di Vincenzo Pascuzzi, Aetnascuola.it, 25.7.2018
– “E’ chiaro che nel passaggio secco dal sistema di finanziamento attuale ad un modello, per esempio a voucher, basato sul costo standard, il costo complessivo a carico della fiscalità in prima battuta aumenterebbe. Semplicemente perché a fronte del maggior costo per il finanziamento della scuola paritaria non sarebbe possibile immediatamente contrapporre risparmi nelle infrastrutture della scuola pubblica. E’ solo nella successiva fase di riorganizzazione dell’offerta, riproporzionata tra statale e paritaria secondo le preferenze espresse dalle famiglie, che il costo tornerebbe ad esse quello attuale.”
E poi bisognerebbe parlare anche delle ulteriori “molestie burocratiche” che ricadrebbero sui presidi-DS e sui DSGA.
“Invenzione machiavellica”: così Pasquale Almirante – su Tecnica della Scuola, 18 luglio 2018 (1) – etichetta il “costo standard” proposto anzi preteso a carico dello Stato da parte delle scuole private paritarie cattoliche nonostante il ben noto ed esplicito “senza oneri per lo Stato” !
L’articolo di Almirante replica e ribatte alle dichiarazioni di suor Anna Monia Alfieri intervistata – sempre su Tecnica della Scuola, 17 luglio 2018 (2) – da Alessandro Giuliani.
La replica di Almirante puntuale, sintetica, esaustiva, convincente e documentata, indica chiaramente i molti punti deboli e contraddittori della proposta rivendicativa di finanziamento statale, tramite appunto l’escamotage o la triangolazione del citato costo standard. Almirante richiama le osservazioni critiche già formulate da Andrea Gavosto (FGA) nel 2014 – più di 4 anni fa – e alle quali finora né la paladina o pasionaria suor Alfieri, né altri del “gruppo di pressione pro-paritarie” hanno saputo o voluto replicare né meglio spiegare.
L’aggettivo “machiavellico” sta non solo per “ispirato a principi che esaltano l’astuzia e la mancanza di ogni scrupolo nei rapporti politici e sociali” (Treccani) o “spregiudicato e subdolo; falso e senza scrupoli” (Sabatini Coletti), ma include l’aggiunta che “ripetere una bugia cento, mille e più volte, questa diventa una verità” (aforisma attribuito falsamente a Joseph Goebbles con lo stesso meccanismo ripetitivo!). Infatti il refrain “costo standard” salvifico ecc. è stato ripetuto e reiterato molte, moltissime volte negli ultimi anni in occasioni create ad hoc e tramite i numerosi e pervasivi media cattolici coinvolti e interessati alle scuole paritarie (3) (4) (5).
Nell’intervista sopra richiamata (del 17 luglio 2018), l’Alfieri ripete argomentazioni tutte già note, in particolare riportate nel suo articolo dell’8 settembre 2017 su ilsussidiario.net (6) e alle quali era stato replicato puntualmente su Tecnica della Scuola (7).
Omissioni
Ancora sulla questione costo standard/scuole paritarie risultano alcuni aspetti lasciati in ombra, occultati, omessi di proposito. Il primo è relativo al “Gruppo di lavoro per la definizione del costo standard” istituito il 22.11.2017 (8) e di cui non si hanno notizie dopo ben otto mesi. Ha lavorato? E’ giunto a delle conclusioni? Oppure è in attesa di indicazioni dal nuovo ministro?
Altro aspetto accuratamente sottaciuto è l’onere economico a carico dello Stato dell’eventuale adozione del costo standard: sono i 6 miliardi di euro calcolati da Agesc nel 2007? Oppure lo Stato otterrebbe un risparmio strabiliante di “17 miliardi di euro (diciassette)” (9) (10)? O solo 2,8 miliardi, o zero?
Altra ipotesi prospettata da Luigi Corbella (11) (12) è che all’inizio i costi per lo Stato potrebbero aumentare, per poi assestarsi e forse calare ma non si sa quando, insomma un po’ una lotteria, una scommessa con spese e rischi tutti a carico dello Stato.
Così scrive infatti Corbella: “E’ chiaro che nel passaggio secco dal sistema di finanziamento attuale ad un modello, per esempio a voucher, basato sul costo standard, il costo complessivo a carico della fiscalità in prima battuta aumenterebbe. Semplicemente perché a fronte del maggior costo per il finanziamento della scuola paritaria non sarebbe possibile immediatamente contrapporre risparmi nelle infrastrutture della scuola pubblica. E’ solo nella successiva fase di riorganizzazione dell’offerta, riproporzionata tra statale e paritaria secondo le preferenze espresse dalle famiglie, che il costo tornerebbe ad esse quello attuale.”
