di Lello Voce, Il Fatto Quotidiano, 27.12.2019
– Chapeau… La prima cosa che mi è venuta in mente quando ho letto delle dimissioni del ministro Fioramonti è stata: chapeau.
Per una volta, la prima, credo nella storia disgraziata del disgraziatissimo ministero della ex Pubblica istruzione (occupato per decenni come feudo vero e proprio dai cattolici italiani, con qualche parentesi sinistrata, utile a trasformare la scuola in impresa e i presidi in manager, e poi dato come contentino a questo o a quello, sulla base del patto di ferro di stare lì, occupare la poltrona e tacere, e fino alla nefasta Buona scuola renziana e poi all’anonimo, pessimo leghista Marco Bussetti, a cui la Repubblica già chiede indietro 24mila euro per viaggi et cetera ritenuti illegittimi); per la prima volta, dicevo, un ministro fa quello che avrebbero dovuto fare tantissimi prima di lui di fronte allo scandalo della scuola italiana: va via, rifiutandosi di coprire con la sua poltrona il fariseismo pluridecennale dei vari governi italioti in tema di scuola, università e ricerca.
Se ne va via perché ha una dignità da difendere, se ne va via perché non se ne può davvero più dell’ipocrisia grazie alla quale tutti dicono quanto sia fondamentale, importante, decisiva la scuola, quanto dal sistema istruzione e ricerca dipenda il futuro della nazione, tranne poi scuotere sconsolati la testa quando si tratta di reperire fondi.
Eppure tutto – come chiunque vede – dipende proprio da questo: dai fondi stanziati per farla funzionare davvero, questa benedetta scuola. Innanzitutto quelli che servono per evitare che gli edifici crollino in testa ai nostri figli e magari per rimetterli in condizioni degne di una nazione avanzata del ricco Occidente capitalista, poi per offrire agli studenti più meritevoli la possibilità di avere fondi per continuare i propri studi e per porre fino allo scandalo dei ‘contributi volontari’ che le famiglie italiane sono di fatto costrette a pagare per permettere alla scuola pubblica di funzionare e realizzare così, infine e almeno in parte, quanto previsto dalla Costituzione a proposito di diritto (gratuito) allo studio.
O, ancora, per offrire agli insegnanti italiani, da quelli delle scuole materne a quelli delle superiori, una mercede di livello europeo e ridar loro una credibilità sociale che latita da troppi anni, e via così, senza parlare di quanto occorrerebbe per realizzare davvero un piano di sostegno agli allievi con handicap, o di quanto necessiterebbe all’Università italiana e ai percorsi successivi di ricerca per offrire davvero a tutti gli studenti italiani (ai fragili come agli eccellenti) una vera possibilità di realizzare qui quella costruzione di una nuova cultura che attualmente moltissimi inseguono altrove.
Aveva chiesto 3 miliardi, soltanto 3 miliardi su un fabbisogno stimato (a mio parere con grande prudenza) di circa 23, per garantire i livelli minimi di funzionamento di questa cosa che chiamiamo istruzione e ricerca e che a parere di tutti noi è indispensabile e fondamentale per la nostra nazione. Ma gliene ne hanno concessi meno di due…
Eppure sarebbe bastato limare qua e là qualche decimale per raggiungere il risultato sperato. Perché, se mancano i fondi, essi possono essere trovati – senza allontanare i conti dai parametri europei, come farebbe qualsiasi famiglia – spostando danari da un capitolo all’altro: qualche F35 in meno, qualche missione di peace-keepingrimandata o cancellata, qualche spreco e qualche eccesso tagliati, in modo da portare la percentuale di Pil dedicata all’Istruzione a livelli europei o, perché no?, anche con qualche nuova tassa, persino sulle merendine o sulle bibite che rendono i nostri figli obesi.
Ma no, noi li preferiamo, obesi, felici e possibilmente ignoranti, anche perché nell’Italia precaria una laurea rischia di farti perdere un posto di lavoro anziché di aiutarti a trovarlo e così anche gli allievi dei licei, giustamente, vanno a far pratica da McDonald’s, che nella vita non si sa mai, dunque viva le attività Scuola-Lavoro, che peraltro, visti i fondi esigui, spesso si auto-pagano le famiglie stesse.
Dunque Fioramonti se ne va, se ne va perché non ha altra scelta e se ne va lasciando in grave imbarazzo chi lo sostituirà: il prossimo ministro accetterà l’incarico perché quanto stanziato gli sembrerà adeguato? E se no, perché accetterà allora? Dunque al ministro Fioramonti vanno, una volta ancora, tutto il mio rispetto e la mia stima.
Ma le sue dimissioni mi lasciano con una domanda che resta sospesa: e noi? Noi insegnanti, noi allievi, noi genitori, noi cittadini che abbiamo a cuore le sorti della Repubblica, e di una delle sue principali Istituzioni (Calamandrei docet), noi che facciamo? Visto che in Italia la frase “sciopero generale per (per, badate, non della) la scuola” è di fatto impronunciabile, persino per i sindacati, forse potremmo fare almeno altrettanto: dimetterci anche noi. Gli insegnanti da ogni incarico non previsto in contratto, i genitori e gli studenti da ogni organo rappresentativo, i cittadini tutti dimettendosi dal ruolo di elemosinieri di partiti e chiese per confluire in massa (critica) su quel millesimale di dichiarazione dei redditi che infine lo Stato ha voluto dedicare alla scuola (e anche questo lo si deve a Fioramonti).
Sì, dimetterci anche noi, tutti, per far capire, una volta per tutte e a tutti, che su questa faccenda siamo stufi di essere presi in giro. Ya basta…
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Fioramonti se ne va: chapeau. Ora dimettiamoci tutti ultima modifica: 2019-12-30T17:57:34+01:00 da