di Francesca Malandrucco, Il Sole 24 Ore 12.3.2016
– Insegnante e scuola non hanno alcuna responsabilità se uno studente si fa male nel corso di una partita di pallone giocata nell’ora di educazione fisica, quando la partita in questione «non è in concreto connotata da un grado di violenza e irruenza incompatibili con il contesto ambientale» e con l’età dei ragazzi. Lo ha stabilito la terza sezione civile della Corte suprema di cassazione che, con la sentenza 6844/2016, ha messo fine ad una lunga controversia tra la scuola media statale “Giovanni Pascoli” di Silvi, in provincia di Teramo, e un giovane che all’epoca dei fatti frequentava l’istituto.
La vicenda
Lo studente, durante una partita di pallone giocata nell’ora di educazione fisica, era stato colpito al volto da una pallonata calciata, involontariamente, da un suo compagno di classe a breve distanza. Il ragazzo aveva riportato gravi lesioni all’occhio destro e, in seguito, gli era stata riconosciuta un’invalidità permanente del 30%. La famiglia del ragazzo aveva quindi denunciato la scuola, chiedendo un risarcimento del danno. Durante il processo aveva sostenuto inoltre, come motivi aggravanti, che al momento dell’incidente l’insegnate di educazione fisica si era allontanato e che, per la partita di calcio, era stato utilizzato un pallone vecchio, sfilacciato e dalla superficie logora.
Nel 2005, tuttavia, il tribunale dell’Aquila con la sentenza di primo grado aveva rigettato la richiesta della famiglia e del ragazzo, non riconoscendogli alcun diritto al risarcimento. La stessa sentenza era stata confermata anche in appello. Da qui la decisione della vittima, ormai diventata maggiorenne, di ricorrere ai giudici supremi.
Il principio affermato dai giudici
Ma la Cassazione è stata chiarissima. «In materia di risarcimento danni per responsabilità civile conseguente ad un infortunio sportivo verificatosi a carico di uno studente all’interno della struttura scolastica durante le ore di educazione fisica, nell’ambito di uno svolgimento do una partita – recita la sentenza – ai fini della configurabilità di una responsabilità a carico della scuola ex art. 2048 cod. civ. , incombe sullo studente l’onere di provare il fatto costitutivo della sua pretesa, ovvero l’illecito subito da parte di un altro studente, e sulla scuola l’onere di provare il fatto impeditivo, ovvero di non aver potuto evitare, pur avendo predisposto le necessarie cautele, il verificarsi del danno». Nel caso particolare, poi, i giudici della Suprema corte si sono rifatti alla sentenza della Cassazione n.15321 del 2003: «In particolare, non può essere considerata illecita la condotta di gioco che ha provocato il danno se è stata tenuta in una fase di gioco quale normalmente si presenta nel corso della partita, e si è tradotta in un comportamento normalmente praticato per risolverla, senza danno fisico, se non è in concreto connotata da un grado di violenza e irruenza incompatibili con il contesto ambientale e con l’età e la struttura fisica delle persone partecipanti al gioco». I giudici hanno sottolineato inoltre come risulti «infondato» il tentativo di ricondurre l’attività sportiva riferita al gioco del calcio nell’alveo di un’attività pericolosa, in contrasto con quanto già affermato in passato dalla Cassazione stessa che aveva più volte sottolineato l’aspetto ludico del calcio stesso. Né per i giudici supremi il pallone può essere considerato un mezzo pericoloso. Infine, quanto alla denunciata assenza dell’insegnate nel corso della partita, dal momento che l’incidente non è stato causato da «una complessiva situazione comportamentale che era degenerata o andata fuori controllo», la presenza o meno dell’insegnante era da considerarsi irrilevante perché l’insegnate stesso «non si sarebbe potuto frapporre tra il calcio e la vittima».