E poi bisognerebbe parlare anche delle ulteriori “molestie burocratiche” che ricadrebbero copiose sui presidi-DS e sui DSGA.
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Alcuni link attinenti
(1) Il costo standard? Una proposta sottile e con mille insidie
(2) Il costo standard? Salverà la scuola dal tracollo, parola di suor Anna Monia Alfieri [intervista]
(3) Suor Anna Monia Alfieri su formiche.net
http://formiche.net/author/suor-anna-monia-alfieri/
(4) Anna Monia Alfieri: Articoli scritti su ilsussidiario.net
http://www.ilsussidiario.net/Autori/Archivio/5161/Anna-Monia-Alfieri/
(5) Anna Monia Alfieri su tecnicadellascuola.it
https://www.tecnicadellascuola.it/author/annamoniaalfieri
(6) Costo standard, la rivoluzione sostenibile (e senza oneri per lo stato)
http://www.ilsussidiario.net/News/Educazione/2017/9/8/SCUOLA-Costo-standard-la-rivoluzione-sostenibile-e-senza-oneri-per-lo-stato-/781494/
(7) Paritarie private e costo standard, in attesa della “madre di tutte le battaglie”
(8) Gruppo di lavoro per la definizione del costo standard ….
http://www.fidae.it/wp-content/uploads/2017/12/DM-917-Costo-Standard.pdf
(9) Come risparmiare 17 miliardi di euro (diciassette) rendendo la scuola davvero libera
(10) Caro Matteo ti scrivo… Lettera aperta di Anna Monia Alfieri al premier Renzi
“se arriveremo a questo costo standard le casse dello Stato risparmieranno 17 miliardi di euro all’anno. Come minimo.”
“Lei comprende, caro Matteo, che la prospettiva di almeno 17 miliardi di euro risparmiati all’anno fa cadere nel ridicolo i balletti degli emendamenti proposti e ritirati fino a ieri.”
(11) Scuola pubblica e privata, la teoria del costo standard
(12) Scuole private paritarie, la “teoria del costo standard”, il ponte sullo Stretto
Il costo standard? Una proposta sottile e con mille insidie
Il costo standard per permettere la cosiddetta libertà di educazione? Una invenzione machiavellica per finanziare le scuole private, dimenticando che il bonus, da erogare a tutte le famiglie per scegliersi la scuola, dove educare i figli secondo i principi che la stessa professa, può trasformarsi in un ottimo solvente per sfilacciare ancora di più e dilaniare una società ormai multiculturale, con forti diseguaglianze e strappi etnici.
L’un contro l’altro armati
E allora ogni comunità religiosa, etnica, culturale, sociale e perfino politica dice ai suoi proseliti: costruiamoci una scuola a nostra immagine e somiglianza, formiamo un fortino ideologico e al momento opportuno assaltiamo le altre fortezze con le nostre argomentazioni.
Si allargherebbe il solco sociale
Ma non solo: aggiungendo, e chi più ne ha più ne metta, fondi ai fondi dello Stato, ci facciamo scuole private extralusso e con prof ultra-decorati, cosicchè le differenze di classe e di censo si allarghino così tanto da risultare alla fine del tutto incolmabili, fomentando perfino l’odio ideologico.
Lo stato etico delle uguaglianze
In altre parole lo Stato etico, quello nato dalla Rivoluzione francese e dai principi di Eguaglianza e di Libertà, dovrebbe dare soldi a ciascun cittadino per iscrivere il figlio in una scuola privata che trasmetta i principi ideologici, politici, religiosi, etnici a lui più cari? In teoria, anche in un condominio potrebbe nascere la scuola, ma pure tra quelle Town (ghetti?) o quartieri invasi da extracomunitari di tutte le nazioni, anche perché la libertà di educazione pretende che l’insegnante sia delle stessa corrente di pensiero di chi lo sceglie, altrimenti che bello c’è? Potrà mai affidare un cattolico il figlio a una scuola creata da islamici?
