– Fu riforma “fascistissima” della scuola quella varata da Gentile nel 1923? E la riflessione sull’educazione del filosofo neoidealista va rifiutata in blocco o merita un ripensamento? L’attenzione al rapporto interpersonale tra insegnante ed allievo ed a modalità d’insegnamento non troppo rigide ed attente alla diversità di situazioni ed occasioni meritano ancor oggi attenzione.
Quando l’inattuale non è del tutto tale
Fu riforma “fascistissima” della scuola quella varata da Gentile nel 1923? E la riflessione sull’educazione del filosofo neoidealista va rifiutata in blocco o merita un ripensamento? L’attenzione al rapporto interpersonale tra insegnante ed allievo ed a modalità d’insegnamento non troppo rigide ed attente alla diversità di situazioni ed occasioni meritano ancor oggi attenzione.
Una riforma fascistissima?
È lo stesso Benito Mussolini a fornire quella definizione della riforma scolastica di Gentile, mistificando in realtà per opportunità politica la sua essenza, alla cui base sta piuttosto il dibattito idealistico/positivistico del primo Novecento, di cui uno dei protagonisti, Giovanni Gentile (1875-1944), è stato il filosofo-pedagogista che maggiormente ha influenzato la scuola italiana nel secolo XX e che ancor oggi vi esercita una certa influenza indiretta. In un momento in cui la “buona scuola” tende ad essere identificata in base ad un modello ” buro-tecnocratico”, discernendo il grano dal loglio, non credo scandaloso riflettere oggi sul pensiero del Gentile pedagogista. La filosofia di Gentile è stata riferimento per la pedagogia non solo idealistica nell’Italia del Novecento: per fare un solo riferimento, i programmi per la scuola elementare del 1955 descrivevano un “fanciullo artista”, “tutto intuizione, fantasia, sentimento” che ha origini dal sodalizio fra Giovanni Gentile e Giuseppe Lombardo-Radice (1879-1938).
Il pensiero filosofico
Gentile si laurea con una tesi su Rosmini e Gioberti, ispiratori del suo pensiero sia per la metafisica spiritualistica e per l’afflato religioso, sia perché i due autori sono interni alla tradizione nazionale e cattolica italiana. Il Soggettivismo trascendentale kantiano, il Romanticismo di Vico, Rosmini, Gioberti, Mazzini e l’Idealismo hegeliano e posthegeliano, con le tre forme dello Spirito assoluto – arte, religione e filosofia – e la dottrina dello Stato etico, sono tra i suoi maggiori ispiratori, mentre principale bersaglio polemico è l’intellettualismo scientistico nelle sue varie forme. Alterno e problematico il suo rapporto con Benedetto Croce (1866-1952).
Scuola laica e scuola confessionale
Dal 1898 Gentile s’impegna a delineare aspetti della futura riforma della scuola all’interno della FISM, nell’ottica di una Destra liberale. Nel 1907, al congresso della FISM, Gentile illustra la propria posizione sulla laicità della scuola ed il suo modo di pensare la scuola confessionale, toccando anche il tema dell’insegnamento della religione cattolica. In quella sede si pronuncia criticamente sul più diffuso modo di pensare la scuola laica. Egli non accetta l’idea di una scuola laica “neutrale”; “la negazione d’una religiosità trascendente non è possibile senza una implicita affermazione d’una religiosità immanente”, che dovrebbe caratterizzare la scuola pubblica, conformemente all’eredità hegeliana della filosofia dello Spirito, inteso come Stato etico e come incarnazione di esso nell’arte, nella religione e nella filosofia, gerarchicamente ordinate ed aventi lo stesso contenuto, ma diversa forma espressiva. La posizione di Gentile sulla religione ha una forte ambivalenza: la verità di essa non discutibile, che è anima e forza della scuola confessionale, può essere negata ed insieme inclusa nel pensiero e nell’insegnamento filosofico della Scuola di Stato.. Secondo Gentile, la realtà della scuola laica del suo tempo è alquanto miserevole e senza un’anima, cadendo generalmente nelle sacche della fredda erudizione scientifica. La ragione e la filosofia dovranno costituirne il nocciolo duro, vivo e vivificante: “noi dobbiamo contrapporre nella scuola alle confessioni religiose la libertà assoluta della ragione”. Le scuole confessionali garantiscono invece un’educazione fondata su postulati etico-religiosi, un’anima ispiratrice, insomma. Anche la scuola laica deve analogamente trovare un’anima, però “aperta alla filosofia, e preparatrice della cultura della nazione” (ed in tal senso religiosa anch’essa). Se delle scuole private “ciascuna determinerà a sé il proprio indirizzo morale”, configurandosi legittimamente come scuola di tendenza, può apparirci sconcertante che anche ciascuna istituzione scolastica pubblica per Gentile debba essere in ultima analisi di tendenza (cosa che in fondo fa pensare al nostro POF): “quella laicità positiva che io propugno” non esclude affatto che in una scuola “aleggi una fede”, ed “una scuola non può averne che una”; “nei collegi dei professori devono cercarsi e svegliarsi quelleaffinità elettive, che facciano, quando è possibile, di una scuola uno spirito solo“: è necessario che “ogni scuola abbia la sua tradizione e la sua bandiera”. Il contrasto tra questa scuola e quella cattolica farà trionfare la scuola laica su quella confessionale attraverso la libera concorrenza ed il libero confronto.
