Genitori-professori, sopravvivere ai colloqui

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di Flavia Amabile,  La Stampa 24.11.2017

In tutte le scuole d’Italia è il momento del ricevimento.
Come trasformare l’incontro in un’occasione di alleanza.

Cinque minuti, non un respiro in più: prendere o lasciare. E avanti un altro. Senza lamentarsi: a Padova la dirigente dell’Istituto Francesco Severi ha decretato non più di 180 secondi ad alunno. Con i professori costretti a buttare un occhio sul registro e l’altro sul cronometro, sotto i molteplici sguardi – dal supplichevole all’orgoglioso, passando dal severo, il rassegnato e il sorpreso – di mamme e papà.
Si è aperta la stagione dei ricevimenti generali, spauracchio di docenti e studenti, famiglie e presidi. Maratone di faccia a faccia, pomeriggi trasformati in vorticose giostre da un insegnante all’altro, prove di orientamento tra scale e corridoi alla ricerca della classe giusta e fantasiose lotterie per accaparrarsi il posto. A volte tramite numerino come alle poste, altre dietro complicata iscrizione tramite registro elettronico e altre ancora affidandosi alla regola del chi prima arriva prima entra, tra malumori e sorpassi.

La paura
Non un momento di approfondimento – per quello esistono i ricevimenti settimanali – ma uno strumento di comunicazione del profitto e del comportamento dell’alunno: molto scuole sintetizzano così le finalità dell’appuntamento, che per la maggioranza dei genitori rimane comunque una delle poche occasioni dell’anno in cui confrontarsi con gli insegnanti. «Le giornate di colloquio servono per renderci conto che i nostri figli non sempre sono come li immaginiamo noi – spiega Matteo Bussola, padre e autore del best seller Sono puri i loro sogni, un’appassionata lettera sul rapporto tra casa e scuola – Spesso capita di guardare l’insegnante e chiederti: «Ma di chi mi sta parlando questo qui?». Ci si può porre di fronte a questo spaesamento in due modi: accogliendolo come un’opportunità per vedere meglio i nostri ragazzi – che magari all’esterno si comportano in maniera anche molto diversa da come li conosciamo noi, il che fa parte del normale processo di crescita e della volontà di rendersi autonomi – o rifiutarlo con la scusa che l’insegnante non conosce «veramente» nostro figlio, mentre noi e solo noi sì.
I ricevimenti sovente sono più temuti dai genitori che dai figli: «Hanno paura di scoprire situazioni di cui erano all’oscuro o di venire umiliati – aggiunge Maura Manca, psicologa e presidente dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza – I colloqui sono un’opportunità, una risorsa per sapere realmente ciò che accade in classe e per capire come intervenire. Il modo migliore per prepararsi è parlare con i figli, chiedendo onestà da parte loro per evitare di trovarsi davanti a sorprese che poi non si sanno gestire». Non farsi assalire dai sensi di colpa, non aggredire gli insegnanti, non mettersi in competizione con gli altri genitori, non solidarizzare né troppo con i figli, prendendo sempre le loro difese e né troppo con i professori dando loro sempre ragione. E, fondamentale, appuntarsi ciò che viene riferito, per riportare correttamente le informazioni ai figli e all’altro genitore.

L’alleanza
«Anche per noi è un momento delicato: abbiamo il privilegio di osservare giorno per giorno i ragazzi, e la restituzione di quello che vediamo è un compito denso di responsabilità». Parole di Enrico Galiano, docente di lettere a Pravisdomini (PN), autore del romanzo per young adult Eppure cadiamo felici e della webserie Cose da prof. «Per instaurare un dialogo costruttivo è fondamentale iniziare dagli aspetti positivi: se parto dalle critiche mamme e papà si sentono immediatamente giudicati e c’è il rischio di inquinare la comunicazione. Credo poi che il docente dovrebbe fare molte domande, per avere un quadro più completo e sfaccettato della persona che ogni mattina si trova davanti». Ma non solo: sta all’insegnante individuare le lacune, senza nasconderle e offrendo consigli utili per affrontarle. «Non basta il solo “potrebbe fare di più” – sottolinea la Manca – Serve concretezza, perché a volte i genitori non sanno da dove partire e hanno bisogno di indicazioni precise». «Ai professori vorrei dire solo una cosa: capiteci – conclude Bussola – La nostra apparente diffidenza deriva dal fatto che avete a che fare con la cosa al mondo che ci sta più a cuore: i nostri figli. Non guardateci come avversari, riscopriamoci come alleati, nel rispetto dei reciproci ruoli. Solo così potremo farcela: insieme».

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Genitori-professori, sopravvivere ai colloqui ultima modifica: 2017-11-26T05:25:31+01:00 da
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