Disabili in gita, concentrarsi solo sul “fattore sicurezza” non basta

di Adriana Belotti, Lettera 43, 24.2.2018

Una simile strategia da parte delle scuole tiene conto di un’unica esigenza (pur fondamentale), tralasciandone altre. Come l’importanza di creare occasioni di socializzazione e mutuo-aiuto tra studenti.

La scuola non è solo l’edificio dentro cui, volenti o nolenti, milioni di studenti nel mondo trascorrono buona parte delle loro giornate, seguendo le lezioni impartite dagli insegnanti, affrontando interrogazioni e compiti in classe, con la campanella che scandisce il ritmo dell’apprendimento. È anche tempo extra scolastico, ovvero quello dedicato alle gite, momenti di cui i discenti colgono e apprezzano principalmente il carattere ludico, ma che in realtà si configurano, se gestiti efficacemente, come utili e importanti occasioni per trasmettere conoscenze in modo non tradizionale e per incentivare lo sviluppo delle competenze sociali e relazionali che servono a porre le basi per formare i cittadini di domani. Sono proprio le escursioni a scopo didattico ad essere colpite dall’ondata di polemiche che sta imperversando sui mass media in questi giorni, quasi una metafora anticipatrice del famigerato Buran, il gelido vento siberiano che, stando alle previsioni meteo, travolgerà l’Italia nei prossimi giorni.

DUE CASI CHE FANNO PENSARE. Due classi di scuola media, una nell’istituto comprensivo Aldo Moro di Saronno (Varese) e l’altra in un istituto comprensivo a Boscotrecase (Napoli). Due alunni con disabilità – Giovanna (nome di fantasia), affetta dalla sindrome di Smith Magenis, e Gennaro, un ragazzino con diplegia spastica agli arti inferiori e un ritardo cognitivo medio-lieve -, i loro genitori, compagni, insegnanti, dirigenti scolastici. Cos’è successo? Secondo quando riportato dai media, i professori della studentessa avrebbero revocato la gita (tre giorni e due notti) perché, come spiegato dalla scuola, sarebbero venute meno «le condizioni di sicurezza perché la classe potesse partire». I genitori riconoscono che la ragazza fatichi a dormire e si svegli anche quattro volte a notte. Per gestire le criticità che comporterebbe la sua partecipazione alla gita, si sono offerti di accompagnarla ma gli insegnanti hanno continuato a ritenere il viaggio non praticabile. Il dirigente scolastico si è dichiarato dispiaciuto per la situazione generatasi e ha assicurato che verrà organizzata un’escursione di un giorno, ritenuta «più gestibile, per permettere a tutta la classe di partecipare in sicurezza».

La mamma di Gennaro, invece, ha scritto una lettera di protesta alla ministra dell’Istruzione denunciando le condizioni che, a suo dire, la scuola le avrebbe imposto per consentire la partecipazione del figlio alla gita a Torino, ovvero essere accompagnato da un genitore che lo assista di notte e nell’igiene personale e l’accollo delle spese di viaggio per entrambi da parte della famiglia. Nella missiva la signora riferisce che i docenti avrebbero negato al figlio la possibilità di dormire in camera con i compagni, pur essendo un ragazzino né aggressivo né con malattie infettive. Anche in questo caso è intervenuta l’istituzione: da un lato, la dirigente scolastica ha dichiarato di essere stata contattata dal sindaco della città, disponibile a coprire le spese; dall’altro la direttrice scolastica regionale, in un’intervista a Repubblica, ha detto che «Gennaro è un alunno come tutti e andrà in gita». Non saprei prevedere l’esito delle due vicende ma credo entrambe rendano conto di quanto sia complesso ragionare in termini di “inclusione”, tanto a scuola quanto nella comunità. Mi sembra che il significato di questa parola, ormai sulla bocca di tutti e quindi di facile comprensione a livello astratto, diventi un po’ oscuro quando si cerca di tradurlo nel concreto.

