto in passato, sull’aumento dei prezzi previsto per il triennio di riferimento non avrebbe raggiunto il 3,5 per cento perché si prevede che l’inflazione sarà inferiore.
Ma il governo ha tenuto conto di due ulteriori elementi per andare incontro alle aspettative dei lavoratori e alle richieste sindacali.
Primo: l’aumento di 85 euro è grosso modo in linea con i miglioramenti retributivi concessi nei recenti rinnovi contrattuali del settore privato.
Secondo: gli stipendi del personale pubblico sono rimasti fermi dal 2010. In alcuni anni le retribuzioni di fatto sono persino diminuite a causa della contrazione delle componenti accessorie (che sono state generalmente ridotte in sede di singola amministrazioni). Di fatto sono saltati due rinnovi dei contratti nazionali. Per questo motivo i sindacati sono solo parzialmente soddisfatti della soluzione trovata, che peraltro è arrivata dopo trattative che sono durate quasi tre anni.
Va ricordato che l’impegno finanziario per il nuovo contratto è consistente, considerati i vincoli di finanza pubblica. Nella prossima legge di bilancio verranno aggiunti 1,2 miliardi a quelli già stanziati nelle due precedenti leggi, quella per il 2016 e quella per il 2017. In questo modo si è arrivati ai 2,8 miliardi che serviranno per garantire gli 85 euro. Le risorse, però, bastano solo per gli aumenti dei dipendenti delle amministrazioni centrali. Poi ne serviranno altrettanti per i contratti dei dipendenti delle cosiddette “autonomie” (regioni, amministrazioni locali e sanità). Come prevede la normativa, per loro non sono previste specifiche risorse nella legge di bilancio e dovranno trovarle nei rispettivi bilanci, che non sono certo floridi.
Gli 85 euro sono quindi un risultato che non è stato facile realizzare.
Eppure i sindacati avrebbero voluto un recupero più consistente dopo un così lungo periodo di moderazione salariale e non si può escludere (come la storia insegna) che quando al tavolo dell’Aran si apriranno i contratti “politicamente più sensibili”, come ad esempio la scuola e il personale medico, possano emergere richieste di risorse aggiuntive.
Tutte le spine della parte normativa
Il governo spingerà per una conclusione veloce dei negoziati per evidenti ragioni legate alla prossima campagna elettorale, ma non sarà facile ottenerla.
Infatti i rinnovi sono molto più complessi di quanto si pensi. Oltre ai contenuti economici, dovranno riguardare la parte normativa che fa in genere riferimento a istituti molto importanti, alcuni dei quali sono espressamente indicati nell’atto di indirizzo che il governo ha inviato all’Aran. Dovranno essere trattati argomenti come l’utilizzo delle varie tipologie di lavoro temporaneo (come quello a termine o in somministrazione), il part-time, il contrasto all’assenteismo, il welfare contrattuale, la previdenza integrativa e molto altro ancora.
Occorrerà parecchio tempo per regolare queste materie.
A ciò si aggiunge il fatto che i sindacati spingeranno propria sulla parte normativa, in particolare quella che regola il sistema di relazioni sindacali, per riconquistare almeno parte dello spazio contrattuale che la cosiddetta “riforma Brunetta” aveva ridotto, a vantaggio della regolazione per legge dei rapporti e delle condizioni di lavoro.
La “riforma Madia” ha parzialmente spostato il baricentro verso la contrattazione collettiva. Ma non abbastanza, secondo i sindacati. I quali vogliono anche rimettere in discussione recenti provvedimenti legislativi, come la “Buona scuola” che, a loro dire, avrebbe ridotto di molto i margini di manovra e di regolazione affidati alla contrattazione.
Come se non bastasse, si affronterà la gestione del salario accessorio che, a livello di singola amministrazione, dovrebbe essere utilizzato per rinvigorire il circuito virtuoso tra merito e produttività da un lato e sistema dei compensi dall’altro (per cercare almeno di mitigare il fenomeno della distribuzione dei compensi “a pioggia”). Ritenendo, a torto o a ragione, che le risorse siano scarse, i sindacati non accetteranno facilmente di rendere variabile e incerta neanche una piccola fetta degli 85 euro.
Quanto all’idea di rinnovare solo la parte economica dei contratti (gli 85 euro) e rinviare a tempi migliori la parte normativa, non sembra essere a portata di mano. È dubbio che convenga ai sindacati. Ma è altrettanto dubbio che serva alle pubbliche amministrazioni che, dopo aver faticosamente trovato le risorse necessarie, si aspettano che i prossimi rinnovi offrano più efficaci strumenti di gestione del personale. In teoria gli aumenti retributivi dovrebbero essere legati proprio a questi miglioramenti.
In definitiva, la strada sarà lunga e non proprio in discesa.
* Carlo dell’Aringa è deputato del PD
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