Gli studenti in ultima fila

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di Chiara Saraceno,  La Stampa 14.10.2020.

Gilda Venezia

Di nuovo la chiusura delle scuole viene avanzata come soluzione a problemi che esulano dalla scuola stessa, questa volta la carenza di trasporti, con il conseguente rischio di contagio a causa del sovraffollamento.

Era inevitabile e assolutamente prevedibile che con la riapertura delle scuole, unita alla ripresa della maggior parte delle attività economiche, aumentasse la pressione sul trasporto pubblico. C’era tutto il tempo per provvedere aumentando le corse, i mezzi, il personale, dedicandovi le risorse necessarie e cambiando, se necessario, le norme sul contenimento della spesa a livello locale.

Invece, come è avvenuto per gli insegnanti che mancavano, i banchi, i tamponi, il personale di laboratorio, i medici di base e via elencando, poco o nulla è stato fatto, salvo allentare, fino ad annullarle di fatto, le restrizioni sul numero delle persone che possono viaggiare sui mezzi pubblici, in palese contrasto con le esigenze di prevenzione e sicurezza e con quanto è richiesto nell’ambiente scolastico.

Il risultato è che a un mese da un inizio delle lezioni già abbastanza tormentato e in molti casi insoddisfacente a causa, appunto, della mancanza di insegnanti e spazi, ci troviamo davanti a ipotesi di un ritorno totale alla didattica a distanza almeno per gli ultimi anni delle superiori.

Non essendo stati capaci di garantire loro trasporti decenti e sicuri si pensa di togliere loro del tutto (perché in parte già avviene con la didattica mista che è la norma nelle scuole superiori quest’anno) quella didattica in presenza che è (dovrebbe essere) qualche cosa di più e diverso dalla semplice erogazione di una lezione. È, dovrebbe essere, possibilità di scambio, costruzione di relazioni, accompagnamento e incentivazione all’apprendimento.

Tornare alla sola didattica a distanza comporterebbe costi pesanti per tutti i ragazzi, sul piano cognitivo, dell’apprendimento, della socialità, che si aggiungeranno a quelli già subiti con il lockdown. Aumenterebbe anche le diseguaglianze già oggi aggravate dalla didattica mista. Perché non tutti i ragazzi hanno accesso a Internet, hanno gli strumenti tecnologici, le abitazioni, le conoscenze, adatte per fruirne efficacemente. Durante il lockdown molti si sono persi, andando a ingrossare le fila dei Neet, dei giovani che né studiano né lavorano, una categoria che già colloca l’Italia ai non invidiabili primi posti. Vogliamo scoraggiare un’altra fetta di adolescenti a gettare la spugna della formazione? Dopo il terribile anno scolastico appena trascorso ci voleva un più di

investimento nella scuola e nel sostegno alle bambine/i e adolescenti. Incluso un sostegno alla possibilità di frequentarla in sicurezza.

È giusto che si chieda a tutti e ciascuno, incluse le bambine/i e adolescenti di prendersi la propria parte di responsabilità nel fronteggiare l’epidemia. Ma lo si può fare con credibilità e autorevolezza se anche i decisori pubblici fanno la propria parte.

Purtroppo non è del tutto così, come segnalano non solo i trasporti, ma le troppe classi ancora prive di insegnanti, i troppi bambini e ragazzi con disabilità che ancora non possono frequentare, o solo in parte, perché mancano gli insegnanti di sostegno.

Eppure, incredibilmente nell’ultimo Dcpm tutto l’onere della prevenzione sembra spostato sui singoli cittadini, con dettagli anche tra il risibile e il contraddittorio, quando non implicitamente classista (il calcetto all’oratorio o nel parco no, la palestra o lo sport, anche da contatto, da tesserati sì).

Con la riserva dell’arma finale: appunto la chiusura della scuola in presenza (in prima battuta, poi si vedrà) per i più grandi. Anche solo minacciarla è sufficiente a spostare sui ragazzi/e ogni responsabilità per l’aumento della pandemia: questa estate perché frequentavano le discoteche, quest’autunno perché vanno a scuola.

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Gli studenti in ultima fila ultima modifica: 2020-10-14T08:10:27+02:00 da
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