NON CADIAMO NELL’IDEOLOGIA. Certo, è facile imparare e recitare a memoria definizioni e formulette come, ad esempio, “una scuola inclusiva accoglie tutti, valorizzando le differenze di ciascuno” o simili ma, se ci fermiamo a questo tipo di ragionamenti, seppur validi in linea teorica, secondo me corriamo il rischio di cadere nell’ideologia. Non conosciamo “Giovanna” e Gennaro, non sappiamo nulla dei loro genitori e compagni, del modo in cui i docenti gestiscono i processi del gruppo classe di cui fanno parte. Sarebbe un po’ azzardato trarre delle conclusioni nei termini di un giudizio morale, affermando per esempio “Si, è giusto che vadano/possono andare in gita” o il contrario. Io non me la sento di ragionare in questi termini e non mi sembra nemmeno utile farlo. Rileggendo gli articoli in cui si riportano i due episodi, osservo alcuni elementi che mi fanno riflettere. Innanzitutto mi pare che il focus dell’attenzione sia centrato quasi unicamente sui due studenti con disabilità. Sono loro il nocciolo della questione perché ciò che viene considerato critico, stando a quanto apprendiamo dalla stampa, è la gestione della loro partecipazione al viaggio di studio (con le dovute differenze rispetto alle peculiarità delle situazioni e delle motivazioni addotte dalle due scuole per giustificare la loro posizione).

PREMESSE DA ROVESCIARE. Secondariamente il problema da risolvere sembra essere decidere se i due ragazzi possano partire con gli altri o meno. Da ultimo il criterio che la scuola sembrerebbe prediligere per compiere questa scelta, per lo meno stando a quanto dichiarato dal dirigente dell’istituto frequentato da Giovanna, è quello della sicurezza. È cioè necessario creare le condizioni affinché tutti ritornino incolumi. E se le premesse fossero differenti? La gestione di un gruppo classe, per sua natura eterogeneo, è sempre complessa e potenzialmente critica perché il fattore situazionale – i comportamenti dei ragazzi, gli eventi esterni, ecc. – non è mai completamente prevedibile. La presenza di uno studente con disabilità è solo uno degli elementi che vanno considerati nella programmazione di un’attività. Quindi credo che focalizzarsi sui singoli studenti, specialmente su quelli su cui grava già qualche etichetta, non faciliti la possibilità di adottare un’oggettiva visione d’insieme. E se poi in gita succede che a creare qualche momento difficile non sono i comportamenti e le peculiarità di Giovanna e Gennaro ma le scorribande notturne di Laura, Luca e Marco?

La classe può essere una risorsa importante e un supporto ai singoli nell’aiutarli a lavorare con il gruppo per raggiungere un obiettivo condiviso da tutti

La classe poi può essere anche una risorsa importante e un supporto ai singoli nell’aiutarli a lavorare con il gruppo per raggiungere un obiettivo condiviso da tutti. Inoltre, a mio parere, è un errore pensare di poter risolvere la situazione critica e di malcontento che già si è generata delegando e investendo la scuola del compito di decidere se quel singolo alunno possa o meno partecipare alla gita di classe anche perché, posta in questi termini, si tratta di una scelta unilaterale, cioè non presa con il contributo di tutte le parti coinvolte. Una decisione così lascerà sempre scontento qualcuno. Ma credo che anche concentrarsi solo sul “fattore sicurezza”, da cui ovviamente non si può prescindere, non basti a trovare una modalità di gestione della criticità che accontenti tutti. Creare le condizioni affinché sia garantita l’incolumità a tutti i partecipanti al viaggio è sicuramente una strategia da adottare ma non può essere considerato un obiettivo comune perché tiene conto solo di un’esigenza, quella della sicurezza, tralasciandone altre (es. quella di creare occasioni di socializzazione, mutuo-aiuto tra studenti, apprendimento, ecc.).

TROVARE SOLUZIONI CREATIVE. Forse un obiettivo condivisibile da ciascun ruolo coinvolto, a vario titolo, potrebbe essere “generare una responsabilità condivisa nella gestione della classe durante l’attività scolastica ed extra-scolastica, secondo parametri di salute per tutti”. Per poterlo conseguire è necessario raccogliere i contributi che tutte le parti coinvolte possono offrire per individuare strategie condivise che consentano di trovare soluzioni creative, cioè non immaginate prima, che soddisfino tutti.

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Disabili in gita, concentrarsi solo sul “fattore sicurezza” non basta ultima modifica: 2018-02-24T17:45:44+01:00 da
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