di Giancarlo Cerini, Scuola7, n. 164, 16.12.2019
Nei giorni 12-13 dicembre u.s si è svolto al MIUR un seminario nazionale riservato agli staff della formazione operanti presso gli USR e ai dirigenti rappresentanti delle scuole polo, per approfondire gli esiti del monitoraggio dell’appena concluso Piano Nazionale triennale della Formazione 2016-19 (DM 797/2016).
Il monitoraggio è stato affidato dal MIUR all’INDIRE e si è avvalso della collaborazione degli USR, per effettuare analisi qualitative e audit presso 64 ambiti territoriali sui 319 presenti su tutto il territorio nazionale. La metodologia di tipo qualitativo ha consentito di interpellare i principali soggetti che in ogni territorio hanno realizzato la formazione (i dirigenti delle scuole polo, i dirigenti scolastici del territorio di riferimento, i formatori impegnati, i docenti destinatari della formazione). A questa indagine si è affiancata l’analisi dei dati quantitativi messi a disposizione dalla banca-dati di SOFIA, il sistema informativo del MIUR che ha l’ambizione di censire tutte le attività di formazione (pubbliche e private) rivolte al mondo della scuola.
Gli esiti del monitoraggio rivelano una sufficiente tenuta del modello di governance adottato per la formazione, imperniato sull’erogazione dei fondi nazionali a 319 scuole-polo (una per ciascuno degli ambiti territoriali in cui è suddiviso il nostro Paese), con un budget stimabile di circa 80.000 euro per ambito. Le scuole-polo avevano il compito di raccogliere i bisogni formativi dei docenti del rispettivo territorio (mediamente 25 scuole), di “filtrarli” con le 9 priorità nazionali stabilite nel Piano Nazionale, di organizzare un catalogo di azioni formative da realizzare nel corso di ogni anno solare (finanziario). I finanziamenti erogati annualmente hanno consentito di organizzare attività formative stimabili in circa 6.000 corsi di formazione ogni anno, rivolti a circa 300.000 docenti. Molti USR hanno realizzato specifici e analitici monitoraggi regionali, mentre i dati nazionali offerti dalla piattaforma SOFIA offrono una fotografia “parziale”, ma statisticamente significativa della percezione espressa dai docenti al termine del corso.
In diverse realtà territoriali la progettazione in rete delle azioni formative ha avuto un salto di qualità positiva, così come notevole è stato l’impegno dei dirigenti delle scuole polo, che spesso hanno operato in mancanza di risorse umane aggiuntive e con aggravio di impegni amministrativi.
L’efficacia dei piani formativi di territorio è aumentata quando le scuole polo sono riuscite ad interpretare i bisogni del territorio, ad incanalarli con progettazioni condivise, ad offrire risposte organizzative puntuali, ad utilizzare formatori qualificati.
Le risposte degli insegnanti – rilevabili dai questionari di fine corso – segnalano che nel 75% dei casi i corsi frequentati sono risultati di gradimento, utili al proprio lavoro e fonte di stimoli culturali e di scambi professionali. La partecipazione ai corsi è stata generalmente inserita nei Piani formativi di istituto, era rispondente (almeno nei titoli) alle priorità nazionali, è stata più ricca e “movimentata” sul piano dei metodi utilizzati, ma la ricaduta a livello di scuola è risultata assai debole. Spesso i temi affrontati nei corsi di ambito non sono stati oggetto di “ripresa” nelle scuole di appartenenza dei partecipanti. Dunque, la formazione sembra una scelta individuale dei singoli docenti, una risposta ad esigenze personali, piuttosto che inserirsi in una dimensione istituzionale, legata alla comunità professionale di appartenenza, coerente con i bisogni di sviluppo del curricolo dell’istituto.
I temi affrontati sono certamente significativi (con prevalenza di tre grandi aree: la didattica per competenze, le innovazioni metodologiche anche connesse alle tecnologie digitali, l’attenzione ai temi dell’inclusione e del disagio) con forte prevalenza dei temi di carattere trasversale. Grande assente sembra essere la didattica delle discipline, cioè il focus sui saperi forti del curricolo (la literacy e la numeracy) visti nella loro insegnabilità. Fa riflettere anche lo scarso ricorso ai dispositivi per personalizzare l’analisi dei bisogni (un bilancio di competenze vale assai di più di un questionario sugli argomenti più “gettonati”), per documentare l’attività svolta (ed un portfolio avrebbe un valore assai più incisivo di un semplice firma di presenza), per valutare gli esiti della formazione (e qui si fatica ad andare oltre il questionario finale di gradimento….).