Ma a parte ciò, il costo standard, secondo uno studio della Fondazione Agnelli, ha in se tre vulnus metodologici e di cui già ci siamo occupati [articoli su “costo standard” pubblicati si TS]:
primo, calcolare il costo standard è un esercizio estremamente complesso: la letteratura economica suggerisce una varietà di metodi, pochi dei quali hanno finora dato risultati solidi, stimando le determinanti del costo standard a livello di singola scuola, ma gli esiti non sono stati soddisfacenti;
secondo, la nozione stessa di costo standard perde significato se non è abbinata a un certo livello di prestazione, ritenuto essenziale, da parte delle scuole: questo comporta che si definisca e si misuri un obiettivo di performance delle scuole, a fronte del quale va calcolato il costo minimo per conseguirlo. Ma quale sia questo obiettivo – un livello di apprendimento, un tasso di dispersione, un grado di socializzazione, un stadio sviluppo della personalità – non è affatto ovvio e pone interrogativi non banali sullo scopo stesso della scuola;
terzo, il concetto di costo standard non riflette un costo medio per allievo pari a circa 7.000 euro come sostenuto, ma un costo marginale o incrementale di lungo periodo. La domanda da porre è: quanto costerebbe allo Stato inserire un allievo in più nelle proprie strutture? Infatti, non avrebbe senso rimborsare alle scuole paritarie le componenti di costi fissi di sistema che lo Stato già sostiene: l’attività delle amministrazioni centrali e regionali (circa 200 milioni), il mantenimento del sistema informatico (600), la partecipazione alle indagini internazionali (125) e così via.
A parte la scuola dell’infanzia, il costo dell’inserimento nella scuola di un 5% circa di allievi in più che frequentano le paritarie (dal 6,9% delle primarie al 4% delle medie) sarebbe nettamente inferiore alla richiesta formulata dalle scuole paritarie.
Il costo standard? Salverà la scuola dal tracollo,
parola di suor Anna Monia Alfieri [intervista]
Il cambio di gestione del Miur, con a capo ora un ministro tecnico leghista e lombardo, ha fatto tornare in auge i fautori di modelli scolastici alternativi.
Ad uscire allo scoperto è stata la senatrice di Forza Italia Valentina Aprea, che conosce molto bene il nuovo titolare del dicastero di Viale Trastevere, Marco Bussetti, perché dopo l’esperienza di sottosegretario all’Istruzione ha ricoperto, sono a febbraio scorso, il ruolo di assessore all’Istruzione della Lombardia.
Qualche giorno fa, davanti alla commissioni Cultura congiunte, la Aprea ha chiesto a Bussetti, tra le altre cose, di adoperarsi per favorire l’introduzione “di costi standard per un reale pluralismo educativo che favorisca la libertà di scelta delle famiglie”.
Ma cosa è il costo standard? Perché ciclicamente questa proposta viene ripresentata, ma poi cade nel vuoto senza che si affronti il tema in modo esauriente?
Abbiamo girato queste domande a suor Anna Monia Alfieri, presidente Fidae Lombardia, da tempo paladina di questo modello di finanziamento delle scuole italiane e tra le promotrici del tavolo di lavoro sul tema, attivato al Miur nel 2017.
Proponiamo ai nostri lettori la lunga intervista, al fine di comprendere per bene le ragioni di chi rivendica il costo standard.
Suor Anna Monia Alfieri, ci spiega in cosa consiste l’introduzione del costo standard?
Lo Stato non può reggere finanziamenti aggiuntivi per la scuola pubblica, sia statale che paritaria, entrambe destinate – per motivi diversi – al tracollo. L’unica soluzione per evitarlo è definire il costo standard di sostenibilità per allievo, che è cosa diversa dal semplice costo medio ricavato empiricamente dalla serie storica delle spese sostenute, tra le quali figurano anche quelle derivanti da una gestione poco efficiente, a volte persino disastrosa.
In termini pratici, cosa significa?
Significa che il costo standard, riconosciuto come “quota capitaria” spettante all’alunno e alle famiglie, che lo assegnano alla scuola prescelta, si fonda sul diritto inviolabile della libertà di scelta educativa. Detto per jl lattaio dell’Ohio: il finanziamento spetta all’allievo e alla famiglia e, di conseguenza, è da essa assegnato alle scuole pubbliche – statali o paritarie – in quanto ‘servizio scelto’ dalla famiglia stessa. L’alternativa è la scuola di regime.
Quali vantaggi produrrebbe?
