dal blog di Gianfranco Scialpi, 29.2.2020
– Coronavirus, paura o angoscia? Filosoficamente è più corretto il secondo. L’angoscia però rimanda al niente e quindi alla nostra incapacità di gestire l’indeterminatezza e il non-senso della morte.
Coronavirus, paura o angoscia?
Coronavirus, spesso associato al sentimento della paura. Ma è così?
Abituato dal pensiero filosofico ad andare oltre, a non fermarsi a osservare l’albero, ma la foresta (F. Hegel) proporrò una chiave di lettura della nostra condizione.
Innanzi tutto cerchiamo di comprendere se la condizione che stiamo vivendo in questo periodo è assimilabile alla paura o all’angoscia.
Il primo sentimento è parte dell’uomo ed esso è l’uomo. Rimanda alla sua condizione di creatura finita. E’ la nostra pelle! Quindi occorre individuare la positività in questo sentimento.
La paura scatta di fronte a qualcosa di concreto, visibile come treni, supermercati, lo sconosciuto… E’ liquida. Scrive Z. Baumann “La cosa che suscita più spavento è l’ubiquità delle paure; esso possono venir fuori da qualsiasi angolo o fessura della nostra casa o del nostro pianeta. Dal buio delle strade o dalla nostra camera da letto. Dal posto di lavoro o dalla metropolitana. Da coloro che conosciamo o da qualcuno di cui non ci eravamo nemmeno accorti.
L’angoscia, invece scatta di fronte all’indeterminatezza dell’oggetto, alla sua invisibilità e quindi percezione.
Filosoficamente questo stato è messo in relazione con la nostra libertà (S. Kierkegaard), dove l’esistenza precede l’essenza (J. P. Sartre) che rimanda a un futuro indeterminato, al non-è-ancora e quindi al Nulla. Ancora più radicalmente l’angoscia ci parla della nostra condizione di esseri-per la-morte (M. Heidegger).
Il Coronavirus fotografa il nostro disagio esistenziale
Da questa rapida esamina è possibile affermare che stiamo vivendo uno stato di angoscia di fronte al Coronavirus. L’epidemia ha confermato la nostra vulnerabilità di fronte all’imprevisto, verso tutto quello quello che non rientra nel calcolo, nella volontà di potenza della tecnica (Heidegger vs F. Nietzsche). Tra questi è possibile annoverare il dolore, la morte come massime espressioni del non-senso e quindi dell’intraducibilità dell’esistenza.
Non potendo dare un significato alla morte, nonostante duemila anni di cristianesimo, l’uomo ha rimosso l’epilogo naturale della sua esistenza. E quando questo è rimesso in gioco (V. Coronavirus), allora l’uomo va in pallone, manifestando isteria generalizzata e comportamenti irrazionali. La risposta dell’uomo conferma la terza rivoluzione ipotizzata da L. Floridi che ha desatellizzato l’uomo e che fa riferimento alla teoria freudiana sul dominio dell’irrazionalità sui suoi comportamenti.
La lezione di M. Heidegger: vivere autenticamente!
Per ridurre il disagio della civiltà (S. Freud) che poi si traduce nel disagio dell’uomo, occorre riprendersi l’esistenza e viverla autenticamente (M. Heidegger). Tutta l’esistenza!, che comprende naturalmente anche la sofferenza, la morte. E questo significa rimettere al centro “il senso della terra” (F. Nietzsche), guardando però il mistero che ci avvolge (K. Jaspers), sicuri che solo un dio può salvarci (M. Heidegger) dallo sguardo ragellante del Nulla (F. Nietzsche), creato dall’uomo (J. P. Sartre).
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Coronavirus, dietro la paura meglio l’angoscia, si nasconde… ultima modifica: 2020-02-29T21:53:11+01:00 da