Diventare insegnanti in Italia: troppo lungo, costoso, incerto, e non remunerativo

Tecnica_logo15B

Anna Maria Bellesia,  La Tecnica della scuola  6.6.2016

prof-solo1

– Perché l’Italia ha la percentuale più bassa di docenti sotto i 30 anni e la più alta sopra i 50 anni in tutta l’area europea e probabilmente mondiale? Chiaro: il percorso per diventare insegnanti è lungo, costoso, incerto, non remunerativo, e diciamo pure incasinatissimo a causa di riforme, aggiustamenti, sanatorie, e tutto quello che è impossibile elencare dagli anni Novanta ad oggi.

L’Europa ci dice da tempo che “È necessario un maggiore sforzo per avvicinare i giovani alla professione di insegnante”. Ma in Italia il “ce lo chiede l’Europa” è recepito solo per far passare i sacrifici, mai i progressi.

In un futuro non lontano avremo una carenza di nuove leve. Chi lo fa fare a un giovane di scegliere un percorso ad ostacoli, di investire tanti soldi e anni di studio senza alcuna prospettiva certa, né di occupazione, né di reddito, e con una normativa ingarbugliata in perenne divenire?

Anni di studio e spese

Il primo passo è la laurea 3+2. Quanto costa? Tanto per una famiglia. Le tasse universitarie ammontano a 2.000 euro all’anno, più altri ticket e marche da bollo richiesti alle voci più varie. Altri 4.000/5.000 euro vanno per il materiale di studio. In più ci sono le spese per i mezzi di trasporto, alloggio, vitto. Fino a qui tuttavia i costi sono comuni a qualsiasi studente universitario, e si capisce perché le matricole siano sempre di meno e il tasso di abbandono altissimo.

Il corso per l’abilitazione con selezione in ingresso

Qualsiasi laureato, ottenuto il titolo, può accedere ai pubblici concorsi o all’esame di stato per l’esercizio della libera professione. Chi aspira all’insegnamento no. Ci vuole l’abilitazione: SSIS, SSOS, TFA, PAS, dal 2000 ad oggi è stato tutto fiorire di corsi abilitanti, biennali o annuali. Aspetto comune: gestiti dalle università, onerosi, costosi. Il TFA (Tirocinio formativo attivo) costa sui 2.500 euro di tasse, più le altre spese. Per accedervi bisogna superare una prova di selezione, scritta e orale. Cosa che negli altri paesi d’Europa non esiste, bastano gli studi pregressi. La formazione consiste in un anno di lezioni presso la sede del corso, più 475 ore di tirocinio svolto a scuola, con esami intermedi ed esame finale. I PAS (percorsi abilitanti speciali) sono una specie di sanatoria, ma questa è un’altra storia. Intanto siamo già a 6 o 7 anni di studio.

Il concorso e la preparazione

Al termine del percorso abilitativo annuale o biennale, si può partecipare al concorso, se è indetto con regolarità. E qui comincia il tourbillon dei corsi di preparazione con i relativi materiali di studio. Le offerte sono innumerevoli, i costi variabili, e qualche centinaio di euro si spende. Trascorrono un paio d’anni, se tutto fila liscio con tempistica perfetta.

C’è chi rimane precario: gli anni dell’incertezza

E chi non supera il concorso o deve attendere il bando? In questa fase i tempi possono allungarsi di diversi anni caratterizzati da lavoro precario e prospettive molto incerte. La maggior parte di chi si trova in questa situazione investe in formazione aggiuntiva: master, specializzazioni, dottorati di ricerca. L’affare per le università continua.

L’anno formazione e di prova
Chi vince il concorso deve superare l’anno “di formazione e di prova”, secondo le modalità indicate dal recente DM 850/2015. Le attività formative sono organizzate in parte dall’Indire in parte dalla scuola. Alla fine, il docente in prova è sottoposto alla valutazione da parte del dirigente scolastico, sentito il comitato di valutazione. Per l’assunzione a tempo indeterminato, bisogna dimostrare il “corretto possesso ed esercizio” di tutte le competenze professionali necessarie e la consapevolezza dei doveri connessi con lo status di dipendente pubblico. L’età media di chi entra in ruolo è intorno ai quarant’anni. La percentuale sotto i 30 anni è appena dello 0,5!