Nei licei non si insegnerà la religione con i suoi “misteri” ed i suoi “miti”, ma la filosofia, asse portante di quegli studi. Per le scuole elementari e popolari “sarà l’insegnamento della religione cattolica a fondare la sostanza etica e nazionale”. Se per la classe dirigente Gentile pone il pilastro fondante della sua scuola, identificata primariamente con quella classica, nella filosofia presentata storicamente, per i bambini e gli indotti la religione soltanto – insieme all’arte – potrà fornire una consapevolezza etico-polica in senso nazionale.
Con questa posizione Gentile si manterrà sempre coerente: nella riforma del 1923, per il bambino “artista” e “religioso” della scuola elementare ci sarà l’insegnamento confessionale cattolico, che sarà escluso dai gradi scolastici superiori e nei corsi liceali si collocherà la filosofia. Non va dimenticato che nel 1929 egli è ostile all’introduzione dell’insegnamento della religione di Stato in tutti i livelli scolastici a partire dalla scuola elementare e con la sola esclusione dell’insegnamento universitario, come previsto dal Concordato; la religione, pur nel suo ruolo fondante dello spirito della nazione, non deve essere indirizzata a coloro che sono destinati all’esercizio del “libero pensiero”, per i quali l’insegnamento filosofico deve sostituire la religione. Per l’élite la religione deve considerarsi in ultima analisi una philosophia minor, una sorta di “filosofia di serie B”, che fa un po’ pensare alla teoria averroistica della doppia verità. Così l’insegnamento filosofico nella riforma fu attivato solo per i corsi liceali e quelli magistrali.
Pedagogia filosofica e comunicazione didattica interpersonale
Negli anni 1912 –1913 Gentile pubblica con Sansoni i due volumi del Sommario di pedagogia come scienza filosofica. Alla base del Sommario sta la concezione filosofica dell’Attualismo, caratterizzato da una metafisica spiritualistica ed immanentistica, in cui tutto si riconduce ad un unico principio dinamico, che al suo interno comprende ciascuna realtà finita, un onnicomprensivo assoluto Atto del Pensiero Pensante, Soggetto spirituale universale, a cui ogni attività umana è ricondotta.
Obiettivi polemici di quest’opera fondamentale sono quelle “pedagogie normative”, fra cui possiamo annoverare le “pedagogherie” del Positivismo e del Realismo herbartiano, che “meccanizzano lo Spirito”, ma anche quello “specialismo” che opera sui contenuti una sorta di dissezione erudita e senz’anima: “la scuola dev’essere non diminuzione e prostrazione dello spirito, non meccanizzazione artificiale delle categorie della vita”, ma “vera educazione e generazione perpetua che lo spirito fa di se stesso”, la quale non sopporta “leggi generali”. L’epistemologia gentiliana è polemica con le scienze umane e sociali, criticate perché descrivono i fatti umani come “analoghi ai fatti naturali”. La pedagogia non può non essere sottoposta ad un’unificazione dissolvente la specificità: “la pedagogia è la filosofia”, non scienza autonoma; il soggetto e l’oggetto di entrambe è il farsi dello Spirito. Pedagogia non è “tecnica”, può definirsi “arte”, ma arte non insegnabile: “non c’è un sapere che insegni l’arte di fare scuola”, che non è un’“idea astratta”, ma la concreta e vivente produzione di “un’unione spirituale che lega insieme due spiriti”. Infatti non s’insegna ad insegnare. Sono solo la ricchezza spirituale del Maestro, dote innata, e la cultura viva ciò che rendono Maestro il maestro e Scuola la scuola. Non esiste un metodo: “il metodo è il maestro”. Il rapporto educativo si realizza di volta in volta nel farsi dello Spirito che accomuna due soggetti e nell’identificarsi nella comune spiritualità di maestro ed allievo; esso è “sempre nuovo” e “sempre diverso” e quindi non racchiudibile in una norma, in una regola od in una legge.