Ma soprattutto sembra mancare un anello di congiunzione tra la formazione svolta nei corsi dell’ambito territoriale e ciò che poi succede a scuola. Le due realtà sembrano non dialogare e inducono ad un sentimento di frustrazione o di scarsa spendibilità della formazione svolta. Sarà per questo motivo che i tassi di abbandono dei corsi a cui ci si è iscritti risulta clamorosamente alta.
Una riflessione sincera su ciò che non ha funzionato nel primo piano pluriennale porta a sottolineare alcuni aspetti nella governance del sistema di formazione:
La lettura di questi dati, oggetto di ulteriore confronto e condivisione nel corso del seminario del 12-13 dicembre, va ora messa in relazione con il nuovo CCNI sulla formazione firmato il 19-11-2019, che vogliamo interpretare come tentativo di ovviare ad alcune delle criticità emerse anche in sede di monitoraggio. In particolare, i due punti fermi del nuovo contratto sembrano essere:
Intanto, nel recente CCNI si registra una attenzione ad alcuni temi legati alle innovazioni legislative più recenti ed ai temi emergenti dal dibattito culturale (l’insuccesso scolastico, la dispersione, ecc.). Ora, la disponibilità sicura di finanziamenti dedicati a queste priorità nazionali dovrebbe tradursi in effettive azioni di informazione formazione a livello territoriale. Si è in attesa di indicazioni da parte del MIUR alle scuole-polo.
Tab. 1 – Priorità nazionali della formazione |
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Sarebbe opportuno che ogni priorità fosse presidiata a livello nazionale da un gruppo di pilotaggio (utilizzando i gruppi già funzionanti presso il MIUR) per delineare “Linee guida” da offrire agli ambiti” (modellistica delle azioni formative) e canalizzare le possibili ripartizioni dei finanziamenti.
Prioritaria diventa ora l’elaborazione del Piano delle azioni formative da parte di ogni Collegio dei docenti (da inserire nel PTOF), che dovrà comprendere corsi gestiti direttamente dalla scuola, corsi consorziati in rete, corsi di ambito su priorità nazionali e corsi liberamente scelti dai docenti, avvalendosi della CARD di 500 euro[1].
Non dovrebbe mancare una riflessione sulla natura degli impegni di servizio esigibili dai docenti, per la cura della propria formazione. Una strategia di medio periodo dovrebbe prevedere incentivi alla formazione e la sua certificazione, con inserimento nel curriculum professionale di ogni docente. Nel lungo periodo si dovrebbe aprire la prospettiva dell’obbligatorietà con la formula ad esempio prevista per il comparto sanità.
Per migliorare la qualità della formazione sono decisivi i formatori e gli esperti che conducono le attività, ma anche la figura di un tutor-facilitatore che all’interno delle scuole possa accompagnare l’ulteriore sviluppo di azioni didattiche, di sperimentazione, di osservazione tra pari (offrendo una intelaiatura concettuale ed organizzativa alle attività di autoformazione di cui si parla nel CCNI).
Restano problemi aperti:
Nell’immediato le domande, al ribasso, che molti docenti o collegi si fanno è del tipo: “ma l’aggiornamento è obbligatorio? Quante ore siamo tenuti a fare? Dove collochiamo le ore di aggiornamento?” Le 40+40 ore previste dal CCNL per impegni connessi all’insegnamento non sono comprimibili, dunque o si crea contrattualmente un ulteriore monte-ore per la formazione (es. 25 ore annue all inclusive) oppure si inserisce esplicitamente la formazione in servizio sotto la voce delle attività obbligatorie, ma non quantificate, connesse all’insegnamento (come la correzione dei compiti ed i rapporti con i genitori). Nell’attesa di un ripensamento contrattuale complessivo del tempo di lavoro dei docenti, si dovrebbero introdurre meccanismi di incentivazione economica legati alla frequenza delle attività di formazione.
In ogni caso è opportuno documentare, riconoscere, valutare, certificare le attività di formazione in servizio, inserendole in un curriculum strutturato del docente, in forma di portfolio docente.
In via sperimentale si può proporre l’adozione di sistemi di documentazione, valutazione, riconoscimento della formazione svolta (e della professionalità acquisita) in un nucleo di scuole in cui i docenti siano disponibili e ne ricevano un riconoscimento economico supplementare.
[1] Vedi un approfondimento sul CCNI curato da G.Cerini sul n. 6-7 di “Notizie della Scuola” che riporta anche tutti i documenti normativi di riferimento (CCNI, allegato d’intesa, nota 49062/2019).
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