Gli ambiti territoriali e la chiamata del dirigente: l’incertezza a vita
La legge 107/2015 (Buona Scuola) ha introdotto gli ambiti territoriali ai quali sono assegnati i docenti entrati in ruolo e la chiamata diretta da parte del dirigente scolastico, che formula la proposta di incarico in coerenza con il piano triennale dell’offerta formativa, rinnovabile purché sempre in coerenza con il piano. La chiamano autonomia potenziata. Di fatto nessun docente ha e potrà mantenere una sede di titolarità. Non succede in altri settori del pubblico impiego, dove si concorre a quelposto, e dove il dirigente “organizza” e non sceglie le risorse umane.

Formazione in servizio
La riforma prevede percorsi di formazione in servizio, “che integrino le competenze disciplinari e pedagogiche dei docenti, consentendo l’attribuzione di insegnamenti anche in classi disciplinari affini”. Obiettivo principale: la flessibilità nell’impiego del personale. La formazione in servizio diventa obbligatoria, permanente e strutturale per tutti i docenti di ruolo. La Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione stanzia a tale scopo 500 euro annui per ciascun docente. Almeno c’è il rimborso spese.

Stipendio e premialità
Chi diventa di ruolo dopo un percorso così lungo, costoso e selettivo, dopo anni di formazione iniziale e di successivo aggiornamento continuo, dopo l’accertamento delle competenze necessarie, dovrebbe almeno percepire uno stipendio dignitoso e adeguato. Chi poi eccelle nella professione, contribuendo a migliorare la qualità dell’apprendimento degli studenti o svolgendo altri compiti organizzativi e progettuali, dovrebbe ricevere congrui riconoscimenti economici per l’impegno profuso. Invece il docente italiano prende uno stipendio appena superiore a quello dei docenti greci e pari alla metà di un docente tedesco. Il bonus premiale, che uno su dieci potrebbe ottenere, sarà una mancetta sui 300 euro all’anno.

La legge 107 e le prospettive di riforma: l’apprendistato triennale
La legge Buona Scuola prevede al comma 181 che siano emanati dei decreti legislativi di riordino del sistema di formazione iniziale e di accesso al ruolo nella scuola secondaria. Il nuovo percorso consisterà in 5 anni di università fino al conseguimento della laurea magistrale, superamento del concorso nazionale, tirocinio triennale con contratto retribuito a tempo determinato. Una specie di apprendistato istituzionalizzato con termini definiti. Il motivo c’è: l’Europa ci vieta il rinnovo illimitato nel tempo di contratti a tempo determinato, e per questo il governo Renzi ha dovuto assumere nel 2015 i 100mila precari.
Superato positivamente questo periodo, si passa al contratto a tempo indeterminato. L’aspirante docente avrà così la sensazione di tenere un piede già dentro scuola, mentre la retribuzione sarà più o meno un rimborso spese e la “collaborazione strutturata” potrebbe essere al limite dello sfruttamento (supplenze a tutto spiano e sostituzione dei colleghi assenti).

Conclusione: la fuga dei cervelli all’estero continuerà
Questo sistema serve ad “attrarre e trattenere i docenti migliori” come ci chiede l’Europa? Sarà mai possibile rendere il lavoro dell’insegnante più affascinante, innovativo e prestigioso come qualcuno continua fiduciosamente a propugnare?
È evidente che no. “Troppe sono le procedure selettive, in misura spropositata rispetto agli altri paesi europei. C’è anche una disparità di trattamento rispetto agli altri dipendenti pubblici, che con il titolo di studio accedono al concorso, e superato il periodo di prova non sono soggetti alla scelta di un dirigente”, osserva Doriano Zordan segretario dello Snals di Vicenza.Nel corso degli anni il sistema ha portato beneficio soprattutto all’università. “La lobby universitaria, potere traversale ad ogni partito politico, ha fatto delle abilitazioni e delle specializzazioni dei docenti una fonte di reddito che va a sopperire il pesante calo di matricole determinato da crisi e calo delle nascite”, continua il sindacalista.
Quanti diplomati di oggi sceglieranno di diventare insegnanti domani? Non ci sono elementi per essere ottimisti. “In un momento di fuga delle nuove generazioni verso altri paesi – conclude amareggiato Zordan – le teste migliori e quanti non hanno difficoltà a mettersi in gioco continueranno ad andarsene”.

 .

 

Diventare insegnanti in Italia: troppo lungo, costoso, incerto, e non remunerativo ultima modifica: 2016-06-07T22:13:50+02:00 da
WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com

GILDA VENEZIA - Associazione Professionale GILDA degli INSEGNANTI - Federazione Gilda Unams

webmaster: Fabio Barina



Sito realizzato da Venetian Navigator 2 srl