In pratica, dotando ogni alunno e ad ogni famiglia di un cachet da spendere nell’istituto che intende scegliere, si realizzerebbe finalmente il pluralismo educativo, dando così alle famiglie la possibilità di decidere fra una buona scuola pubblica statale e una buona scuola pubblica paritaria, avendo – il cittadino – già pagato le tasse. Si attiverebbe, inoltre, una sana concorrenza tra le scuole pubbliche, statali e paritarie, mirata al miglioramento dell’offerta formativa. Si introdurrebbero le leve della valutazione e della meritocrazia, cessando, lo Stato, di considerare la scuola un ammortizzatore sociale: a fronte dell’infornata di 150 mila docenti, abbiamo infatti cattedre ancora vuote poiché l’offerta dei docenti non incontra la domanda né per località né per disciplina. Il cittadino paga il docente che al 1° settembre firma il contratto, e grazie a cavilli vari non c’è, e paga il supplente.
Perché dice che il docente in realtà non c’è?
Quanti docenti e dirigenti pagati non insegnano? Il Ministro conosce il fenomeno e ha annunciato di porvi rimedio. Ma ci sono altri vantaggi del costo standard di sostenibilità: ci sarà il docente di sostegno per l’allievo disabile sia che frequenti la scuola pubblica statale che la scuola pubblica paritaria; chiuderanno i diplomifici, noti e intoccabili (appena lo 0,3% del totale delle scuole pubbliche paritarie, ma si sa, un cancro anche se piccolo è fastidioso e dannoso), poiché i genitori semplicemente non li sceglieranno; saranno eliminati i finanziamenti a pioggia per fantomatici progetti, che contribuiscono al tracollo economico della scuola pubblica statale, nonché affossano il pluralismo educativo offerto dalla pubblica paritaria.
In tal modo, non c’è il pericolo di chiudere le scuole comunque valide ma che per ragioni oggettive lavorano in condizioni difficili, ad esempio in zone deprivate culturalmente o dove l’abbandono scolastico è alto?
Assolutamente no. I parametri del costo standard di sostenibilità saranno calibrati sulla situazione di ciascuna scuola, meglio, di ciascuna classe, tenendo ben presenti le criticità sociali, economiche, logistiche del territorio, sempre però in una prospettiva di miglioramento favorita dalla scelta delle famiglie. Ad esempio, nelle zone ad alta criticità sociale lo Stato, con il risparmio dello spreco, assegnerà alle famiglie una quota pro capite maggiore rispetto ad altre situazioni del territorio italiano, consentendo alle scuole di mettere in bilancio un adeguato apparato di psicologi ed educatori. Anche per le zone a bassa densità abitativa, ad esempio le isole o i comuni di montagna, che non possono raggiungere i parametri numerici per classe richiesti, è ovvio che lo Stato fornirà alle famiglie un surplus di finanziamento, sempre ricavato dal risparmio dello spreco e sempre controllando la qualità dei risultati.
Chi stabilirebbe questi parametri?
Occorre studiare i bilanci di realtà scolastiche virtuose, in cui tutte le voci di spesa siano previste: è stato già fatto nel saggio “Il diritto di apprendere”, editore Giappichelli 2015. Se alcune voci saranno fisse, ad esempio gli stipendi, altre avranno differenze locali che un pool di esperti dirigenti ed amministratori scolastici dovrà calibrare. Il tutto, con la collaborazione degli ottimi esperti ragionieri del Miur che, assicuro, anelano all’avvento del costo standard, vista la fosca situazione presente e le preoccupanti prospettive future del bilancio della scuola pubblica statale.
In termini economici, allo Stato quindi converrebbe introdurre il costo standard?
Con l’introduzione del costo standard di sostenibilità per allievo, l’attuazione della libertà di scelta educativa garantirebbe, come minimo, un risparmio certo per le casse pubbliche di ben 2,8 miliardi di euro annui. Non si tratta di tagliare, ma di impiegare meglio le risorse. Si ricordi che il sistema scolastico italiano ha ampi sprechi.
Ci fa qualche esempio in merito?
Oggi un allievo della scuola pubblica statale costa al contribuente 8.000 euro all’anno di spese del Miur e in aggiunta riceve i finanziamenti di regione, provincia e comune. Per il milione di allievi che frequentano la scuola paritaria lo stato spende 500 euro annui per alunno, con un risparmio di ben 6 miliardi di euro, sempre per anno. Se questo milione di allievi, insieme ai 200 mila docenti, a settembre trovassero i battenti chiusi delle loro scuole paritarie, e questo è l’ardente desiderio di una parte politica che attualmente ci governa, il sistema nazionale di Istruzione collasserebbe miseramente. E non lui solo.
Cosa risponde a chi ricorda ciclicamente che lo Stato deve finanziare, in base alla Costituzione, solo la scuola statale?