Su questo punto, liberandosi dal pesante apparato metafisico gentiliano, ci si può trovare consenzienti col filosofo, pur se si può ritenere – contro Gentile – che il “saper insegnare” non sia innato, ma sia il risultato di un processo di apprendimento lungo, complesso e diverso di caso in caso. Le situazioni di rapporto didattico-educativo non sono esenti da accidentalità edoccasionalità: è fondamentale valorizzare l’osservazione intelligente ed inattesa di uno studente, l’evento del giorno, un fatto nuovo ed inaspettato che si verifica in classe, il dibattito che si avvia su un tema non programmato. Contro ogni pianificazione rigida e lineare, sorgono momenti di ricchezza del rapporto educativo che non debbono essere lasciati correre dall’insegnante. Si può attualizzare Gentile notando che ad insegnare si può imparare, magari talvolta sulla pelle degli alunni, in sede di formazione iniziale valorizzando la pratica laboratoriale nella didattica, un serio tirocinio, insegnamenti anche – ma non solo – teorici. Una certa lettura della didattica gentiliana è quella che vede nel docente una sorta di istrione: ma, al di là delle rappresentazioni caricaturali (si ripensi al professore di filosofia su cui ironizza Fellini in “Amarcord”), mi sembra non improbabile l’analogia tra insegnante ed attore, accomunati entrambi da una certa capacità di fascinazione. In questo Gentile aveva una qualche ragione. Non nel teorizzare un innatismo nella professionalità e nella “missione” dell’essere Maestro, una capacità puramente intuitiva generatrice di empatia e di abilità a scrutare nell’animo dell’allievo, sorretta soltanto da una profonda cultura che pare con questa innata sensibilità condizione necessaria e sufficiente per essere tra i pochi “bravi “ e “veri” Maestri. In questa posizione possiamo leggere l’avversione alla oggi spesso caldeggiata esigenza di adeguarsi a mode pedagogiche ed a parole d’ordine sponsorizzate di volta in volta da questo o da quel ministro.
Ma la formula “il metodo è il maestro” può essere una motivazione “speciosa” per chi possiede l’”estro dell’ignoranza”(G. Lombardo Radice).
La sensibilità gentiliana per il versante socio-affettivo intende il vissuto del maestro e dell’allievo come compenetrazione di due identità che divengono insieme un’unità, la quale peraltro non esclude affatto del rapporto educativo una concezione autoritaria. Infatti, nell’incontro tra due spiriti, quello del maestro rappresenta un più elevato grado di spiritualità, a cui il discente non può che adeguarsi. Il rapporto didattico è però – com’è facile notare – caratterizzato da un rapporto individuale/individualistico, in cui l’insegnante stesso – e solo lui – determina i tratti del rapporto con il singolo allievo e poco o nulla s’interessa dei rapporti comunicativi tra gli studenti. “Il maestro è lo stesso spirito, che si pone nel suo assoluto valore spirituale”, in sé riassumendo “la Natura, la Terra, la Patria, i genitori e quant’altro culmina idealmente nella storia: la moralità, l’arte, la religiosità, la cultura, la civiltà, il sapere”, diventando “ai nostri occhi, un sacerdote, interpetre [sic] e ministro di quell’essere divino” che trova la sua dimensione istituzionale nello Stato etico.
Oltre Gentile
Un discorso a parte potrebbe essere fatto su coloro che collaborarono con Gentile e/o ne subirono l’influenza. Non è il caso in questa sede di abbondare in citazioni: tale fu l’influenza di Gentile sulla filosofia universitaria italiana, che l’elenco sarebbe non breve. La figura a mio avviso più rilevante ed originale fu il filosofo dell’ Esistenzialismo positivo, Nicola Abbagnano, che andò ben oltre rispetto ai vari spiritualismi italici, riprendendo con una certa originalità il pensiero esistenziale tedesco e francese.
Quanto al pensiero pedagogico, vanno certamente menzionati due allievi e collaboratori di questo discusso, ma importante intellettuale. Esponenti rilevanti dell’attivismo furono il già citato G. Lombardo Radice, il cui ruolo educativo cognitivo e critico è ricordato dal figlio Lucio nel volumetto degli Editori Riuniti sull’Educazione della mente, ed Ernesto Codignola (1885-1965), che ebbe tra l’altro il merito di fondare la Scuola Città “Pestalozzi” di Firenze e la rivista “Scuola e città”, superando radicalmente l’individualismo. l’autoritarismo e l’aristocratismo del Maestro e dando spazio alla socialità ed all’educazione democratica, fra l’altro facendo conoscere in Italia Célestin Freinet (1896-1956) e la sua “pedagogia popolare”.
* Paolo Citran
Mi sono laureato in filosofia nel 1972, discutendo una tesi su demitizzazione e mito. Insegnante di Filosofia, Psicologia e Scienze dell’Educazione, ho lavorato nella formazione iniziale e in servizio degli insegnanti, anche come Presidente del Cidi della Carnia e del Gemonese . Mi interessano la filosofia, la pedagogia, la storia, l’antropologia, la psicologia, le scienze sociali, le religioni, la politica scolastica. Ho approfondito i temi dell’educazione alla pace, dell’epistemologia, della didattica, della cultura materiale; dell’infanzia e dell’adolescenza; del senso del tempo e dei diritti dell’uomo… Devo decidere che cosa farò da grande.