Corsi di recupero: le fatiche degli studenti e quelle dei prof

di Giuseppe Tesorio, Il Corriere Scuola di vita, 16.7.2017

– “Ignoranti quem portum petat nullus suus ventus est”, “nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa a quale porto vuol approdare” (Seneca, Lettere a Lucilio, lettera 71).

Traduzione della traduzione: puoi organizzare tutti i corsi di recupero che vuoi, chiamare cento volte i genitori, mettere in campo tutte le didattiche innovative, digitali, subliminali, ma se lo studente naviga a vista, se lo studio proprio non sa dove sta di casa, è impresa ardua colmare le lacune.

L’anno è terminato con meno debiti scolastici, tanto – dicono gli insegnanti – recuperano assai poco, spesso tornano con più lacune di prima. Giusto per ritornare alle parole di Seneca, e già che ci siamo potremmo anche ribadire il concetto con un bel proverbio inglese: “You can bring a horse to water but cannot make it drink”, “si può condurre il cavallo al fiume, ma non lo si può costringere a bere”

E così, anche i corsi di recupero finiscono sotto la voce “sfinimento educativo”. Tutti parlano di emergenza educativa, tutti a rincorrere l’ultima novità digitale-didattico-docimologica. A dir la verità, l’educazione è sempre stata problematica.

Certo, alla soglia degli anni Venti del Duemila, l’insegnante li accusa proprio i sintomi dello sfinimento. Stretto tra due fuochi: quello degli studenti, riluttanti a tutto per contratto genetico e generazionale, e quello dei genitori, confusi, smarriti, spesso deboli con i figli, più decisi con gli insegnanti (famiglia e scuola parlano spesso due lingue diverse, quando va bene; quando va male non parlano affatto). L’importante è migliorare i risultati dei vari test – ministeriali, europei o di quartiere che siano – con cento      corsi e cento progetti.

L’anno, anche questa volta, è finito, e il prof rimane sospeso tra due inusuali parole di scuola, ripescate nel dizionario della lingua italiana Devoto-Oli: didattismo, applicazione esagerata e pedante di teorie e norme didattiche (la scuola insegue tutte le roboanti innovazioni pur di scalare classifiche e fondi finanziari), e un bellissimo insegnucchiare: insegnare poco e male, con impegno e risultati assai scarsi.

Già, il prof è sospeso tra queste due parole. O segue le metodologie più spericolate (con tanti termini in inglese, che fa tanto scuola nuova) o consuma le 18 ore di lezione settimanali con pressapochismo, faciloneria, dilettantismo. Il che, per un insegnante non è il massimo dell’onestà educativa. Per fortuna, il grosso sta nel mezzo.

Perché l’insegnante conta, eccome. Altrettanto conta la “fatica” dello studente. E questi benedetti ragazzi non faticano un granché. I latini, sul tema, andavano giù duro: Lege, relege, repete, in quanto repetitio est mater studiorum. La testa sui libri, ripetere. Una didattica sobria, quella di Catone Maggiore, tanto per citare: Precepta pauca, exercitatio multa. La traduzione non serve, bisogna lavorare.

Ma se lo studente proprio non vuole studiare? Pazienza, il prof insiste, in fondo, è o non è il più bel lavoro del mondo?

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Corsi di recupero: le fatiche degli studenti e quelle dei prof ultima modifica: 2017-07-16T21:54:28+02:00 da
Gilda Venezia

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