Rispondo che l’articolo 33 al punto “senza oneri per lo Stato” dice che nessuna scuola privata può pretendere finanziamenti; qui però parliamo di scuole pubbliche paritarie, cioè di scuole che dallo Stato sono riconosciute e controllate, che fanno un servizio pubblico e che appartengono al servizio nazionale di Istruzione al pari della scuola statale. Ma qui occorre una solida conoscenza dei diritti umani.
In che senso?
I drivers delle pizze hanno i diritti, i genitori no. Attraverso il costo standard di sostenibilità, che si fonda sul diritto inviolabile della libertà di scelta educativa, i finanziamenti non vanno dati alle scuole paritarie o statali, bensì alle famiglie che – come nella Sanità – debbono poter scegliere a costo zero, avendo già pagato le tasse, dove educare i propri figli. La libertà di scelta dei genitori favorirà la sana concorrenza fra le scuole e l’innalzamento della qualità. Siamo agli ultimi posti Ocse-Pisa non per caso.
In effetti, con la Legge 62/2000 le scuole statali e non statali hanno acquisito una parità solo sulla “carta”: perché non si è mai attuata?
Perché non risponde alla domanda “Chi paga?”. La scuola statale apparentemente è gratuita, ma cosi non è, come si è detto; per la paritaria il cittadino paga due volte, con le tasse prima e la retta poi. Soprattutto: chi è ricco va alla scuola americana o delle élite da 15 mila euro annui. Se non si cambia, solo queste sopravviveranno. Mentre i poveri andranno tutti alla statale che, attualmente, va come va. Se sei fortunato, va bene, altrimenti… Mica puoi scegliere! In quest’ambito, la “dignità” sembra bandita.
Marco Bussetti e il suo staff provengono dalla Lombardia, la regione che ha attivato percorsi di formazione professionale presso scuole pubbliche e private messe sullo stesso piano: pensa che il modello sia estendibile a tutto il Paese?
Conosco bene il Ministro e ha partecipato a molti convegni compreso quello di ottobre 2017, dove si sosteneva questo modello e la soluzione del costo standard di sostenibilità, peraltro nel programma della Lega. Escludo una deviazione di rotta. Tuttavia, soltanto, per inciso, alcune decine di dirigenti e presidi di scuole pubbliche paritarie, a nome anche di docenti e genitori, mi stanno contattando nelle ultime ore riguardo ad una singolare affermazione riportata nell’intervista del Ministro alla Tecnica della Scuola: “Agiremo – ha detto – per continuare a garantire la libertà di scelta educativa”… Le domande, più serene, rivoltemi sono state: “Quale libertà?”, “Dove la vede?”, “Che cosa può continuare, che non esiste?”.
Quindi non se ne farà nulla?
Per rispondere alla sua domanda, il modello lombardo potrà essere attuato a livello nazionale. Anche la ministra Fedeli, di area politica differente, lo aveva affermato a più riprese durante il suo mandato, pure alla presenza di Bussetti. La convergenza politica sul tema è un dato acquisito. Forse non dal Movimento 5 Stelle, ma neppure questo è pensabile, poiché il buon senso e l’attenzione al povero mi paiono condivise.
In estrema sintesi, è la contemporanea presenza di tre libertà – di insegnare, di istituire scuole e di scegliere i luoghi dell’istruzione – che conferisce carattere pluralistico al sistema scolastico delineato dalla Costituzione. Le prime due libertà apparirebbero svuotate di contenuto senza la terza, quella cioè della scelta della scuola pubblica – statale o paritaria – da frequentare.
Poi ci sono le scuole private, quelle che vanno avanti solo con le rette delle famiglie: questi istituti non beneficerebbero del costo standard?
Lei sicuramente intende le scuole private non paritarie, che sicuramente non modulano le rette in base all’Isee. Chi le sceglie non sa neppure cosa sia l’Isee: non gli serve. Certamente queste istituzioni, che non fanno parte del Sistema Nazionale di Istruzione – composto da scuole pubbliche a gestione statale e scuole pubbliche paritarie gestite da privati, regioni, province e comuni – non avranno a che fare con il costo standard di sostenibilità. Queste scuole private dei ricchi per i ricchi ci sono e ci saranno sempre. E che i loro gestori e clienti paghino almeno tutte le imposte che devono. C’è chi le sceglie perché sono di élite, e non accolgono né diversamente abili, né extracomunitari. Ma non è un problema: esistono anche le cliniche private, dove il calciatore ingaggiato, dopo la visita medica, trova una selva di telecamere fuori ad aspettarlo.
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