Marco Barone La Tecnica della scuola Domenica, 10 Maggio 2015
Più di 600mila lavoratori e lavoratrici, cioè la maggioranza di chi opera a scuola, per non parlare degli studenti e delle famiglie, per non parlare degli oltre 50mila bambini delle scuole primarie, sottratti in via consapevole alle prove dell’Invalsi, hanno detto che la riforma non la vogliono. E’ un prendere o lasciare? Sì, lo è.
Ma il Governo sa bene fino a dove può arrivare, ed infatti, il corpo portante di quella disastrosa riforma, che ha come parole d’ordine produttività, competizione, aziendalizzazione della scuola, licenziamenti di massa per migliaia di precari, gerarchizzazione, creazione di due tipologie di docenti, rimane fermo, vivo, intaccato.
E’ sempre così. Si propone 100 per ottenere 51, e quel 51 o forse più, è quello che rimane, è quello che il Governo mai modificherà, mai ritirerà, è quello che il sistema voleva ottenere e difendere, ed otterrà e difenderà, salvo una persistenza del muro da parte di chi deve essere travolto da questa riforma e non solo.
La democrazia prevede delle regole, e tra queste vi è quella anche di saper fare marcia indietro, quando si propongono regole, interventi, che i diretti interessati respingono in massa ed in modo decisivo. Ma questo sembra non accadere. Non ci resta, dunque, che piangere? No, non ci resta che continuare a lottare proclamando uno stato di agitazione permanente che può prevedere varie e diverse modalità di lotta, autogestione cogestione ecc, o chiamiamole come vogliamo, delle scuole che devono prevedere il necessario coinvolgimento di tutta la comunità e società civile, docenti, ata, studenti, genitori, cittadini che trasformerebbero la scuola nel centro gravitazionale permanente della vita sociale, di contrasto a quella disastrosa riforma figlia della peggior cultura decisionista. Ben vengano gli scioperi che si stanno proponendo, come quello in materia di scrutini, ben venga lo sciopero importante del 12 giugno contro le prove Invalsi alle superiori, che sicuramente avrà una grande valenza e riuscita, ma si deve pensare anche all’attuazione di altri strumenti. Siamo innanzi ad una situazione emergenziale e si deve rispondere in via emergenziale.
Diversificate modalità di lotta all’interno di uno stato di agitazione permanente ed univoco, garantendo lo svolgimento dell’attività didattica, sia beninteso ciò, ma riappropriandoci delle scuole, anche oltre i canonici orari mattutini, svolgendo attività di discussioni, politiche, sociali, su questa riforma all’interno delle stesse, proponendo attività alternative ecc, può essere una soluzione da valutare?
A parer mio, vista la situazione in essere, sì. Stato di agitazione permanente ad oltranza per la scuola pubblica, fino al ritiro di quella riforma.
E’ una proposta forte? Sì, lo è.
E perché possa essere efficace è necessario il sostegno anche di buona parte delle realtà sindacali. Ma che strumenti abbiamo nell’immediato, a breve termine per fermare il tutto?
Se uno sciopero epocale come quello del cinque maggio, viene in sostanza raggirato, con pseudo-consultazioni, con un Governo che ignora la richiesta della maggioranza delle soggettività attive della scuola, quale il ritiro di quella riforma ed assunzione per i precari, cosa possibile, fattibile, è più che evidente che la questione debba essere affrontata con dovute misure di contrasto e di lotta. Insomma la scuola, in quanto tale, deve fare scuola, scuola per l’affermazione della dignità, dei diritti pieni dei lavoratori, per una società consapevole, contro omologazioni e standardizzazioni che annientano ogni processo di dissenso e di critica.